La chiesa di San Nicolò a Monfalcone ha ospitato giovedì 26 ottobre 2023 l’Assemblea diocesana di inizio Anno pastorale. Pubblichiamo di seguito l’intervento dell’arcivescovo Carlo.
Il Vangelo, che abbiamo appena ascoltato, ci ha fatto entrare nel cenacolo, dove Gesù si manifesta ai discepoli portando la sua pace – “Pace a voi!” – quella pace di cui tanto abbiamo bisogno, soprattutto in questi giorni. Lui può donarcela perché ha patito, è morto ed è risorto per la conversione e il perdono dei peccati. Solo Lui, con la sua morte e risurrezione, può vincere il peccato che è alla radice di ogni guerra, di ogni violenza, di ogni male. Questo è l’annuncio che il Risorto affida ai suoi discepoli chiamati a predicare nel suo nome la conversione e il perdono, diventando suoi testimoni.
Se stasera ci troviamo qui è solo per questa ragione: per rinnovare come suoi discepoli il nostro desiderio di essere annunciatori e testimoni. Il motivo per cui i consigli pastorali esistono – quei consigli rinnovati e ormai espressione delle unità pastorali che stasera ricevono il mandato dal vescovo e dall’intero presbiterio – è solo e soltanto la missione, l’annuncio e la testimonianza di Gesù, del Risorto, unico Salvatore dell’intera umanità. Che cosa dovrebbero appunto fare i consigli pastorali se non rispondere alla domanda sul come annunciare e testimoniare qui e ora il Vangelo di Gesù?
La lettera pastorale, che quest’anno ha assunto la forma della “intervista pastorale” – e una risposta a una domanda dell’intervistatore spiega il motivo di questa scelta –, non vuol far passare altro messaggio che quello di essere annunciatori e testimoni di Gesù nella nostra realtà di oggi. Una realtà che è anzitutto quella della nostra diocesi apparsa nella sua concretezza con luci e ombre nella recente visita pastorale light, che, pur nella sua modalità molto semplice e veloce, mi ha aiutato a conoscere maggiormente le nostre comunità e nel contempo ha offerto a esse l’occasione per un momento di verifica sui diversi aspetti della loro vita e del loro impegno cristiano. Una realtà poi che è quella del contesto ecclesiale e sociale in cui siamo inseriti a livello locale, nazionale e mondiale.
La condizione attuale non è delle più facili, sia a livello ecclesiale, almeno in Italia e in Europa, sia a livello del mondo, e questo sotto l’aspetto politico, sociale, economico e, in generale, dei rapporti tra gli Stati. Papa Francesco, con lucidità profetica, già da tempo sottolinea che stiamo vivendo non un’epoca di cambiamento, ma un cambio d’epoca. E, purtroppo, si sta avverando sempre più l’altra sua affermazione profetica circa la terza guerra mondiale combattuta a pezzi.
Nell’intervista pastorale alcune domande e risposte si soffermano su questo, spero con una visione non troppo pessimistica. Ma sarebbe da irresponsabili non rendersi conto della situazione che stiamo vivendo e non prendere atto che, almeno sotto il profilo ecclesiale, siamo dentro una condizione che assomiglia sempre di più a un tramonto, più che a un pomeriggio pieno di sole. Occorre averne consapevolezza con lucidità: si può andare avanti come prima? (un piccolo suggerimento: provate a verificare nella vostra unità pastorale, per esempio, il rapporto tra nati e battezzati, oppure quanti tra i ragazzi che hanno ricevuto la Prima Comunione hanno proseguito verso la Cresima)
La situazione in cui ci troviamo può essere simile per certi aspetti a quella dei due discepoli di Emmaus. Loro erano col volto triste perché la speranza nella liberazione, che avrebbe dovuto essere realizzata da Gesù, era morta con Lui sulla croce o, almeno, così credevano. Noi abbiamo motivi di tristezza e di preoccupazione perché la speranza di essere portatori di un messaggio significativo per le persone di oggi – in particolare i giovani – e per l’intera società nel suo complesso, appare sempre più illusoria: tante energie, tanto impegno e pochi risultati e comunque di scarsa durata.
