Una missione che è anzitutto l’annuncio di una Parola di salvezza (2014)

Thursday 17 April 2014

L’omelia di mons. Redaelli durante la celebrazione della “Missa Chrismatis” il Giovedì Santo 17 aprile 2014 in chiesa cattedrale

«Mi ha mandato ad annunziare ai poveri un lieto messaggio». Così Gesù descrive la sua missione facendo proprie le parole del profeta.

Una missione che è anzitutto l’annuncio di una Parola di salvezza. Un annuncio efficace, perché non si esprime solo attraverso tre verbi: annunciare, proclamare predicare, ma diventa “rimettere in libertà gli oppressi”.

Così è stata la vita di Gesù: un costante annuncio del Regno di Dio attraverso parole e segni di salvezza che dicono che questo Regno non è più solo atteso, ma è già iniziato.

Quest’anno la nostra Chiesa ha dato molto rilievo alla Parola, non tanto anzitutto come annuncio, quanto piuttosto come realtà per dire se stessa. Abbiamo imparato a esprimere chi siamo – “Chi è la Chiesa” – attraverso la Parola, in particolare gli Atti degli Apostoli.

Un ripiegamento su noi stessi, un guardarci per così dire allo specchio, sia pure quello della Parola, invece che dedicarci all’annuncio? No, non era questo l’intento che ci ha guidato e non lo è. La Chiesa, infatti, non è un mero strumento per annunciare la salvezza, ma è la comunità di chi, grazie allo Spirito, ha accolto la Parola di salvezza e ne diventa testimone.

So che in concreto le nostre comunità hanno compiuto questo cammino grazie soprattutto ai sacerdoti e alla loro passione per la Parola e di questo sono molto grato al Signore e a ciascuno di voi.

Una passione che deve diventare sempre più forte. Possiamo guidare le nostre comunità a rileggersi alla luce della Parola, solo se noi anzitutto siamo presi da questa Parola, se essa diventa ciò che interpreta la nostra vita, ciò che illumina la nostra missione, ciò che ci dona consolazione nei momenti di incertezza, ciò che riempie in ogni momento il nostro cuore e la nostra mente.

Occorre essere noi per primi ascoltatori della Parola, essere “sotto la Parola”. Questo stare “sotto la Parola” viene espresso plasticamente nel rito dell’ordinazione del vescovo, quando l’ordinando resta in ginocchio mentre due diaconi reggono aperto sul suo capo, a mo’ di tetto, il Vangelo. Ciò, però, vale non solo per il vescovo, ma per coloro che con lui vivono la dedizione alla Parola, ossia i presbiteri e i diaconi, oltre che per tutti i fedeli soprattutto chi, come i catechisti, svolge uno specifico servizio alla Parola.

Occorre avere il gusto e persino il piacere per la Parola, il desiderio di condividerla – e penso che tutti abbiamo sperimentato la gioia di scoprire con le nostre comunità anche aspetti della Scrittura cui non avevamo mai prestato attenzione –, il desiderio di viverla.

La Sacra Scrittura è un tesoro immenso, che ci sorprende continuamente persino negli aspetti formali. Solo due esempi relativi ai Vangeli.

Ricordo che p. Silvano Fausti, un grande maestro nella Parola, mi aveva fatto notare una volta che nei Vangeli non ci sono praticamente aggettivi, ma quasi solo verbi. Anche il brano di Vangelo di oggi è così: l’unico aggettivo “lieto” collegato a “messaggio” e ad “annunciare” nell’originale greco è un solo verbo. Un Vangelo fatto di verbi, che va subito all’essenziale, a ciò che conta e converte i cuori.

Un altra annotazione curiosa, ma significativa, sempre riferita ai Vangeli, riguarda l’assenza in essi di colori. Un Vangelo quindi in bianco e nero, grigio e un po’ noioso? In realtà il Vangelo non è a colori non perché è in bianco e nero, ma perché è, per così dire, in “luce e tenebre”. Lo dice chiaramente il prologo di Giovanni che del Verbo, della Parola, afferma: «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta» (Gv 1, 4-5).

