Natale: una luce nel nostro buio

Friday 25 December 2020

La sera di giovedì 24 dicembre 2020, l’arcivescovo Carlo ha presieduto la messa della Notte di Natale in cattedrale. Pubblichiamo di seguito la sua omelia.

Stasera vorrei parlarvi di una mostra. Ovviamente ora non è visitabile come tutte le mostre e i musei. Dal 2005, anno in cui è stata inaugurata, ha avuto due milioni di visitatori. Un numero significativo, ma non poi così eccezionale rispetto ai numeri di altre mostre e musei. C’è però un particolare che differenzia questa mostra dalle altre: prevede un percorso di circa un’ora, ma totalmente al buio. Buio, buio pesto, assoluto. Neppure la luce di una pila o di una candela. Si tratta di una mostra intitolata “Dialogo nel buio” ed è collocata nell’Istituto dei ciechi di Milano. Consiste in un itinerario assistito da guide non vedenti. I visitatori per esplorare gli ambienti devono affidarsi esclusivamente ai sensi del tatto, dell’udito, dell’olfatto, del gusto. Anche del gusto, perché il percorso termina al bar dove si beve un caffè rigorosamente al buio.

Spiega il sito web che presenta l’iniziativa: «Un buio così profondo disorienta, sconcerta chi è abituato da sempre a fare affidamento sulla vista. Ma è anche l’occasione per scoprire nuove dimensioni, in modo sorprendentemente semplice. Non si tratta di scoprire una realtà differente, è piuttosto una riscoperta, con modalità diverse, dello stesso mondo che già conosciamo. Nel buio anche il caffè ha un altro sapore, una rosa un altro profumo. Dialogo nel Buio non è una simulazione della cecità, ma l’invito a sperimentare come la percezione della realtà e la comunicazione possano essere molto più profonde e intense in assenza della luce».

Perché ho pensato a questa mostra, stasera notte (anticipata…) di Natale? Semplicemente perché ci troviamo in una situazione di buio e il Natale parla invece di luce. Lo ricorda la prima lettura in termini entusiastici: «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse». Anche il Vangelo di Natale è pieno di luce: Maria che «dà alla luce il suo figlio primogenito» e la gloria del Signore che avvolge di luce i pastori. La seconda lettura poi non accenna direttamente alla luce, ma va nella stessa linea parlando di grazia che è apparsa e di gloria che si manifesta.

Dicevo che noi ci troviamo al buio. Purtroppo è una cosa evidente. Un’immagine spesso utilizzata, quasi dall’inizio della pandemia appena ci si è accorti che la questione non si risolveva in pochi giorni come tutti speravano, è stata quella del tunnel. Siamo in un tunnel: un’immagine negativa, ma anche di speranza. Perché un tunnel buio prima o poi finisce e a un certo punto è normale intravedere nel buio la luce della fine. Il problema è che nel corso dei mesi ci si è accorti che era sempre più difficile vedere quella luce. Il tunnel è diventato via via sempre più lungo e, per di più, si presenta non come lineare, ma con un percorso contorto: ulteriore ostacolo anche solo a intuire la luce della fine.

Diventa allora impossibile anche vedere la luce del Natale? Ma qual è la luce del Natale? Una luce che miracolosamente risolve tutti i nostri problemi una volta per sempre? O è una luce interiore, una grazia che ti permette di fare un percorso al buio attivando tutte le risorse che il Signore ci ha dato, appunto come i quattro sensi che l’itinerario al buio dell’Istituto ciechi valorizza in modo straordinario? E’ se Gesù, sempre per stare all’esperienza di quella mostra, fosse paragonabile a una guida non vedente? Se il Natale fosse proprio il fatto che Lui, la luce del mondo, si è fatto buio come noi per starci accanto?

In questo Natale dobbiamo pregare perché tutto finisca presto e tanta sofferenza e tanto dolore in ogni parte del mondo abbiano una fine. Ed è giusto pregare perché si possa a breve vedere la luce alla fine del tunnel. Ma la preghiera più importante da fare oggi è di accorgerci che il Signore c’è e si è messo accanto a noi in questo percorso buio per guidarci e per insegnarci a usare quei doni di cui Lui ci ha fornito e che noi, nella nostra pigrizia o anche solo distrazione, spesso non siamo neppure consapevoli di avere.

