"Abbi cura di lui"
Omelia nella Giornata del malato 2023
11-02-2023

Sabato 11 febbraio 2023, l’arcivescovo Carlo ha presieduto nella chiesa di San Giusto a Gorizia la messa in occasione della celebrazione della Giornata diocesana del malato. Proponiamo di seguito la sua omelia.

Papa Francesco ha scelto per questa Giornata mondiale del malato un tema molto significativo: «Abbi cura di lui». La compassione come esercizio sinodale di guarigione». È evidente il collegamento con il brano di Vangelo che abbiamo appena ascoltato, la notissima parabola del Buon samaritano.

“Abbi cura di lui” è quanto il samaritano, che ha avuto compassione dell’uomo assalito dai briganti e lasciato a terra mezzo morto, dice all’albergatore cui consegna il ferito affinché appunto lo possa curare. Quell’abbi cura di lui non è uno scaricare su altri l’impegno della cura di un bisognoso. Il samaritano, infatti, non solo si è accorto del ferito che giaceva per terra sulla strada – cosa che non è avvenuta per il sacerdote e il levita –, ma mosso a compassione si è dato da fare per prestargli le prime cure. E anche nel momento in cui affida il ferito all’albergatore, promette di ritornare e di pagare quanto sarà stato necessario per curare quel malcapitato.

Mi sembra facile vedere nell’agire del samaritano quello che dovrebbe essere anche il nostro atteggiamento verso le persone malate o comunque bisognose: anzitutto un impegno in prima persona, per quanto è possibile e utile, e poi il ricorso a realtà specializzate, non per “scaricare” a loro il malato o comunque la persona in difficoltà, ma per “affidare” alle loro cure chi ha bisogno – non importa che quel “loro” sia un ospedale, una casa di cura, una RSC o persino un hospice, … -, con l’impegno di continuare a star vicino alla persona di cui ci siamo interessati.

Stare vicino è la cosa fondamentale e che più di altro il malato desidera. Sappiamo purtroppo come il dramma del Covid è stato sì la malattia, spesso molto grave al punto da esigere giorni e a volte settimane di terapia intensiva, malattia conclusasi frequentemente con la morte, ma forse ancora di più il fatto che i malati e anche i morenti – soprattutto nella prima fase della pandemia – siano stati lasciati soli, irraggiungibili, per ovvi ma dolorosi motivi di prevenzione del contagio, anche da parte di parenti e amici.

Papa Francesco nel suo testo descrive molto bene questa esigenza del malato di non restare solo, fin dal momento dei primi sintomi o di una diagnosi preoccupante. Ecco le sue parole: «Fratelli, sorelle, non siamo mai pronti per la malattia. E spesso nemmeno per ammettere l’avanzare dell’età. Temiamo la vulnerabilità e la pervasiva cultura del mercato ci spinge a negarla. Per la fragilità non c’è spazio. E così il male, quando irrompe e ci assale, ci lascia a terra tramortiti. Può accadere, allora, che gli altri ci abbandonino, o che paia a noi di doverli abbandonare, per non sentirci un peso nei loro confronti. Così inizia la solitudine, e ci avvelena il senso amaro di un’ingiustizia per cui sembra chiudersi anche il Cielo. Fatichiamo infatti a rimanere in pace con Dio, quando si rovina il rapporto con gli altri e con noi stessi».

Stare vicino, parlare e ascoltare il malato, fargli una telefonata, mandargli un messaggio, donargli un sorriso (magari nascondendo le lacrime che vorrebbero sgorgare dai nostri occhi), tenergli la mano, fargli una carezza, … sono tutti gesti che esprimono una reale compassione. Dove il termine, lo si capisce bene, indica un con-patire, un soffrire, ma anche uno sperare, un pregare, un piangere, … insieme al malato.

Anche la comunità cristiana in quanto tale è chiamata a vivere una reale vicinanza verso chi è malato. Una persona che non deve sentirsi esclusa dalla comunità, cosa particolarmente dolorosa per chi ne è stato parte attiva fino al momento della malattia o del sopraggiungere di uno stato di vecchiaia invalidante. Per questo raccomando che ogni comunità parrocchiale, anzi ogni unità pastorale, abbia un numero sufficiente di ministri straordinari della Comunione al fine di portare l’Eucaristia ai malati preferibilmente di domenica e partendo pubblicamente al termine della Messa, affinché tutta la comunità si senta coinvolta da questo gesto di reale comunione con chi, malato, non cessa di esserne parte. Come anche dovremmo riscoprire il sacramento dell’unzione dei malati, che tra poco verrà conferito ad alcuni dei presenti. Non è il sacramento di chi sta morendo e ha ormai perso conoscenza (“così non capisce”, si dice come se il malato grave fosse stupido…), ma è il sacramento della consolazione e della forza che viene dalla grazia del Signore.

Papa Francesco sottolinea questo impegno della Chiesa nel suo insieme: «Ecco perché è così importante, anche riguardo alla malattia, che la Chiesa intera si misuri con l’esempio evangelico del buon samaritano, per diventare un valido “ospedale da campo”: la sua missione, infatti, particolarmente nelle circostanze storiche che attraversiamo, si esprime nell’esercizio della cura. Tutti siamo fragili e vulnerabili; tutti abbiamo bisogno di quell’attenzione compassionevole che sa fermarsi, avvicinarsi, curare e sollevare. La condizione degli infermi è quindi un appello che interrompe l’indifferenza e frena il passo di chi avanza come se non avesse sorelle e fratelli».

La sinodalità, su cui stiamo riflettendo in questi anni, è – come dice il termine “sinodo” – camminare insieme. Lo si deve fare anche nell’affrontare insieme il tema della malattia e del dolore   nell’esercitare insieme la compassione verso chi è in difficoltà per la sua salute. Allora diventa guarigione, come afferma il titolo di questa giornata: «La compassione come esercizio sinodale di guarigione». Una guarigione non necessariamente rispetto alla malattia, ma certamente rispetto alla solitudine e alla fatica interiore. Una guarigione che è anche di chi si avvicina al sofferente e attraverso la compassione ha la grazia di vincere progressivamente il proprio egoismo, le proprie paure, le proprie incertezze.

Celebriamo questa giornata nell’anniversario delle apparizioni di Lourdes. Maria è la madre della misericordia, la madre della compassione. Ci è vicina sempre, come buona mamma, in particolare nei momenti più difficili. Del resto glielo chiediamo in ogni Ave Maria: quel “prega per noi peccatori, adesso [adesso: in ogni situazione in cui ci troviamo] e nell’ora della nostra morte” non vuol dire prega per noi da lontano, ma sta vicino a ciascuno di noi con il tuo amore di madre. A Lei affidiamo in questo giorno tutti i malati e i sofferenti: i nostri parenti, amici, conoscenti, ma anche tutti coloro che soffrono per la malattia – soprattutto le persone più sole – e anche, è doveroso ricordarlo oggi, chi è ferito e bisogno di cure a causa del terremoto, della guerra, di altre calamità. A Lei affidiamo anche chi per professione – ma oserei dire “per vocazione” – si prende cura dei malati: lo possa fare sempre con grande umanità e attenzione, ma anche con il sostegno e l’apprezzamento della comunità. A Lei affidiamo anche chi ha una responsabilità pubblica ed è chiamato, pur nella scarsità delle risorse, a garantire a tutti un servizio sanitario capace di professionalità, efficienza e tempestività. Su tutti invochiamo, per intercessione di Maria, la benedizione e la consolazione del Signore.

+ vescovo Carlo

 

(foto d’archivio ANSA/SIR)