Domenica 17 settembre 2023 l’arcivescovo Carlo ha presieduto nel santuario mariano di Barbana la messa nel corso della quale si è svolta la cerimonia di insediamento del nuovo priore dom Angelo Alves de Olivera.
Celebriamo oggi con gioia l’avvio del ministero di priore di questa Comunità monastica di Dom Ângelo Alves de Oliveira, giunto pochi giorni fa dal Brasile per sostituire il caro DomBenedetto che ricordiamo con tanto affetto e rimpianto.
Vogliamo anzitutto ringraziarlo per la disponibilità a lasciare la sua terra per giungere qui da noi a servire una Comunità, un Santuario, una Chiesa lontana. Caro Dom Ângelo – lo sai bene – il Signore non si lascia vincere in generosità e sicuramente saprà ricompensare il tuo impegno di amore per Lui e per la Chiesa con abbondanti grazie per te, per il monastero e per questo santuario.
Mi pare che la Parola di Dio, che oggi la Chiesa ci regala, ci può aiutare a vivere con profondità questo momento. Due sono le tematiche che sviluppate l’una dalla prima lettura, dal salmo e dal Vangelo, e l’altra dal passo della lettera ai Romani.
Partirei da questo ultimo, perché mi sembra ci sveli il senso profondo della presenza di una comunità monastica, un dono grande per noi e per tutta la nostra regione, che non vede altri monasteri maschili sul suo territorio. Rileggo quanto afferma San Paolo: «nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore». Quanto afferma l’apostolo vale per ogni cristiano a prescindere dalla sua vocazione. Tutti siamo del Signore e viviamo per Lui. Paolo parla di vivere e di morire per il Signore per intendere con i due estremi della nostra esistenza terrena la totalità della nostra esperienza umana: non c’è niente di noi, della nostra realtà, del tempo della nostra vita che non sia del Signore.
Dicevo che questo vale per ogni cristiano, che sia monaco, prete, diacono, vescovo, religioso, religiosa, sposato o no, laico o laica impegnato nei più diversi ambiti di vita. Non c’è quindi differenza tra i monaci e il resto dei componenti del popolo di Dio. Ma i monaci vivono come loro specifica vocazione proprio l’esplicitazione di questo essere del Signore. Il loro ruolo nella Chiesa è ricordare – come afferma san Benedetto nella sua regola – che nulla può essere anteposto a Cristo, che Lui è il nostro assoluto. Lo ricordano a noi, che non siamo monaci, e che spesso – parlo anzitutto per me – siamo travolti dal turbine della vita, presi e distratti da tanti impegni, tante emozioni, tante parole, tante immagini, tanti rumori e rischiamo di perdere l’essenziale, cioè il nostro rapporto con il Signore. Il solo fatto che in questa isola ci siano dei monaci che hanno il solo compito di essere del Signore e per il Signore, è per tutti noi un messaggio, un richiamo, una consolazione. A maggior ragione quando veniamo qui, in particolare in occasione dei diversi pellegrinaggi, e li incontriamo come una comunità che prega.
Grazie allora per esserci, cari monaci benedettini, e chiedo al nuovo priore – e sono certo che lo farà – di caratterizzare ancora di più questa isola come un luogo di preghiera, di contemplazione.Che sia anche una scuola di preghiera, un’officina – è un’immagine di san Benedetto – dove possiate insegnare anche ad altri la preghiera, offrendo a chi viene qui momenti di preghiera comune con voi, occasioni di lectio divina dove la Parola di Dio sia letta, meditata, contemplata e vissuta, possibilità di prendere parte a celebrazioni eucaristiche intense e partecipate. Vorrei che chi viene a Barbana, e sia disponibile ad accogliere il suo messaggio spirituale, porti via come ricordo non tanto qualche oggetto o la memoria di una giornata di sole o il piacere di buon pranzo, ma una nostalgia del Signore, un desiderio di vivere la preghiera nella vita quotidiana, trovando momenti di raccoglimento e di silenzio ogni giorno.
