«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama»
Omelia nella Notte di Natale 2022
24-12-2022

Nella notte del Natale 2022, l’arcivescovo Carlo ha presieduto la solenne concelebrazione eucaristica in cattedrale pronunciando la seguente omelia.

“Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» è il canto degli angeli in questa notte. Un canto che parla di pace sulla terra.

Quest’anno, più che in altre notti di Natale, la pace è qualcosa che ci sta a cuore. La guerra in Ucraina, che va avanti da quasi un anno, ci ha fatto aprire gli occhi sulla presenza della guerra nel mondo, una presenza che non è mai venuta meno in tante parti del nostro pianeta. Gli altri anni quasi non ce ne accorgevamo: erano conflitti lontani, ora invece la guerra è nel cuore dell’Europa e ne subiamo anche le concrete conseguenze.

“Sulla terra pace agli uomini che egli ama”. La traduzione in uso fino a pochi anni fa, che utilizzavamo anche nel “Gloria” della messa, diceva “pace in terra agli uomini di buona volontà”. Quella attuale è la traduzione che corrisponde in maniera corretta al testo originale dei Vangeli, che sono stati scritti in greco.

La vecchia traduzione, però, poteva portarci a evidenziare con forza il legame tra pace e buona volontà degli uomini: se c’è la pace è perché c’è la buona volontà; se al contrario c’è la guerra, allora c’è la cattiva volontà di qualcuno. La cosa è vera e sottolinea pienamente la responsabilità degli uomini. Le guerre non sono delle calamità naturali come i terremoti o le alluvioni (dove c’è comunque in gioco anche una dose di responsabilità umana che può prevenire e cercare di limitare i danni dei disastri naturali o addirittura favorirli): dietro ogni guerra, invece, c’è qualcuno che la vuole. La nuova traduzione delle parole degli angeli, invece, sembra dare più responsabilità a Dio. Si dice: “pace in terra agli uomini che egli ama”. Se c’è la guerra vuol dire allora che Dio non dà la pace agli uomini che ama? O forse non li ama più?

La domanda sul perché Dio non intervenga a fermare le guerre è una domanda seria. E non vale solo per la guerra in Ucraina, ma per tutte le guerre e i conflitti di cui la storia e anche l’attualità sono piene. La domanda si può però allargare a tutto il male che c’è nel mondo e può diventare propriamente una domanda sul Natale. L’angelo ha detto ai pastori: “è nato per voi un Salvatore”. E il profeta l’ha definito “principe della pace” e ha preannunciato che “la pace non avrà fine”. Ma è davvero salvatore se dopo duemila anni dalla sua nascita ci sono ancora calamità, malattie, morti e guerre?

Quanto affermato dall’apostolo Paolo nella seconda lettura puoi aiutarci a dare una risposta a questa domanda. L’apostolo dichiara anzitutto che “è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini”. Questa grazia è Gesù, il Figlio di Dio nato a Betlemme. Ma Paolo ha subito aggiunto che siamo “nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo”. È apparsa quindi la salvezza, anzi il Salvatore, che, come dice sempre l’apostolo Paolo, “ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga”. Il Bambino di Betlemme diventerà infatti Colui che sulla croce darà la sua vita per amore nostro. Lì, sul Calvario, ci è stata data la salvezza, è stata detta la parola definitiva di amore di Dio per l’intera umanità.

Ma la salvezza non ha ancora raggiunto il compimento e dobbiamo attenderlo pieni di speranza. Stiamo quindi vivendo un tempo della storia che va dalla nascita e dalla Pasqua di Gesù fino alla fine del mondo. Un tempo dove la salvezza che Dio ci ha donato in Gesù è come un seme che deve crescere, anzi qualcosa che è già fiorito, ma che, come il buon grano, è mescolato anche all’erba cattiva, alla zizzania. Un tempo dove siamo chiamati a mettere in gioco la nostra libertà, la nostra capacità di scegliere il bene ma anche il suo contrario, cioè il male, e di assumerci la responsabilità delle nostre decisioni.

Forse avremmo preferito essere programmati per il bene. Ma allora non saremmo state delle persone create a immagine di Dio e quindi libere, capaci di decidere di sé. Non avremmo potuto scegliere il male, ma non avremmo neppure scelto il bene – lo avremmo solo eseguito come un ordine – , non avremmo potuto amare. Perché solo chi è libero può amare, perché l’amore è decidere il dono di se stessi all’altro. Certo se siamo liberi – lo ripeto – possiamo scegliere anche il male e la storia e anche l’attualità ce lo confermano continuamente. Ma se non fossimo liberi, non saremmo figli di Dio.

E allora da dove può venire la pace in questa situazione? La pace è certo dono di Dio e va invocata, chiesta con fede e lo vogliamo fare anche in questa santa notte. Una pace che sia per gli uomini che Dio ama. E Dio ama gli ucraini, ma anche i russi, i nord coreani e i sud coreani, i turchi e i curdi, i ruandesi e i congolesi, ecc. e potremmo andare avanti a lungo se volessimo citare tutti i molti popoli in guerra o a rischio di una guerra. Ma la pace non è un dono automatico: va chiesta e va accolta con disponibilità e impegno. In questo senso anche la vecchia traduzione che parlava degli “uomini di buona volontà” ha ancora valore. Se vogliamo la pace, occorre avere una buona volontà di pace. Questo non riguarda solo i potenti del mondo, che hanno in mano il destino dei popoli. Riguarda anche noi, perché la pace si costruisce nel nostro quotidiano.

Un paio di giorni fa papa Francesco ha affermato: “la cultura della pace non la si costruisce solo tra i popoli e tra le nazioni. Essa comincia nel cuore di ciascuno di noi. Mentre soffriamo per l’imperversare di guerre e violenze, possiamo e dobbiamo dare il nostro contributo alla pace cercando di estirpare dal nostro cuore ogni radice di odio e risentimento nei confronti dei fratelli e delle sorelle che vivono accanto a noi. […] Se è vero che vogliamo che il clamore della guerra cessi lasciando posto alla pace, allora ognuno inizi da sé stesso”.

Come possiamo fare per accogliere l’invito di papa Francesco? Sempre nella seconda lettura di stanotte l’apostolo Paolo dice che la salvezza che ci viene donata da Gesù: “ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà”. Potremmo dire così: se accogliamo la salvezza e vogliamo lavorare per la pace, allora occorre rifiutare il male, l’odio, i giudizi cattivi; cercare invece la giustizia; vivere con semplicità e sobrietà; compiere gesti di riconciliazione. E questo nella vita di ogni giorno.

Domandiamo allora la pace in questa notte santa, ma chiediamo anche al Signore di essere nel nostro piccolo, nel nostro quotidiano, uomini e donne di buona volontà che, proprio perché si sentono amati dal Signore, sanno amare a loro volta e compiere gesti di pace.

Auguri a tutti: Buon Natale, Vesel Božič, Bon Nadâl.

+ vescovo Carlo