Parlando qualche tempo fa con un saggio frate anziano, mi ha colpito un’espressione che ha usato: dopo avermi detto che oggi il problema è la fede e non la morale, ha aggiunto “e poi la stanchezza dei buoni”. Non so se noi cristiani siamo proprio i “buoni”, ma il termine “stanchezza” descrive bene la condizione di chi, pur con i suoi limiti e persino con i suoi peccati, vorrebbe annunciare e testimoniare il Vangelo di Gesù, ma si sente spesso stanco e impotente. Una stanchezza non sana e appagante come quella di chi al termine di una giornata di lavoro nella vigna del Signore vede la cesta piena di grappoli maturi. No, piuttosto la stanchezza di chi ha faticato per tutto il giorno sotto il sole cocente attorno a viti rinsecchite, con pochi acini, spesso acerbi e si trova alla fine con la cesta praticamente vuota.
Il Risorto si affianca ai due discepoli e per prima cosa ascolta il loro lamento, ma poi le sue parole non sono di facile consolazione, bensì suonano come un rimprovero: “Stolti e lenti di cuore a credere…”. Il rimprovero non riguarda però la lamentela. È una buona cosa lamentarsi con il Signore, sfogarsi con Lui, piuttosto che tra di noi trasformando i nostri incontri, a cominciare da quelli dei consigli, in una seduta depressiva e arrabbiata. Lui è sempre disposto a raccogliere le nostre delusioni, le nostre fatiche, le nostre lacrime. Il suo rimprovero concerne invece la nostra poca fede nella sua Pasqua: i due discepoli non avevano creduto alla testimonianza delle donne andate al sepolcro, noi alla testimonianza che ci viene dal Vangelo e da chi ancora oggi lo vive con fede. E sono molti.
Gesù, però, non si limita a rimproverare la chiusura di mente e di cuore dei due, ma si mette a spiegare loro la Scrittura, quella Parola che rivela il disegno di amore e di salvezza di Dio attuato dalla Pasqua di Cristo. La medesima cosa farà in quella stessa sera nei confronti dell’intero gruppo dei discepoli, incapace di riconoscerlo – “credevano di vedere un fantasma” – e così apre loro la mente per comprendere le Scritture.
La Parola di Dio non è una specie di oracolo che spiega la storia e neppure un manuale che insegna che cosa fare in ogni evenienza. Con la guida dello Spirito del Risorto – “Colui che il Padre ha promesso”, dice Gesù – trasforma invece il cuore stanco e deluso di chi la ascolta, la medita, l’accoglie, la vive in un cuore ardente, appassionato, pieno di gioia, un cuore che ha trovato un tesoro e vuole condividerlo con i fratelli e le sorelle, in particolare con “quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte”.
L’insistenza di questi anni sulla Parola di Dio, il calendario della Parola che anche quest’anno viene presentato – e ringrazio chi lo ha curato e chi ha collaborato alla sua realizzazione -, i gruppi della Parola che continuano nel loro impegno, la catechesi che vuole avere sempre più come contenuto il Vangelo, e tante altre iniziative accentrate sulla Scrittura, non costituiscono qualcosa di periferico, ma sono ciò che è essenziale per vivere e testimoniare la fede del Risorto nelle circostanze di oggi.
Il Risorto si rivela poi ai due discepoli nello “spezzare il pane”, nell’Eucaristia. Incontrando i catechisti nel corso della visita pastorale – e li ringrazio di vero cuore a nome di tutta la diocesi per la loro dedizione, la loro passione e anche per le iniziative spesso innovative che dedicano ai nostri ragazzi – ho visto che spesso la riuscita o meno del cammino di catechesi è riferita alla partecipazione o all’abbandono della Messa festiva. Hanno ragione sul fatto che per il cristiano la celebrazione dell’Eucaristia è qualcosa di assolutamente decisivo, perché è la comunione con la Pasqua di Cristo, il nutrirsi di Lui per diventare progressivamente sempre più simile a Lui. Però la partecipazione all’Eucaristia oggi non può essere più considerata come l’ovvio per il cristiano, né un punto di partenza per la vita cristiana. È invece il punto di arrivo cui portare progressivamente chi ha conosciuto Gesù e deve completare il percorso dell’iniziazione cristiana accogliendo nella vita i misteri che si sono celebrati. Intanto incominciamo noi a vivere bene la partecipazione all’Eucaristia e a offrire ai ragazzi e agli adulti del cammino di iniziazione delle celebrazioni attente a loro, belle, gioiose, partecipate. Al resto ci pensa e ci penserà il Signore.
