Perché Gesù è stato ucciso?
Perché i sommi sacerdoti, gli scribi e i farisei lo hanno consegnato a Pilato affinché fosse crocifisso?
Si sono elaborate tante teorie sul processo del sinedrio e sul perché i capi del popolo abbiano deliberato di uccidere Gesù: Fastidio e rabbia per le sue parole di rimprovero? invidia per il suo successo presso la gente? preoccupazione per la reazione dei romani pronti a reprimere rivolte messianiche?…Motivi che hanno una parte di verità e sono anche registrati dai Vangeli.
Ma la vera ragione viene riportata dal racconto della passione, che quest’anno leggiamo secondo il Vangelo di Matteo, e l’ha esposta chiaramente il sommo sacerdote Caifa: “”Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?”. E quelli risposero: “È reo di morte!””.
Gesù viene messo a morte perché bestemmiatore.
La condanna a morte era quanto previsto dalla legge mosaica per punire chi aveva bestemmiato: “Chi bestemmia il nome del Signore dovrà essere messo a morte: tutta la comunità lo dovrà lapidare. Straniero o nativo della terra, se ha bestemmiato il Nome, sarà messo a morte” (Levitico 24,16). Una norma precisa, quella contenuta nel capitolo 24 del libro del Levitico. Per altro anche durante la sua vita pubblica Gesù era stato più volte accusato di bestemmia e, stando al Vangelo di Giovanni, si era tentato di lapidarlo per questo motivo, in perfetta obbedienza alla prescrizione di Mosè.
Ma in che cosa consiste la bestemmia di Gesù?
È la sua risposta alla richiesta del sommo sacerdote: “Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio”. Gesù risponde: “Tu l’hai detto; anzi io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo”.
Ecco la bestemmia.
La cosa risulta ancora più chiara nel dialogo tra Gesù e i Giudei nel cap. 10 del Vangelo di Giovanni: “Di nuovo i Giudei raccolsero delle pietre per lapidarlo. Gesù disse loro: “Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale diesse volete lapidarmi?”. Gli risposero i Giudei: “Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio”” (Gv 10,31-33).
Ecco la bestemmia di Gesù: farsi Dio. Un uomo che si proclama figlio di Dio: ecco l’offesa a Dio. Perché sarebbe un’offesa a Dio? Perché se un uomo fosse figlio di Dio, allora Dio potrebbe essere un uomo.
Come è possibile che Colui che è l’Inconoscibile, il Creatore, l’Onnipotente, il Signore sia uomo?
Notate che a noi questa sembra una questione strana, ma lo è perché abbiamo perso il senso di Dio, il suo essere la Trascendenza assoluta e lo abbiamo ridotto a un’idea o a qualcosa di troppo familiare, persino un po’ banalizzato.
Ma Dio è Dio: Lui è il Creatore dell’universo, di quell’universo dove il nostro pianeta è poco più di un granello di polvere; Lui è il Signore del tempo, di quel tempo del mondo che noi tentiamo di contare in miliardi di anni.
La più grande eresia con cui la fede cristiana ha dovuto combattere per due secoli nella prima metà del primo millennio – l’arianesimo – partiva proprio dal rispetto della trascendenza di Dio e per questo sosteneva che Gesù è il più grande di ogni creatura, ma non è e non può essere figlio di Dio. Il credo, che pronunciamo nella S. Messa domenicale, con le sue formule ripetitive – “Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero…” – è la risposta a questa eresia: Gesù, l’uomo Gesù, è veramente Dio.
Potremmo dire che la bestemmia di Gesù, secondo la concezione che era propria di chi lo ha condannato, è cominciata a Natale: Dio che diventa un bambino, un bambino simile a tanti altri.
Come è possibile? Ma diventerà ancora più forte sul Calvario: Dio inchiodato sulla croce? È davvero una bestemmia! C’è un solo modo per superare questa bestemmia e non è quello di “banalizzare” Dio, ma di prenderlo sul serio, cambiando però radicalmente l’idea che l’umanità ha di Lui.
Un cambio, una vera e propria conversione, che può avvenire solo contemplando la croce: lì c’è la rivelazione di Dio.
Lo hanno intuito molto bene gli artisti che hanno spesso rappresentato la Trinità con al centro il Crocifisso, sostenuto dall’abbraccio del Padre e con la presenza della colomba, simbolo dello Spirito. Questa è la Trinità: la croce è dentro di essa.
Lo ha descritto con parole impressionanti san Paolo in un passo del secondo capitolo della lettera ai Filippesi: “Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce”.
Un Dio che “si svuota”, che diventa “schiavo” (la traduzione “servo” delle nostre Bibbie è un po’ edulcorata…), che va a morire del supplizio indegno per un uomo libero, la croce, è una bestemmia per la nostra idea di Dio. Ma Paolo aggiunge subito che in realtà ciò è tutt’altro che l’offesa, quanto l’esaltazione del vero nome di Dio: “Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni
ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è Signore!”, a gloria di Dio Padre”.
Siamo salvi per questa “bestemmia” di Dio. Vorrei tanto che in questa Pasqua questa “bestemmia” di Dio ci scandalizzasse, ci facesse star male, ci tormentasse, ci facesse persino essere d’accordo con Caifa. Perché solo così potremmo capire qualcosa della croce e intuire, magari solo per un istante – ma sarebbe una grande grazia…-, chi è Dio, quel Dio che per amore ha rinunciato a esserlo “svuotandosi” per amore nostro. Che la Pasqua sia per tutti la scoperta di un Dio diverso, Dio un Dio che scandalosamente si è fatto uomo, si è fatto crocifisso in mezzo ai malfattori, affinché ogni uomo, ogni donna – non importa se santi o peccatori, se ricchi o poveri, se credenti o non credenti – riscopra la grande dignità di essere figlio, figlia di Dio.
Buona Pasqua,
+ Carlo Roberto Maria Redaelli