Qual è allora il rapporto tra Pasqua e sacerdote?
Omelia in occasione delle esequie di don Valerio Gregori in S.Eufemia a Grado
02-12-2023

Sabato 2 dicembre 2023, l’arcivescovo Carlo ha presieduto nella basilica di S. Eufemia a Grado le esequie di don Valerio Gregori.

Da quando sono stato nominato vescovo qui da noi celebro e prego ovviamente in rito romano. Prima mi capitava più raramente, soprattutto quando presiedevo qualche funzione nella zona della diocesi di Milano dove vige il rito romano, come la città di Monza e altri comuni limitrofi. Ogni rito ha un suo modo di celebrare la sua fede nel Signore ed è ugualmente degno e significativo davanti a Lui. Ed è stato per me un dono poter conoscere i due riti dal di dentro.

Ci sono però alcune cose che rimpiango del rito ambrosiano, una in particolare mi viene sempre in mente quando c’è l’occasione di celebrare le esequie di un sacerdote. Nella liturgia della Chiesa di Milano, infatti, le letture da proclamare in quella circostanza non sono a libera scelta del celebrante, ma sono prescritte obbligatoriamente. Si tratta di tre brani – perché sono previste tre letture – tutti ripresi dai Vangeli e in particolare dal Vangelo secondo Luca, secondo Matteo e secondo Giovanni. Il primo è il racconto dell’ultima cena con l’istituzione dell’Eucaristia; il secondo narra la morte di Gesù in croce; il terzo presenta l’apparizione del Risorto. In una parola, sono tre passi evangelici che in sintesi ci presentano il mistero pasquale. Perché si devono utilizzare questi brani per i funerali dei presbiteri e anche dei vescovi e dei diaconi?

La risposta è intuitiva: se è vero che ogni cristiano è battezzato nella Pasqua di Cristo ed entra in comunione con quel mistero grazie all’Eucaristia, è però altrettanto vero che il sacramento dell’ordine, che qualifica la vita del diacono, del presbitero, del vescovo, ha un legame particolarissimo con il mistero della Pasqua. Un legame che dice l’essenza profonda dell’essere diacono, presbitero e vescovo e svela il senso della vita di ogni uomo che ha accolto la chiamata del Signore a uno specifico ministero e per mezzo della Chiesa è stato consacrato nello Spirito con il sacramento dell’ordine. Un sacramento che non è un’aggiunta alla vita e alla persona di chi viene ordinato, quasi un abito di cui rivestirsi, ma che può essere dismesso, ma ne connota profondamente la sua stessa essenza. Ci insegnavano a catechismo che è un sacramento che imprime il carattere. La cosa è così vera che alla domanda su chi è, per esempio, don Nino, don Alessio, don Diego (cito gli ultimi nostri confratelli defunti…), o qualsiasi altro sacerdote, compreso don Valerio, la risposta non può che essere: un sacerdote, un presbitero.

Mi verrebbe da dire che il resto è secondario. In realtà non lo è, perché il sacramento dell’ordine è dato a un battezzato con una propria unica esperienza di fede e a un uomo con la sua altrettanto unica umanità. E se il sacramento non è un’aggiunta esterna, quasi appunto un abito, il credente e l’uomo non è un semplice appoggio, quasi un manichino da rivestire con l’abito del sacramento.

Dicevo all’inizio della splendida intuizione del rito ambrosiano che proprio nel funerale di un sacerdote propone i Vangeli della Pasqua come chiave di interpretazione della vita di ogni uomo che ha ricevuto il sacramento dell’ordine. Per questo motivo ho scelto, per queste esequie in cui ricordiamo e preghiamo per don Valerio in questa basilica che gli è stata tanto cara, il brano della passione secondo Giovanni e un passo della lettera di Paolo ai Romani che si collega a esso molto bene.

Qual è allora il rapporto tra Pasqua e sacerdote? La risposta è facile. Il sacerdote anzitutto è tale per annunciare quello che chiamiamo il kerygma, cioè Gesù morto e risorto come nostro Salvatore, appunto l’annuncio della Pasqua. Inoltre, ed è un secondo motivo, un sacerdote ha il compito di celebrare l’Eucaristia, di imprestare per così dire la propria persona – i propri gesti, le proprie parole – al Signore, affinché il mistero pasquale del dono di sé che Gesù fa del suo Corpo e del suo Sangue si renda presente e così possiamo entrare in comunione con Lui e diventare tutti l’unico suo Corpo, che è la Chiesa. E anche gli altri sacramenti che il sacerdote presiede sono sempre e comunque l’offerta di una partecipazione al mistero pasquale: il Battesimo, la Penitenza, l’Unzione degli infermi, l’assistenza alle nozze. Questo non per merito, ma grazie all’opera di quello Spirito che, come ricordato da san Paolo nella prima lettura, ci rende figli e ci fa attendere con speranza e desiderio, unitamente a tutta l’umanità e a tutta la creazione, il compimento pieno del Regno di Dio.

Chi è stato allora don Valerio? Quello che ho detto per ogni sacerdote vale anche per lui, con la sua vicenda personale particolare e anche sofferta. Riferire la persona e la vita di un sacerdote al mistero pasquale non è un escamotage per evitare di entrare nel dettaglio della sua vita: ammesso che sia saggio e sia possibile, perché solo Dio conosce il cuore di ciascuno, anche dei sacerdoti. No, è invece comprendere almeno come intuizione la grandezza della persona e della vita di un sacerdote, superando la nostra tentazione – in parte inevitabile – di giudicare la sua vita con criteri di efficienza e di efficacia, magari anche solo pastorali. Non è così, il criterio fondamentale è solo la Pasqua.

Aggiungo un altro criterio: la partecipazione personale del sacerdote al mistero pasquale. Una partecipazione talvolta molto interiore o, almeno a un giudizio esterno, riservata solo ad alcuni momenti o periodi della vita. Altre volte, invece, la relazione con il mistero della croce di Cristo è più evidente e prolungata. Così è stato per don Valerio. Non possiamo dire molto di più, né serve aggiungere altre parole. O, caso mai, se servono parole sono quelle della fede, che ci aiutano a vedere nella persona e nella vita di don Valerio, la presenza della Pasqua del Signore, finora più facilmente la passione e la morte, ma ora con ancora più verità e convinzione la speranza della risurrezione.

Quella speranza che ci porta a pregare per questo nostro confratello e anche a credere che lui stesso, ormai presso il Signore risorto, pregherà per noi, a cominciare dalle sorelle, dai parenti, dai conoscenti e dai confratelli sacerdoti, affinché a tutti, sacerdoti e fedeli, sia data la grazia di vivere già qui la Pasqua di Cristo in attesa di cantare un giorno tutti insieme l’Alleluia che non avrà mai fine.

+ Carlo Roberto Maria Redaelli