Nella mattina del giorno di Natale, 25 dicembre 2023, l’arcivescovo Carlo ha presieduto la concelebrazione eucaristica in S. Ignazio.
Quest’anno vorrei prendere avvio per la nostra riflessione dal primo versetto della prima lettura, tratta dal profeta Isaia: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: “Regna il tuo Dio”».
Il messaggero inviato da Dio annuncia due realtà: la pace e la salvezza. Due realtà che sono connesse. Lo sottolineavo già questa notte: alla base di ciò che è contrario alla pace, cioè la guerra ma anche tutto ciò si oppone alla vita, c’è il peccato, cioè la scelta per il non amore. La salvezza è la sconfitta del peccato, è la possibilità di avere in sé l’amore di Dio e di vivere secondo questo amore, anche impegnandoci per la pace. E la salvezza, lo stiamo celebrando oggi nel Natale, ci viene dal Verbo di Dio che si è fatto carne, quel Verbo, quella Parola di Dio che è vita e luce.
Il passo del Vangelo di Giovanni evidenzia una dinamica che sottolinea la libertà degli uomini: l’accoglienza e il rifiuto. La salvezza non è mai imposta, ma proposta e interpella la nostra libertà.
Il Verbo, che è la luce, può essere accolto, e allora rende luminosi, oppure può essere rifiutato dalle tenebre.
Il Verbo, che è vita, può essere accolto, e allora dona vita e risurrezione, o può essere rifiutato ed esiste la tremenda possibilità della morte eterna.
Il Verbo, che è il Figlio, può essere accolto, e allora si diventa figli («A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome»), o può essere rifiutato, oscurando il nostro essere immagine e somiglianza di Dio.
Questa dinamica tra accoglienza e rifiuto è ripresa dalla liturgia in una delle orazioni della Messa per la pace, orazione che ho scelto di stampare sull’immaginetta per il Natale di quest’anno.
Una preghiera che è stata utilizzata in diversi luoghi di lavoro che ho visitato nei giorni scorsi (grazie alla collaborazione di fra’ Roberto che è incaricato per la pastorale sociale e del lavoro per la nostra diocesi). Una preghiera recitata anche in carcere sabato scorso. Una preghiera, che, mi sembra, è stata molto apprezzata, visto il contesto di guerra in cui è immerso il nostro mondo in questa fine del 2023, ma anche in prospettiva della marcia nazionale della pace che avremo il dono e il compito di ospitare la sera del 31 dicembre nella nostra città, marcia che si concluderà con una celebrazione nella concattedrale di Nova Gorica.
Vorrei allora commentare con voi questa preghiera, invitandovi a utilizzarla anche personalmente nei prossimi giorni: la trovate nelle nostre tre lingue sulla immaginetta che distribuirò alla fine.
Come dicevo, la preghiera riprende la contrapposizione tra l’accoglienza e il rifiuto di Dio e della sua pace. Inizia con un’affermazione impegnativa ma molto significativa: «Dio, sei tu la vera pace». Dio è Dio, Dio è tutto e quanto c’è di buono, di bello e di vero trova in Lui la pienezza, anche la stessa pace. Dove c’è Dio, c’è anche la pace. E dove c’è pace, c’è un segno della presenza di Dio.
La preghiera continua: «non ti può accogliere chi semina discordia e medita violenza». Se Dio è la pace, è ovvio che chi semina discordia e medita violenza non può riceverlo. Mi sembrano molto interessanti le espressioni utilizzate. Non si tratta solo di chi fa la guerra, magari costretto a obbedire ai comandi di altri, ma chi positivamente e volutamente fa azioni contrarie alla pace.“Seminare discordia”, anzitutto: cioè favorire tensioni, incomprensioni, malintesi, emozioni negative. Le guerre cominciano così: suscitando sentimenti contrari al vicino, che diventa nemico; provocando appositamente emozioni di paura; interpretando male ogni parola e azione dell’altra parte e così via. “Meditare violenza”: quindi non tanto una violenza di reazione, di rabbia, di emozione, ma una violenza pensata, programmata freddamente, elaborata in una strategia. È la tipica violenza, per esempio, di un genocidio, dove si programma “a tavolino” le azioni da compiere per sterminare un popolo: la shoah, lo sterminio sistematico degli ebrei nella Germania nazista ne è l’esempio più chiaro e indiscutibile.
La seconda parte della preghiera si apre al positivo. Anzitutto si chiede a Dio una grazia per chi lavora per la pace: «concedi a coloro che promuovono la pace di perseverare nel bene». Una richiesta importante e molto realistica: di fronte al potere della violenza, al suo fascino che conquista le persone (magari per una finalità anche giusta), ai mezzi impiegati che non mancano mai (è significativo che nel nuovo patto di stabilità per i paesi dell’Unione europea, deciso l’altro giorno, le spese militari non siano conteggiate a debito), alla denigrazione di chi cerca mezzi non violenti, ecc. è facile che chi cerca di costruire la pace si scoraggi e rinunci a continuare nel proprio impegno. Ci vuole allora una grazia speciale per “tenere duro” (come recita la versione friulana: “fâs che i amans de pâs a puedin tignî dur tal ben”), perché chi lavora per la guerra non ha soste e, come succede nella vita spirituale, se nell’impegno per la pace non si va avanti, non si sta fermi, ma si va indietro.
Ma c’è una seconda grazia chiesta al Dio della pace e questa, sorprendentemente, riguarda chi si oppone alla pace: c’è sempre la possibilità della conversione, anche le persone più violente possono diventare pacifiche. Pertanto si domanda: «concedi […] a coloro che la ostacolano [la pace] di trovare la guarigione, allontanandosi dal male».
Come potete osservare, si tratta di una preghiera molto profonda e concreta, che comunque ci riguarda anche personalmente, sia che siamo o vogliamo essere operatori di pace, sia che siamo persone che hanno bisogno di avere per grazia un cuore guarito da risentimenti, da amarezze, da pregiudizi, insomma da tutto ciò che ostacola la pace.
Auguri a tutti, allora, di un Natale di pace. Buon Natale, Vesel Božič, Bon Nadâl.
+ vescovo Carlo