Raggiungere la misura della pienezza di Cristo

Sunday 12 May 2024

La sera di domenica 12 maggio 2024: l’arcivescovo Carlo ha presieduto in cattedrale la concelebrazione eucaristica nel corso della quale il seminarista Matteo Scarpin ha ricevuto il ministero dell’Accolitato ed i seminaristi Andrea Nicolausig e Cristiano Brumat il ministero del Lettorato.

Vorrei incominciare la riflessione di stasera partendo da un ricordo “milanese”. Nel Duomo di Milano il cero pasquale non si trova accanto all’altare e non è appoggiato a terra, ma è un grande candelabro di metallo dorato che pende un paio di metri sopra l’altare. Il giorno dell’Ascensione viene sollevato verso l’alto fino a raggiungere un’altezza di circa 40 metri. Un rito molto suggestivo: non so se in altre cattedrali ci sia qualcosa di simile per festeggiare l’Ascensione.

Una festa importante, quella dell’Ascensione, anche per noi questa sera in cui abbiamo la grazia di conferire il ministero di lettore a due nostri seminaristi, Cristiano e Andrea, e quello di accolito a un terzo, Matteo. Ma si tratta di una festa che appare secondaria rispetto alle due grandi solennità di cui costituisce quasi un ponte, ossia la Pasqua e la Pentecoste. Eppure l’Ascensione ha un significato molto importante in se stessa, come un evento decisivo per la Chiesa. Perché la Chiesa esiste solo in quanto Gesù è asceso al Cielo.  

Se fosse infatti restato fisicamente in mezzo a noi sarebbe proseguita in qualche modo l’esperienza del discepolato pre-pasquale, ma non ci sarebbe stata la Chiesa. O si sarebbe giunti subito al compimento del Regno di Dio, quel compimento cui alludono i discepoli con la domanda che formulano mentre stanno a tavola con il Risorto: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?», ma anche in questo caso non ci sarebbe stata la Chiesa.

La Chiesa, invece, esiste perché il Risorto è salito al Padre e perché non è ancora giunto il compimento del mondo, quando «Dio sarà tutto in tutti» (1Cor 15,28). Questo tempo intermedio tra la Pasqua e la Parusia è quindi il tempo della Chiesa.

Un tempo che ha alla base un atto di fiducia da parte del Risorto, secondo la volontà del Padre. Non avevo mai pensato a questo aspetto del mistero dell’Ascensione, ma capisco che è importante vederla come un gesto di grande fiducia da parte del Risorto. Perché proprio a noi cristiani, pur con le nostre debolezze e persino i nostri peccati, il Risorto affida il mondo, in particolare l’annuncio e la crescita del Regno di Dio in questa realtà così travagliata, assicurandoci il sostegno del dono dello Spirito santo, ma affidando il mondo alla nostra responsabilità.

Gesù ha certamente realizzato ciò che è definitivo affinché avvenga il Regno di Dio, ossia la Pasqua, la sua morte e risurrezione, e ha indicato con la predicazione evangelica ciò che è essenziale perché il Regno si compia. Non ha però voluto essere Lui stesso a portare a definizione da subito il disegno di salvezza del Padre per l’umanità e il mondo intero. Questo compito spetta alla Chiesa, spetta ai cristiani di ogni generazione, spetta a noi.

La Chiesa non ha accolto con facilità questa fiducia da parte del Risorto. Ci sono diversi indizi di ciò negli Atti degli apostoli e negli scritti del Nuovo Testamento, a cominciare da quanto ci è stato raccontato dalla finale della prima lettura di stasera: gli apostoli che se ne stanno a fissare il Cielo, invece di agire secondo le istruzioni del Risorto e devono perciò essere richiamati da «due uomini in bianche vesti». Ma si può citare anche la diffusa convinzione nei primi anni del cristianesimo, testimoniata soprattutto dalle lettere di Paolo (penso in particolare a quelle indirizzate ai Tessalonicesi), che il ritorno di Gesù fosse imminente e che quindi la fine del mondo dovesse avvenire nel tempo della prima generazione cristiana. Una convinzione che portava a rammaricarsi per chi nel frattempo era deceduto prima del presunto imminente arrivo di Cristo e anche, pare, a non impegnarsi più di tanto nella vita e persino nell’annunciocristiano. Paolo dovrà intervenire con una certa energia per correggere queste deviazioni della fede cristiana. Perché il Risorto certamente tornerà, ma nell’ora che solo il Padre conosce. E occorre attenderlo ogni giorno vivendo appunto – come proclamiamo dopo la consacrazione – “nell’attesa della sua venuta” e facendo nostra l’invocazione dello Spirito e della Sposa che implorano: «Vieni, Signore Gesù!» (cf Ap 22,17-20).

Però, mentre attendiamo con speranza e amore, dobbiamo operare secondo il mandato del Risorto, forti della sua fiducia e con l’aiuto e la guida dello Spirito. Il mandato è chiaro: esseresuoi testimoni in tutto il mondo. Il termine usato è “testimoni” e non “evangelizzatori” o “annunciatori”, perché il Vangelo, la buona notizia che annuncia la salvezza deve essere trasmesso con la parola e con la vita. Non si tratta, infatti, di un’idea, di una dottrina, di un programma, ma di qualcosa, anzi di Qualcuno, che il testimone-annunciatore ha scoperto come proprio tesoro. Un tesoro che non può tenere per sé.

Tutti i cristiani devono essere testimoni qualsiasi sia la loro vocazione nella Chiesa e nel mondo. Così afferma Paolo nel brano della lettera agli Efesini che abbiamo ascoltato come seconda lettura. Un passo in cui è contenuta la parola “ministero” e questo richiama immediatamente ciò che stiamo celebrando istituendo i nostri tre amici in due ministeri. Queste le parole precise dell’apostolo: «per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo». Per comprendere in ogni caso la frase in questione, dobbiamo fare attenzione a ciò che la precede. Si tratta dell’elencazione che Paolo fa di alcuni ministeri ecclesiali, quali apostoli, profeti, evangelisti (nel senso di evangelizzatori), pastori e maestri. Si tratta di ministeri con una funzione specifica verso l’intero popolo di Dio. Essi, infatti, sono stati dati dal Signore per tutti i cristiani, affinché tutti vivano il ministero, le opere della diaconia (così traducendo letteralmente dal greco), del servizio, potremmo dire una ministerialità diffusaperché la comunità maturi verso la pienezza del Corpo di Cristo.

Il ministero del lettore e quello dell’accolito non si collocanonella linea dei ministeri elencati da Paolo, ministeri che hanno un particolare rilievo di guida della comunità, ma all’interno della ministerialità del popolo di Dio. Sono però conferiti per una scelta della Chiesa, anche (finora quasi esclusivamente, ma papa Francesco ci invita a percorrere altre strade) a chi è in cammino per assumere il ministero di diacono e di presbitero. Come a dire che vivere la ministerialità del popolo di Dio è la migliore preparazione a vivere un domani il ministero ordinato.

In ogni caso, questa sera, Andrea, Cristiano e Matteo ricevono un compito che qualifica il loro modo di essere testimoni del Risorto, in conformità al mandato che ha affidato a tutta la Chiesa. Lo devono essere, rispettivamente, come lettori e come accolito. Un atto di fiducia da parte del Signore verso di loro, con la mediazione della Chiesa. Un impegno da vivere in umiltà e gioia, contribuendo insieme ai fratelli e alle sorelle di oggi, di ieri e di domani «a raggiungere la misura della pienezza di Cristo», quando lo Sposo finalmente verrà.


+ vescovo Carlo