Partendo dall’incontro con il Risorto nella Parola e nell’Eucaristia, siamo pertanto chiamati ad annunciare e testimoniare oggi il Vangelo. L’intervista pastorale vuole anzitutto invitare a questo. Chiedo, pertanto, che venga letta e meditata da ciascuno e anche all’interno dei consigli pastorali. Lo stile a domande e risposte può suggerire di prendere, per esempio, alcune domande e provare a rispondervi al posto del vescovo, partendo dal proprio punto di vista e dalla propria esperienza di fede. Quanto contenuto nell’intervista pastorale verrà poi precisato dalla lettera che sto preparando per ciascuna unità pastorale, che riprenderà alcuni punti emersi, dal dialogo con i sacerdoti e i consigli pastorali durante la visita pastorale. Punti che dovranno formare oggetto della riflessione e poi della decisione dei consigli pastorali rinnovati.
Non voglio però che si perda l’aggancio in quest’anno con il cammino sinodale della Chiesa italiana e della Chiesa universale. A proposito di quest’ultimo, che ha visto in queste settimane la convocazione della prima assemblea sinodale – una seconda sarà il prossimo anno sempre in autunno – permettete che riprenda alcuni passi della “Lettera al popolo di Dio” indirizzata dall’assemblea, che si sta chiudendo, a tutta la Chiesa:
«La nostra assemblea si è svolta nel contesto di un mondo in crisi, le cui ferite e scandalose disuguaglianze hanno risuonato dolorosamente nei nostri cuori e hanno dato ai nostri lavori una peculiare gravità, tanto più che alcuni di noi venivano da paesi dove la guerra infuria. Abbiamo pregato per le vittime della violenza omicida, senza dimenticare tutti coloro che la miseria e la corruzione hanno gettato sulle strade pericolose della migrazione. Abbiamo assicurato la nostra solidarietà e il nostro impegno a fianco delle donne e degli uomini che in ogni luogo del mondo si adoperano come artigiani di giustizia e di pace […].
Giorno dopo giorno, abbiamo sentito pressante l’appello alla conversione pastorale e missionaria. Perché la vocazione della Chiesa è annunciare il Vangelo non concentrandosi su se stessa, ma ponendosi al servizio dell’amore infinito con cui Dio ama il mondo (cfr Gv 3,16). Di fronte alla domanda fatta a loro, su ciò che essi si aspettano dalla Chiesa in occasione di questo sinodo, alcune persone senzatetto che vivono nei pressi di Piazza San Pietro hanno risposto: “Amore!”. Questo amore deve rimanere sempre il cuore ardente della Chiesa, amore trinitario ed eucaristico […].
Per progredire nel suo discernimento, la Chiesa ha assolutamente bisogno di ascoltare tutti, a cominciare dai più poveri […]. La Chiesa ha anche bisogno di ascoltare i laici, donne e uomini, tutti chiamati alla santità in virtù della loro vocazione battesimale […] La Chiesa ha bisogno di mettersi in ascolto delle famiglie, delle loro preoccupazioni educative, della testimonianza cristiana che offrono nel mondo di oggi. […] La Chiesa ha particolarmente bisogno, per progredire nel discernimento sinodale, di raccogliere ancora di più le parole e l’esperienza dei ministri ordinati: i sacerdoti, primi collaboratori dei vescovi, il cui ministero sacramentale è indispensabile alla vita di tutto il corpo; i diaconi, che attraverso il loro ministero significano la sollecitudine di tutta la Chiesa al servizio dei più vulnerabili. Deve anche lasciarsi interpellare dalla voce profetica della vita consacrata, sentinella vigile delle chiamate dello Spirito. E deve anche essere attenta a coloro che non condividono la sua fede ma cercano la verità, e nei quali è presente e attivo lo Spirito, Lui che dà “a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale” (Gaudium et spes 22)».
