Una chiesa aperta ed accogliente verso tutti
Sabato 28 novembre 2020 l’arcivescovo Carlo ha presieduto in duomo la liturgia eucaristica nella festa della Dedicazione della Cattedrale
28-11-2020

Celebriamo questa sera l’anniversario della dedicazione di questa chiesa cattedrale. Non si tratta solo di un ricordo di un fatto passato, pur doveroso, e non si tratta neppure di fare altrettanto doverosa memoria di chi prima di noi ha costruito e ricostruito questa chiesa nella sua travagliata storia e di chi lungo i secoli qui ha ascoltato la Parola di Dio, ha celebrato l’Eucaristia, ha pregato, invocato e lodato il Signore nei momenti difficili e in quello più sereni. Si tratta invece di riflettere soprattutto sul profondo significato di una chiesa e di una chiesa cattedrale.
Un significato anzitutto reale e direi molto fisico prima ancora che simbolico. Certo – e lo ricorderemo tra poco – la chiesa edificio è simbolo della Chiesa costituita da tutti i credenti e lo è anche della casa di Dio che è la nostra vita, il nostro cuore. Ma non è solo simbolo: è qualcosa di vero, di tangibile, di riconoscibile, uno spazio architettonico costruito con pietre, marmi, legno, ecc. con un suo disegno, un suo modo di manifestare la fede e di esprimerla nella liturgia e nella preghiera accogliendo una precisa comunità. Ci siamo resi conto nostro malgrado di questa fisicità e della sua importanza quando nei mesi primaverili non è stato possibile celebrare in chiesa e anche qui si è potuto solo trasmettere on line a porte chiuse delle Sante Messe celebrate senza la presenza del popolo di Dio. Da qualche mese abbiamo potuto riprendere le celebrazioni, ma con molte limitazioni fisiche. E’ già una grazia. E tutto questo ci fa comunque capire l’importanza di uno spazio fisico e non solo virtuale dove poterci ritrovare come comunità cristiana, riunita attorno alla Parola e ai Sacramenti. Ringraziamo il Signore di avere questo spazio e in particolare questa chiesa che ci è cara.

Una chiesa che come la Chiesa con la “c” maiuscola deve essere aperta e accogliente verso tutti. Ce lo ha ricordato la prima lettura: nessuno deve sentirsi straniero nella casa del Signore, tutti devono poter essere accolti. Una particolare cura deve essere rivolta a chi entra a far parte della comunità cristiana con il Battesimo: sia i bambini con le loro famiglie, sia gli adulti non battezzati che si avvicinano alla fede e che, pur ancora in piccolo numero, non sono più un’eccezione (domani cinque di loro incominceranno il cammino del catecumenato). L’ho richiamato anche nella lettera pastorale di quest’anno e, nonostante le limitazioni, deve essere un punto su cui crescere insieme.

La seconda lettura di questa sera ricorda che il vero tempio di Dio siamo noi, la Chiesa: l’edificio sacro ne è come il simbolo. Questo edificio non è però una semplice chiesa, non è solo la chiesa di una parrocchia e di un’unità pastorale, ma è la cattedrale. Simboleggia, quindi, non genericamente la Chiesa, ma la nostra Chiesa diocesana. Mi capita a volte di lamentarmi dell’ancora non sufficiente senso di appartenenza alla Chiesa diocesana, che almeno in parte ci caratterizza come diocesi (se mi permettete una parentesi, penso sia legittimo che anche il vescovo si lamenti, ovviamente per affetto verso la comunità di cui è pastore. Mi sento in questo senso molto interpretato dalle parole di san Paolo quando, scrivendo ai Corinti, parla di essere geloso della sua Chiesa e desideroso che sia ancora di più quella bella sposa che ha promesso a Cristo). Non sono contrario – anzi tutt’altro – che ogni comunità locale esprima la propria identità e abbia le proprie iniziative e tradizioni, ma vorrei che tutto questo avvenisse nella comunione, nell’apprezzamento reciproco e, soprattutto, dentro una trama pastorale comune alla cui delineazione tutti partecipino e non andando invece ogni comunità per proprio conto. Se posso esprimermi usando l’immagine di questa cattedrale, a volte è come se mentre avviene la celebrazione con il vescovo qui nel presbiterio, in ogni altare laterale ci fossero in contemporanea varie celebrazioni, magari anche molto simili, ma a prescindere da quella centrale e da quelle celebrate negli altari vicini. Occorre camminare, con fiducia e senza scoraggiamenti, per migliorare perché c’è ancora diversa strada da fare e spero da parte mia, con tutto il presbiterio diocesano, di essere se non un “saggio architetto” come si definisce san Paolo nella seconda lettura, almeno un capomastro con un po’ di esperienza e la collaborazione di una buona manovalanza….

Il Vangelo, infine, ci porta a una dimensione più intima e personale della Chiesa. Gesù, che pure frequentava tempio e sinagoghe, sceglie come sua casa anche le case degli uomini e delle donne del suo tempo. Case ospitali di amici, come quella di Marta, Maria e Lazzaro dove spesso si fermava, o come quella di Pietro, diventata punto di riferimento per la predicazione a Cafarnao e dintorni; case più ufficiali dove essere invitato da ospiti di un certo peso sociale, ma senza lasciarsi mettere in soggezione e perdere la libertà di annunciare il Vangelo con tutte le sue esigenze; case dove celebrare una festa di nozze come a Cana. E nel brano di oggi, la casa di un ricco pubblicano,Zaccheo, rispettato formalmente ma tenuto a distanza e considerato un peccatore dal popolo, che Gesù ritiene invece figlio di Abramo (cioè parte a tutti gli effetti del popolo di Dio) e di cui vuole essere ospite. Gesù vuole entrare anche nella casa di ciascuno di noi, vuole essere ospitato in particolare nel nostro cuore, nella parte più intima di noi, in quella camera segreta in cui ognuno è solo con se stesso in piena verità. Lì il Signore vuole essere ospitato, vuole porre la sua abitazione, vuole che in noi ci sia la dimora della Trinità, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Interessante è notare come Zaccheo si prepara ad accogliere Gesù: non pulendo la casa, stendendo tappeti, confezionando cibi succulenti, … Avrà fatto poi anche tutto questo. Ma anzitutto cambiando vita: rimediando al male commesso («se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto») e mettendosi concretamente sulla strada della carità: «io do la metà di ciò che possiedo ai poveri». Accogliere la presenza del Signore in noi, diventare suo tempio, sua dimora, chiede anche a ciascuno di noi gesti concreti di conversione. Una conversione come risposta all’amore preferenziale che Gesù ha per ognuno, desiderando di essere ospitato da noi. Una conversione concreta, ispirata dallo Spirito Santo che nel cuore ci può suggerire quali passi compiere per ospitare il Signore Gesù e trovare in Lui, a nostra volta, la nostra casa, la nostra gioia.

+ vescovo Carlo