Gli altri tre passi biblici della liturgia odierna ci parlano del perdono, un perdono che dobbiamo dare ai nostri fratelli e alle nostre sorelle perché anzitutto lo riceviamo dal Signore. Il Vangelo e la prima lettura sono molto chiari nel fare questo collegamento. Una relazione che del resto viene addirittura chiesta da noi ogni volta che recitiamo il Padre nostro: “rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Si tratta di un rapporto impegnativo che può farci problema. Sant’Agostino, nel suo commento al Padre nostro, dice che c’erano dei cristiani al suo tempo che saltavano queste parole del Padre nostro ritenendo difficile e quasi impossibile perdonare. Forse erano più coerenti di noi nel prendere sul serio le parole delle preghiere che recitiamo spesso meccanicamente. Il Vangelo,con la parabola molto significativa che Gesù racconta, ci ricorda però che il perdono non nasce anzitutto da noi, ma da Dio e che il perdono che possiamo, anzi dobbiamo, offrirci a vicenda, è frutto del perdono ricevuto, della consapevolezza dell’amore che Dio ha per noi.
Da sempre – lo sappiamo – questo santuario è un luogo di perdono. Uno spazio dove, sotto lo sguardo di Maria, madre di misericordia come preghiamo nella Salve Regina, veniamo a chiedere il perdono di Dio. Si tratta di un secondo compito che i monaci di questa comunità – in questo caso i soli presbiteri – sono chiamati a esercitare, accogliendo con disponibilità, ascolto, pazienza e direi persino con affetto partecipe chi viene qui a cercare perdono, consolazione, consiglio per la propria vita.
Come vescovo mi capita ormai di avere poche occasioni per confessare, ma l’ho fatto per molti anni come sacerdote e mi sono accorto – se posso fare una confidenza – che forse i peccati più difficili da confessare non sono quelli circa i doveri che abbiamo verso Dio, verso noi stessi, verso i doveri morali, ma quelli che toccano il rapporto profondo con le persone. Ricordo che diverse volte, con molta sofferenza, ho incontrato persone anche buone e bene intenzionate nella vita cristiana, ma che con fatica riconoscevano situazioni di rottura, magari di anni, con parenti, amici, vicini, colleghi, e che comunque, a volte persino con durezza, dicevano che era per loro impossibile perdonare o dare almeno – come suggerivo – un piccolo segno di non tenere rancore.
Il perdono non è per niente facile né per chi lo dà, né per chi lo riceve, non si può banalizzare, chiede a volte un cammino lungo e paziente e anche sofferto. Talvolta è già sufficiente giungere almeno a non odiare, a non giudicare, quando una riconciliazione esplicita può essere impossibile o può creare altri problemi. So comunque che quando c’è un perdono, una riconciliazione, la persona che prova più gioia è chi perdona. Perché si soffre di più non per l’offesa ricevuta, ma per l’incapacità a perdonare: si rischia di passare una vita piena di amarezza, di tristezza, se non a volte persino di odio. Ebbene, vorrei che qui le persone, anche con la guida dei monaci che confessano, possano trovare non solo la gioia di essere perdonati da Dio, ma anche di ricevere la grazia di intraprendere cammini di riconciliazione. Ho detto con la guida dei confessori, ma aggiungerei anche con la loro preghiera. Sono sicuro che le persone da loro incontrate nel sacramento della confessione o anche nei colloqui o in altre occasioni sono ogni giorno oggetto della loro preghiera di intercessione presso il Signore e la sua Madre, Maria.
A Lei, alla Madonna di Barbana, affido il ministero del nuovo priore, dom Ângelo. A lui e a tutta la comunità monastica chiedo di continuare a pregare per tutti noi, perché sappiamo essere persone che vivono per il Signore e che accolgono e donano il perdono.
+ vescovo Carlo