Questa sottolineatura dell’ascolto mi fa pensare alle significative esperienze di ascolto che diverse nostre comunità hanno attuato gli ultimi due anni, in comunione con le indicazioni per il cammino sinodale italiano, verso persone e ambienti anche al di fuori del solito cerchio ecclesiale. Vi invito a non lasciar cadere le opportunità di dialogo che si sono aperte e a riprenderle e rilanciarle con fantasia e libertà anche quest’anno. Un anno che il cammino sinodale italiano dedica in particolare alla riflessione sapienziale, in particolare su cinque punti che desidero affidare all’attenzione del consiglio pastorale diocesano, come suo precipuo compito per questi mesi.
La visita pastorale ha dato particolare attenzione al tema della catechesi, con l’incontro con i catechisti. Anche questo giro nelle diverse comunità della diocesi attuato con la presenza di fra’ Luigi – che ringrazio di cuore per l’intelligenza e la passione con cui guida l’ufficio catechistico – ha mostrato che è giunto il momento di offrire alla diocesi delle linee guida complessive e autorevoli sul percorso di iniziazione cristiana dei bambini, ragazzi e adolescenti e anche degli adulti che chiedono di diventare cristiani o decidono di riprendere un itinerario interrotto per i più diversi motivi. I competenti uffici le stanno preparando e saranno pronte nel corso dell’anno pastorale.
Non saranno niente di particolarmente nuovo, in particolare per il cammino dei bambini, ragazzi, adolescenti. Riprenderanno, infatti, l’impianto tradizionale, rileggendolo però in chiave catecumenale già a partire dal Battesimo, e valorizzando le belle e significative esperienze già in atto in diverse unità pastorali e cercando di colmare le lacune che spesso sono presenti dentro l’itinerario. Chiedo di attuare queste linee con fedeltà e saggezza, dando particolare rilievo al tema del Battesimo.
Un ultimo accenno – ma poi trovate tutto nella lettera/intervista pastorale – vorrei farlo all’evento di Gorizia-Nova Gorica unitamente capitale europea della cultura nel 2025. Un’opportunità per tutta la diocesi e non solo per la città di Gorizia, che vorrei si qualificasse sempre più come la città della pace (e alla fine di quest’anno a Gorizia si terrà la marcia nazionale della pace promossa da Caritas e da Pax Christi). E anche come città dell’accoglienza, in particolare verso i migranti, ben sapendo che la migrazione è un tema complesso di non facile soluzione, ma non è più un’emergenza ed esige un approccio saggio e fattivo (ringrazio la Caritas e le comunità di Gorizia e di Gradisca d’Isonzo per l’impegno che anche in questi mesi stanno mettendo per garantire un’accoglienza emergenziale “a bassa soglia”, attenta ai bisogni primari dei migranti che restano fuori dal circuito ufficiale dell’accoglienza). Una breve dichiarazione congiunta dei tre vescovi di Gorizia, Trieste, Koper-Capodistria di questi giorni, prendendo atto dei gravi motivi che hanno portato a una restrizione della libertà di transito sul confine, ha voluto richiamare che qui da noi i confini si sono progressivamente trasformati in luogo di incontro e di accrescimento reciproco e che l’accoglienza caratterizza le nostre comunità. Facciamo in modo che queste nostre peculiarità possano continuare anche in questo periodo di crisi e siano, con tutta umiltà, di esempio per altre realtà di confine.
Non ho ripreso in questo mio intervento il brano tratto dal cap. 12 della lettera ai Romani, ricco di indicazioni per la vita cristiana, oggetto della prima lettura di stasera. Ne riprendo solo una frase, che vuole essere un augurio per tutti voi a conclusione di questo mio intervento, in particolare per i consigli pastorali rinnovati che ora ricevono il mandato da parte della Chiesa: “siate lieti nella speranza”.
La speranza che nasce dal Risorto, vi riempia, nonostante tutto, di gioia. Ve lo auguro di cuore.
+ vescovo Carlo
Di seguito il testo della Lettera pastorale 2023/24