La Parola di Dio accolta porta alla conversione e ai sacramenti. La cosa è evidente proprio a Pentecoste dove l’annuncio di salvezza fatto da Pietro spinge gli ascoltatori a chiedere: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?». E la risposta di Pietro è: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo» (Atti 2,37-38).

Penso che un dono oggi per la nostra Chiesa – grazie anche ai continui richiami di papa Francesco – sia la riscoperta della centralità del Battesimo e del suo essere a fondamento anche degli altri sacramenti.

Non si può infatti intendere il sacramento della Confermazione se non come conferma del dono dello Spirito ricevuto nel Battesimo e il sacramento della Riconciliazione se non come un immergersi ancora una volta nella morte di Cristo per risorgere con Lui a una vita nuova.

Anche l’Eucaristia, che è il vertice dei sacramenti perché ci nutre di Cristo e ci costituisce come Chiesa, è il sacramento di chi è diventato nel Battesimo figlio di Dio.

Il sacramento dell’Ordine e quello del Matrimonio consacrano poi due vocazioni essenziali per la Chiesa, attraverso le quali i fedeli sono chiamati a vivere il Battesimo.

Infine l’Unzione degli infermi è il sacramento che permette di vivere da figli di Dio il momento sofferto e drammatico della malattia.

La nostra Chiesa dovrà maturare progressivamente, anche facendo tesoro dell’esperienza di altre Chiese a noi vicine e della Chiesa italiana nel suo insieme, una maggiore attenzione ai sacramenti, in particolare a quelli dell’iniziazione cristiana. Chiediamo al Signore che, con il dono del suo Spirito, ci suggerisca i passi giusti, insieme prudenti e coraggiosi, da compiere in questa direzione.

E’ in ogni caso significativo che in questa Messa crismale si manifesti l’intreccio tra il sacramento dell’Ordine, con il rinnovo delle promesse emesse al momento della nostra ordinazione, e la benedizione degli oli che verranno usati per il sacramento del Battesimo, della Confermazione, dell’Unzione degli infermi e dell’Ordine. La celebrazione di alcuni sacramenti, come frutto della Parola annunciata e accolta, spetta infatti in particolare ai presbiteri e ai diaconi.

Dobbiamo oggi ringraziare il Signore perché la nostra Chiesa ha ancora un numero sufficiente di presbiteri e diaconi e dobbiamo essere a Lui grati, in particolare, per l’esempio di fedeltà di chi oggi ricorda significativi anniversari di ordinazione.

Anche per il futuro il Signore ci darà la grazia di avere presbiteri e diaconi per la nostra Chiesa?

Intanto ringraziamolo perché nei mesi scorsi ci ha concesso il dono dell’ordinazione diaconale di don Aldo Vittor e nella veglia di Pentecoste ci darà la gioia dell’ordinazione presbiterale di don Giulio Boldrin.

La scelta di inserire questa ordinazione nel contesto della veglia di Pentecoste, tradizionalmente caratterizzata per la presenza di giovani, vuole essere un gesto concreto di pastorale vocazionale.

L’ordinazione non è solo una grazia per chi la riceve, per il vescovo che la conferisce, per il presbiterio che si arricchisce di un nuovo membro e per il popolo di Dio che acquisisce un nuovo ministro. Sono convinto che c’è una grazia speciale per i giovani e i ragazzi che vi partecipano, se lo fanno con fede e con il cuore aperto al dono del Signore.

Chiedo pertanto a tutti i sacerdoti e a tutte le comunità di vivere il tempo pasquale con una forte sottolineatura vocazionale, anche valorizzando la disponibilità di don Giulio a incontri soprattutto con ragazzi e giovani, e vi chiedo di fare in modo che la sera della veglia di Pentecoste la basilica di Aquileia veda la presenza di tanti giovani e ragazzi.

Sono sicuro – e prego e invito anche voi a pregare per questo – che tra qualche anno avremo la gioia di ritrovarci nella stessa basilica per ordinare presbiteri alcuni di loro.

† Vescovo Carlo