Un dono, in particolare lo abbiamo tutti, ed è in fondo al cuore. Più che un dono è una riserva, che va utilizzata quando le cose si fanno difficili. E’ una riserva però che più la si usa, più si incrementa. Ed è la riserva d’amore. Oggi più che in altri tempi siamo chiamati ad amare. Se ami non esaurisci l’amore, ma lo moltiplichi anche dentro di te. L’amore è ciò che permette di andare avanti anche quando tutto è buio. Anche l’amore che vedi negli altri.

Spesso penso che sono fortunato a essere vescovo – e ringrazio di questo il Signore – perché forse più di altre persone ho l’occasione di vedere segni di amore. Li ho visti anche in questi ultimi giorni, andando, con tutte le prudenze e le attenzioni del caso, in carcere, negli ospedali, nella mensa dei padri cappuccini, nel centro di accoglienza del Nazareno.

Ma tutti noi, nonostante il buio, possiamo percepire l’amore dentro e attorno a noi. Lo possiamo ricevere, ma lo possiamo anche donare all’interno delle nostre case, nei luoghi del lavoro, nelle occasioni di socialità anche solo virtuali. E forse proprio il buio di questi tempi ci può portare a potenziare al massimo l’amore, a trovare in noi e attorno a noi la luce. Il Signore, luce del mondo che nel Natale è venuto accanto al nostro buio, illumini e riscaldi i nostri cuori e ci doni, nonostante tutto, la grande gioia che i pastori hanno sperimentato a Betlemme. Auguri.

+ vescovo Carlo

Gesù, l’augurio di Dio

Nel giorno di Natale – venerdì 25 dicembre 2020 – l’arcivescovo ha presieduto la messa in Sant’Ignazio pronunciando la seguente omelie.

Il passo di Vangelo che abbiamo ora ascoltato è certamente uno dei brani più significativi e insieme impegnativi dei quattro Vangeli. Significativo per la ricchezza dei suoi contenuti, ma impegnativo per la difficoltà che pone ai traduttori e ai commentatori in particolare con riferimento al termine centrale che ricorre più volte: “verbo”.

Come forse sapete, i Vangeli sono stati scritti in greco e tradotti anzitutto in latino. Il vocabolo reso con il termine italiano “verbo” in greco è “logos” e in latino “verbum”. Anche ai non specialisti risulta chiaro che la traduzione italiana non è soddisfacente perché il vocabolo “verbo” nell’uso corrente corrisponde a un termine grammaticale, che tutti abbiamo imparato a scuola, quando in italiano o in qualche lingua straniera ci è stato insegnato a coniugare appunto i verbi, dal verbo essere al verbo avere e via via gli altri verbi. Ovviamente il Verbo che è Dio, non è un termine grammaticale…, ma l’attuale versione italiana ha preferito lasciare un vocabolo che fosse il calco del latino, per non pregiudicare la molteplicità di significati dell’originale “logos” e “verbum”. Si tratta di termini che significano parola, pensiero, idea, senso, relazione, ecc.

Quello che sto dicendo sembra un discorso per specialisti della Bibbia e di poco interesse per tutti noi, in particolare a Natale. Ma tento di fare un esempio per dimostrare che non è così.

Prendiamo un termine che stiamo utilizzando in questi giorni, oggi in particolare, ma anche in tutto questo periodo di feste: “auguri”. La parola “augurio” significa esprimere il desiderio di qualcosa di bene per la persona cui ci si rivolge. Spesso la si usa collegata con la specificazione del bene: ti auguro un buon anno, significa desidero per te il bene di un anno felice. Questo il contenuto della parola “augurio” usata spesso al plurale “auguri”.

Ma oltre il contenuto conta molto anche il modo con cui la si esprime. Può essere una parola già prestampata su un biglietto anonimo che viene spedito per auguri di circostanza, ad esempio ai clienti di una ditta, o scritta in una mail generica che viene inviata a un gruppo di persone con cui si è in relazione. Può essere invece inserita in un messaggio che si invia specificamente a una persona. Può essere poi detta a voce in una telefonata o anche in una videochiamata in cui la parola “auguri” è accompagnata dall’espressione di un volto e dal piacere di vedersi sia pure a distanza. Infine può essere pronunciata mentre si abbraccia e bacia con affetto la persona cui si vuole bene.

