Non cediamo mai al pessimismo (2013)

Saturday 16 March 2013

L’omelia pronunciata dal vescovo Carlo in cattedrale il 26 marzo 2013 nella festa dei Santi Ilario e Taziano, patroni della città di Gorizia.

«Non cediamo mai al pessimismo, a quell’amarezza che il diavolo ci offre ogni giorno; non cediamo al pessimismo e allo scoraggiamento: abbiamo la ferma certezza che lo Spirito Santo dona alla Chiesa, con il suo soffio possente, il coraggio di perseverare e anche di cercare nuovi metodi di evangelizzazione, per portare il Vangelo fino agli estremi confini della terra (cf At 1,8). La verità cristiana è attraente e persuasiva perché risponde al bisogno profondo dell’esistenza umana, annunciando in maniera convincente che Cristo è l’unico Salvatore di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Questo annuncio resta valido oggi come lo fu all’inizio del cristianesimo, quando si operò la prima grande espansione missionaria del Vangelo» (Udienza del Santo Padre al Collegio Cardinalizio – 15 marzo 2013).

Sono parole pronunciate ieri dal nuovo Vescovo di Roma, papa Francesco. Parole che possiamo fare nostre in questa festa dei santi patroni di Gorizia. Santi che ci riportano all’inizio del cristianesimo, quando la decisione di seguire il Signore e, quindi, come ci ha detto Gesù nel Vangelo, di «perdere la propria vita per me», non avveniva in teoria, ma nel concreto e tragico realismo del martirio.

Sappiamo che il venir meno delle persecuzioni e quindi dei martiri, visti come gli imitatori perfetti di Cristo – un vero Vangelo vivente – aveva fatto emergere nella Chiesa il problema di trovare altre forme esemplari di vita cristiana che fossero di stimolo per tutti i credenti. Era nata allora nella Chiesa, per opera dello Spirito Santo, la grande corrente spirituale del monachesimo, a partire dai padri del deserto fino alle grandi tradizioni orientale e occidentale, rispettivamente di Basilio e di Benedetto.

Via via, poi, nella bimillenaria storia della Chiesa, lo Spirito ha suscitato diverse modalità di vivere esemplarmente il Vangelo, sottolineando ora l’uno ora l’altro degli aspetti del mistero cristiano e della spiritualità evangelica, modalità che nei santi hanno raggiunto una forza di testimonianza molto intensa per tutti gli altri fedeli e per il mondo intero. Basti citare fra tutti – tenendo presente la scelta del nome fatta dal Papa – la figura di Francesco d’Assisi.

Ma ora su quale strada ci chiama il Signore per essere fedeli al suo Vangelo e per darne una testimonianza credibile? Le parole del Papa che ho citato all’inizio ci indicano due attenzioni: non lasciarsi andare al pessimismo, all’amarezza e allo scoraggiamento, e chiedere allo Spirito di trovare metodi nuovi per presentare in modo credibile il Signore Gesù come il Salvatore atteso nella profondità del cuore dagli uomini e delle donne di oggi.

Mi sembra un messaggio molto importante per noi, in una situazione di una città e di una comunità cristiana che sta invecchiando – per altro anche il Papa ha parlato ieri della vecchiaia ai Cardinali notoriamente non giovanissimi… -, una comunità che è giustamente orgogliosa per il suo passato ma non vede molto futuro davanti a sé e rischia che il ricordo di quanto è stato paralizzi il presente e disperda nella nebbia il futuro.

Quali strade percorrere? Per quanto posso capire, una prima può esserci indicata da un aspetto decisivo della figura di Ilario che viene evidenziato all’inizio della Passio Helari et Tatiani. Si dice: Ilario «era stato ben erudito nelle divine Scritture tanto che gli bastava la memoria al posto dei libri». Sembra un’annotazione quasi scolastica – Ilario un erudito nella Sacra Scrittura … -, in realtà ci evidenzia un dato che caratterizzava i cristiani dei primi secoli, cioè l’essere uomini della Parola.

