La beata speranza
Omelia nella Notte di Natale 2024
25-12-2024

Nella notte di Natale 2024, l’arcivescovo Carlo ha presieduto la solenne con celebrazione eucaristica in cattedrale.

Nella seconda lettura di stanotte c’è un’espressione interessante, che ha attirato la mia attenzione mentre nei giorni scorsi preparavo questa omelia. L’apostolo Paolo parla di «beata speranz. La speranza è qualcosa di importante per tutti, soprattutto in questo tempo così denso di preoccupazioni e di incognite persino sullo stesso futuro dell’umanità. Per questo motivo, ritengo, papa Francesco ha voluto proporre a tutti, credenti e non, il tema della speranza nel giubileo che stasera è iniziato con l’apertura della porta santa a Roma. Il motto, infatti, dell’anno santo del 2025 è “pellegrini di speranza”. Pellegrini perché tutti siamo in cammino, di speranza perché il nostro non è un andare avanti a caso, ma è qualcosa che è nutrito dalla speranza. L’omelia di stasera di papa Francesco è stata un inno alla speranza: vi invito a leggerla e a meditarla perché è un’ottima introduzione al giubileo.

Ma torno all’espressione di san Paolo, in particolare alla qualificazione della speranza come “beata”: che cosa significa? L’aggettivo beata è sinonimo di felice, gioiosa, serena: ma a che cosa si riferisce? Non necessariamente a chi spera, anzi spesso uno spera qualcosa di meglio perché si trova in una situazione difficile. Chi per esempio spera una guarigione è perché vive la malattia e questo certamente non gli porta gioia, lo stesso vale – per fare un altro esempio purtroppo molto attuale – per chi spera la pace e si trova in una dolorosa situazione di guerra. La qualificazione beata, gioiosa, felice si applica meglio all’oggetto della speranza: non si spera ovviamente qualcosa di negativo, ma qualcosa di positivo che può portare almeno a un miglioramento, se non a sperimentare realmente un po’ di gioia e di felicità.

A questo punto può essere interessante chiederci che cosa speriamo in questo momento: immagino di passare una bella festa di Natale in famiglia, magari il superamento almeno a Natale di qualche tensione e divisione familiare, forse la salute per qualche persona cara che è in ospedale, ancora la possibilità di un avanzamento sul lavoro, la nascita di un nipote e così via. Sono tante le speranze, piccole e grandi, che ognuno di noi ha nel cuore e che ci tengono vivi.

Vorrei però soffermarmi un momento su coloro che sono, con Maria, Giuseppe e il Bambino, i protagonisti del brano di Vangelo di questa notte, cioè i pastori. Proviamo a metterci nei loro panni e a chiederci quali erano le loro speranze in quella notte. Non è difficile immaginarle: la speranza che le pecore e le capre non avessero malattie, la speranza di non subire nel deserto l’assalto di predoni o di lupi, la speranza di poter vendere con un buon guadagno lana, latte e formaggio, la speranza di poter far pascolare il gregge su prati erbosi senza essere cacciati via daicontadini, la speranza che i loro bambini riuscissero a sopravvivere nonostante tante malattie e così via.

Avevano anche qualche speranza che andasse al di là dei bisogni immediati della vita? Forse sì, in particolare i pastori più inseriti nella religiosità del loro popolo, quelli che conoscevano almeno le pagine più importanti della Bibbia. La speranza in quel caso riguardava un personaggio misterioso, il “messia”, un discendente di Davide che doveva liberare il popolo dai romani e dal re Erode per ripristinare il regno di Israele. È anche vero che i pastori sapevano bene che, ci fossero i romani o un re qualsiasi o persino il re messia, le cose non sarebbero cambiate molto per loro. O forse potevano cambiare in peggio, perché si sa, il potente di turno ha spesso la tentazione diangariare e sfruttare la povera gente, imponendo tasse esose o sequestrando i greggi per nutrire ilproprioesercito.

Ebbene a quei pastori, con quelle speranze che possiamo realisticamente immaginare, viene dato un annuncio dall’angelo inviato da Dio: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». Un annuncio di una grande gioia per loro, non perché vengono risolti i loro problemi o esaudite le loro attese, le loro speranze, ma perché «è nato per voi un Salvatore». Non semplicemente un re messia, capace di liberare il popolo dallo straniero, ma un “salvatore”, uno che porta salvezza.

Che cosa è la salvezza? Penso che i pastori se lo siano domandato. Possiamo dire che èqualcosa che va al di là di tutto ciò che quegli uomini stavano sperando, perché le loro speranze,che abbiamo ipotizzato, riguardavano una serie di realtà, più o meno importanti, ma tutte dentro l’orizzonte terreno della vita. Lo stesso – se ci pensiamo – vale per le nostre speranze. solo un po’ più raffinate rispetto a quelle dei pastori, ma tutte dentro il perimetro della nostra vita.

Questo ci basta? Ci basta passare bene il Natale, avere un momento di serenità in famiglia, riprendere un po’ di salute, migliorare sul lavoro, ecc.? Tutte cose anche importanti, ma ci sono sufficienti? O siamo fatti per molto di più? Non è forse che abbiamo bisogno di una salvezza che dia un senso a tutta la nostra esistenza, che dia una risposta a quel desiderio profondo che abbiamo nel cuore di una vita, di una gioia, di un amore che siano per sempre? Si tratta di qualcosa di così bello che non ci sembra vero a tal punto che abbiamo paura di sperarlo. E allora ci accontentiamo delle nostre speranze, belle, importanti ma che non vanno troppo lontano.

Il Natale ci invita invece ad avere una speranza grande, una speranza eccedente perché ci viene donato il Salvatore, Dio stesso che si fa uomo e che dice che la nostra vita ha un senso, che non veniamo dal niente e non siamo destinati al niente, ma veniamo da un Amore che ci ha creati, che ci salva, che ci perdona, che ci ha fatto suoi figli, che ci vuole per sempre felici con Lui.Realmente per tutta l’umanità c’è una luce, c’è una speranza, c’è una gioia. La profezia di Isaia non è un bel sogno, ma è fondata sull’amore di Dio e per questo è vera: «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia». Siamo noi questo popolo immerso nelle tenebre, per noi c’è la luce del Natale. Quel Bambino avvolto in fasce è anche per noi, e non solo per i pastori di Betlemme, il segno che Dio ci ama, si salva, ci prepara la sua gioia.

Dobbiamo sperare questa notte, non avere paura di una speranza grande, una speranza veramente “beata” perché ha come oggetto l’amore di Dio, che già sperimentiamo in tante realtà della nostra vita, ma che si manifesterà in pienezza al compimento di tutto. Buon Natale, allora, un Natale di speranza. Bon Nadal. Vesel Božič.

+ vescovo Carl