L’amore di Dio trasforma il peccato in salvezza

Friday 29 March 2024

Nella sera del venerdì Santo-  29 marzo 2024 – l’arcivescovo Carlo ha presieduto in cattedrale l’azione liturgica della Passione del Signore.

Perché ogni anno celebriamo la Pasqua, anzi l’intero mistero pasquale compreso quindi il venerdì santo? Solo per un ricordo da tenere vivo nella memoria? Ovviamente no. Sappiamo che le celebrazioni liturgiche non sono solo un semplice ricordo o una manifestazione simile alle tante che si vivono nella società per le più svariate ricorrenze e i diversi anniversari. Sono invece qualcosa che ci mette in comunione con il mistero che viene celebrato, che ci dona la grazia di entrare in questo mistero non in astratto, ma nella concretezza del qui e ora. Potremmo dire, riferendoci a quello che stiamo ora vivendo, che in questo momento è come se fossimo anche noi sul Calvario a contemplare la croce di Cristo. O, ma è la stessa cosa, è come se la croce di Cristo fosse presente oggi in questo momento della storia che stiamo vivendo.

Un momento brutto, cupo, difficile, che mette a dura prova la speranza. A livello mondiale, lo sappiamo, stanno aumentando le tensioni, le guerre e il terrorismo. Nessuno sembra parlare più di negoziati, di sforzi di comprensione reciproca, di avvii di collaborazioni sui diversi piani: culturale, scientifico, economico, ecc. Si parla solo di rafforzare i confini, della necessità di aumentare le spese militari, di alzare i livelli di allarme, di prepararsi al peggio. Nel recente vertice europeo di alcuni giorni fa si è detto chiaramente che se si vuole la pace occorre prepararsi alla guerra e che bisogna preparare i cittadini europei, abituati a decenni di pace, per una possibile guerra.

Il fatto è che le guerre non sono solo possibili, ma sono già realtà e non solo in Ucraina o a Gaza. Ci sono moltissime guerre e molto sanguinose che non arrivano neppure come notizia secondaria sui nostri giornali, sui siti di notizie, sui social. Per esempio, chi di noi sa che tra il 2020 e il 2022 si è combattuta una guerra fratricida in Etiopia nella regione del Tigray che ha causato 300.000 morti? O che in Sudan un anno fa è scoppiata una guerra interna che ha provocato più di 9 milioni si sfollati? Sono solo due esempi. Tra l’altro, lo sappiamo, è facile commuoverci per una persona uccisa, di cui ci parlano la televisione e i social, e anche per qualche decina di persone, ma quando i numeri sono elevatissimi, rischiano di essere solo numeri e non rappresentano più delle persone. Persone con una loro storia, delle relazioni familiari e sociali, delle aspirazioni, dei progetti, dei percorsi di vita, ecc. che la guerra blocca per sempre. 300.000 morti, per stare alla cifra appena citata, significano anche 600.000 papà e mamme cui è stato ucciso un figlio, significano centinaia di migliaia di figli, fratelli, sorelle, sposi, compagni, amici, ecc. tutti feriti per sempre dalla guerra.

La croce di Cristo, la sua passione che abbiamo ascoltato dal Vangelo di Giovanni, che cosa ci dicono di tutto ciò? Anzitutto evidenziano la radice di ogni guerra e di ogni cattiveria: il peccato. Una causa che i libri di storia quando presentano le motivazioni per cui è scoppiata una guerra o anche gli articoli di esperti che parlano dei possibili conflitti attuali non evidenziano. Certo, le cause sono molteplici e spesso complicate da discernere e lo stesso racconto della passione ne evidenzia alcune, che tra poco accennerò. Ma alla radice c’è il peccato, cioè la scelta voluta del male, dell’odio, della morte contraria alla scelta del bene, dell’amore, della vita, che è ciò che Dio amore propone all’uomo, creato a sua immagine e somiglianza, quindi per essere amato e amare. Rifiutare e uccidere il Figlio di Dio è il massimo del peccato dell’umanità. Ucciderlo, poi, in quel modo: innocente, disprezzato, incatenato, giudicato, torturato, oltraggiato, abbandonato. Dentro la passione di Gesù c’è la passione di ogni uomo, che viene condannato, torturato, violentato, disprezzato, ucciso, … insomma tutto quell’insieme di cattiverie che da sempre gli uomini riservano ai loro simili e che il progresso non fa venir meno, ma rende ancora più atroci e raffinate.

Eppure la croce, se è il massimo del peccato, e anche il massimo dell’amore di Dio che trasforma il peccato in salvezza. Molto significative le parole conclusive della seconda lettura, la lettera agli Ebrei, Gesù, il Figlio, reso perfetto proprio dalla sua condivisione con il nostro male, «divenne causa di salvezza». Una salvezza non automatica, non sarebbe rispettosa della nostra dignità, della nostra libertà. L’autore della lettera agli Ebrei per questo aggiunge che Gesù è salvezza: «per tutti coloro che gli obbediscono», per tutti coloro cioè che nella loro libertà accolgono l’amore. Non sappiamo come, perché le strade di Dio nei cuori degli uomini sono conosciute solo da Lui, sappiamo però, come Gesù stesso aveva detto nel colloquio notturno aNicodemo, lo stesso che con Giuseppe di Arimatea si prende cura della sepoltura del Crocifisso, che «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Giovanni 3,16-17).

Il peccato si concretizza in molti atteggiamenti. Il racconto della passione ne presenta diversi, che meriterebbero tutti attenta considerazione. Mi limito a elencarli: il tradimento, come quello di Giuda; il rinnegamento, ed è quello di Pietro; la condanna per motivi politici, come quella voluta da Caifa; il tenersi lontano dalla verità e il lasciarsi ricattare, come avviene per Pilato; la ferocia della folla, che vuole la crocifissione di Gesù; il disprezzo e il prendersela con uno che ritengono un potente decaduto, da parte dei soldati. Tutti atteggiamenti che ritroviamo anche oggi, insieme a tanti altri, e non sono se non un articolarsi del peccato, un suo manifestarsi in più forme. E, almeno in radice, dobbiamo riconoscerlo, sono anche dentro di noi.

In questo venerdì santo ci viene chiesto ancora una volta di stare presso la croce di Gesù, come Maria, il discepolo e le donne. Uno stare per contemplare nel Crocifisso tutti i mali del mondo e tutti i crocifissi a causa di questi mali. E anche per implorare umilmente il perdono e la pace. Una pace che solo la logica dell’amore, che la croce evidenzia, può garantire e fare cresceredentro e attorno a noi.    

+ vescovo Carlo