È impressionante, quando si leggono gli scritti dei Padri, notare come a volte sia difficile capire dove sono loro a parlare e dove citano la Scrittura. Erano così imbevuti della Parola di Dio che non era più possibile distinguere il loro pensiero da quello del Vangelo. Non solo il loro pensiero, ma i loro ideali, i loro sentimenti, i loro segni, la loro vita.

Tornare, allora, a essere una Chiesa della Parola, essere cristiani che si nutrono ogni giorno del Vangelo con la guida dello Spirito che crea un po’ alla volta in noi una sintonia profonda con Gesù.

Sembra un’annotazione secondaria quella che ho appena ricordato su Ilario, quasi un dato tra i tanti di un curriculum vitae, invece è il segreto della sua vita e del suo martirio. Solo chi è impregnato di Vangelo può dare la vita per il Vangelo. Aggiungerei oggi: solo chi trova nel Vangelo l’humus in cui cresce e si sviluppa la sua vita, può essere un evangelizzatore credibile, capace di trovare vie nuove per la missione.

Una seconda strada la chiamerei quella della “fantasia realistica” della missione. Questa espressione sembra un ossimoro, può però indicarci che nell’impegno di evangelizzazione occorre avere la libertà della fantasia dello Spirito e insieme la visione realistica della situazione. Un esempio? Lo traggo ancora da papa Francesco, quando era Arcivescovo di Buenos Aires.

Vi leggo un parte di una sua intervista di qualche anno fa. Diceva il Card. Bergoglio:
Per me il coraggio apostolico è seminare. Seminare la Parola. Renderla a quel lui e a quella lei per i quali è data. Dare loro la bellezza del Vangelo, lo stupore dell’incontro con Gesù… e lasciare che sia lo Spirito Santo a fare il resto. È il Signore, dice il Vangelo, che fa germogliare e fruttificare il seme.
INTERVISTATORE: Insomma, chi fa la missione è lo Spirito Santo.
BERGOGLIO: I teologi antichi dicevano: l’anima è una specie di navicella a vela, lo Spirito Santo è il vento che soffia nella vela, per farla andare avanti, gli impulsi e le spinte del vento sono i doni dello Spirito. Senza la Sua spinta, senza la Sua grazia, noi non andiamo avanti. Lo Spirito Santo ci fa entrare nel mistero di Dio e ci salva dal pericolo di una Chiesa gnostica e dal pericolo di una Chiesa autoreferenziale, portandoci alla missione.
INTERVISTATORE: Ciò significa vanificare anche tutte le vostre soluzioni funzionaliste, i vostri consolidati piani e sistemi pastorali…
BERGOGLIO: Non ho detto che i sistemi pastorali siano inutili. Anzi. Di per sé tutto ciò che può condurre per i cammini di Dio è buono. Ai miei sacerdoti ho detto: «Fate tutto quello che dovete, i vostri doveri ministeriali li sapete, prendetevi le vostre responsabilità e poi lasciate aperta la porta». I nostri sociologi religiosi ci dicono che l’influsso di una parrocchia è di seicento metri intorno a questa. A Buenos Aires ci sono circa duemila metri tra una parrocchia e l’altra. Ho detto allora ai sacerdoti: «Se potete, affittate un garage e, se trovate qualche laico disposto, che vada! Stia un po’ con quella gente, faccia un po’ di catechesi e dia pure la comunione se glielo chiedono». Un parroco mi ha detto: «Ma padre, se facciamo questo la gente poi non viene più in chiesa». «Ma perché?» gli ho chiesto: «Adesso vengono a messa?». «No», ha risposto. E allora! Uscire da sé stessi è uscire anche dal recinto dell’orto dei propri convincimenti considerati inamovibili se questi rischiano di diventare un ostacolo, se chiudono l’orizzonte che è di Dio (intervista apparsa sulla rivista “30 Giorni” n. 11/2007).

Certo Gorizia non è Buenos Aires e non so quanti metri dista in città una parrocchia dall’altra, però un po’ di “fantasia realistica” non guasta neppure qui da noi e forse non solo in ambito ecclesiale… Che lo Spirito Santo ci guidi e la preghiera e la testimonianza dei Santi Patroni ci sostengano sulle vie del Vangelo.

† Vescovo Carlo