I vari modi con cui si manifestano gli auguri non sono tutti uguali e lo sappiamo bene in questo tempo di limitazioni, che ci costringono in molti casi a usare certe modalità meno espressive. Quello che però interessa è sottolineare che anche le modalità fanno parte delle parole: l’abbraccio, per esempio, non è un’aggiunta ma è dentro l’augurio. Anzi potremmo dire che non solo i gesti completano le parole, ma che spesso diventano loro stessi parole più espressive di quelle che pronunciamo a voce. Le parole, di vario contenuto e manifestate con varie modalità, gesti compresi, esprimono quindi noi stessi in relazione agli altri, comunicano noi stessi agli altri.

Se l’esempio è chiaro, possiamo tornare al Vangelo, che ci parla del Verbo di Dio, cioè di Dio che è Parola in senso forte e pieno. Il Verbo quindi è la sua persona che si comunica a noi, che si mette in relazione con noi, così come l’insieme di parole e gesti ci mettono in relazione gli uni gli altri. Dio quindi non ci dice solo delle parole, non ci propone solo delle idee, non ci presenta solo delle indicazioni per la vita, non compie solo gesti per noi, ma comunica se stesso. E questo avviene proprio nel Natale.

E’ quanto dice la seconda lettura di oggi che evidenzia la differenza tra la comunicazione di Dio nell’Antico Testamento e quella realizzata in Gesù: «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio». Un’affermazione che va completata con quanto dice il Vangelo di Giovanni, nel senso che Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio non perché il Figlio ci ha detto alcune cose, ma perché il Figlio è Lui stesso la Parola di Dio e si è comunicato a noi, diventando uno di noi. Il Natale è questo: Dio che entra in relazione con noi, che si comunica totalmente a noi, che diventa “carne” come noi.

Ma c’è un altro aspetto su cui occorre richiamare l’attenzione. Ho sottolineato la pregnanza della parola umana, che è più di un insieme di segni scritti o di un gruppo di suoni, ma è comunicazione di se stessi. La Parola di Dio è però molto di più, proprio perché è di Dio. Di un Dio che è creatore, che è vita, che è luce. Una parola la sua che non solo dice, ma realizza.

Torniamo agli auguri: quelli che facciamo esprimono per gli altri un desiderio di bene, ma non possono realizzare il bene. Lo vorremmo, ma possono solo auspicarlo, sperarlo, desiderarlo. Ma se Dio ci augura il bene, lo realizza e non solo lo desidera per noi. Questa è la grande differenza tra la nostra parola, anche intesa nel senso più pieno, e la sua.

Ciò che però è sorprendente nel Natale, non è solo il fatto che Dio pronunci per noi una parola che realizza ciò che significa, ma che Lui stesso sia questa parola e che questa parola divenga uomo. Possiamo dire che gli auguri di Dio non sono soltanto delle parole, non sono soltanto dei fatti, ma è Gesù. Sì, il Bambino che è nato a Betlemme è l’augurio di Dio per noi. Lui è la Parola che ci ha creato, è Colui che ci salva, è Colui che ci ama. E lo fa diventando uno di noi. Dio in Gesù si è legato per sempre con l’umanità: il Figlio di Dio è e sarà per sempre il Figlio dell’uomo.

Tutto questo ci viene ricordato in ogni Natale, ma quest’anno ne abbiamo bisogno in modo particolare. Oggi ci viene detto che Dio non è estraneo alla nostra umanità malata, sofferente e messa a dura prova dalla pandemia. Lui è con noi, soffre con noi, spera con noi. Certo non risolve magicamente e immediatamente la nostra situazione come vorremmo. Ma non ci abbandona e, siamo sicuri, sa donare un senso di vita anche a questa difficile realtà. Se Lui è con noi, se Lui, che è la vita e la luce, si è comunicato a noi, allora tutto troverà comunque vita e il buio di questi giorni troverà comunque una luce.

Scambiamoci allora oggi gli auguri di un buon Natale, facciamoli come ci è permesso. Ma riempiamoli dell’augurio di Dio, che è Gesù. Che l’augurarci “buon Natale” sia dirci l’un l’altro: ti auguro di sentire vicino a te Gesù. Te lo auguro perché sono certo che Lui, il Figlio di Dio che ti ama, è davvero con te e non ti abbandonerà mai.

Buon Natale, Bon Nadâl, Vesel božič.

+ vescovo Carlo