Venerdì 15 aprile 2022, Venerdì Santo, l’arcivescovo Carlo ha presieduto l’Azione liturgica dell’ adorazione della Croce in cattedrale pronunciando la seguente omelia.
La passione secondo Giovanni, che la Chiesa proclama ogni venerdì santo, ha diverse particolarità su cui vale la pena soffermarsi, contemplando Gesù che si dona a noi sulla croce. Una di queste particolarità è il modo con cui l’evangelista presenta la figura di Pilato. Già il numero di versetti dedicati a questo personaggio può meravigliare: sono quasi una trentina, mentre gli altri evangelisti riservano al confronto tra Pilato e Gesù meno della metà. Ho detto confronto tra Pilato e Gesù, perché il dialogo tra di loro che Giovanni presenta è un vero e proprio confronto sui temi fondamentali della vita: il potere, la regalità, la verità, la colpa, la libertà, la legge, la paura, il peccato, l’amicizia. È impressionante, ma se rileggete con calma i versetti dal 18 del cap. 18 al 16 del cap. 19 trovate tutte queste tematiche su cui Gesù invita Pilato a prendere coscienza anzitutto in sé e a prendere posizione.
Ma Pilato non vuole prendere posizione. In questo ha perfettamente ragione l’evangelista Matteo che mostra Pilato nel gesto altamente significativo di lavarsi le mani davanti alla folla dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!» (Mt 27,24), ma di fatto consegnando così Gesù alla morte. Ancora più icasticamente, Giovanni presenta Pilato che chiede a Gesù «Che cosa è la verità?», ma se ne esce immediatamente dal pretorio senza ascoltare la risposta. Pilato fugge la verità e quindi la sua responsabilità. In realtà fugge da se stesso.
Tenta anzitutto di lasciare ad altri la responsabilità di decidere circa Gesù: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!», dice ai capi dei Giudei, per altro senza voler approfondire il motivo per cui glielo hanno portato e accettando per buona la loro risposta e la condanna già da loro decisa: «Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato»; «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». Poi prova a liberarlo approfittando del gesto di clemenza previsto in occasione della Pasqua, ma non obbietta quando gli viene chiesto invece di liberare il brigante Barabba. Ricorre poi alla flagellazione, pur sapendo che Gesù è innocente, per poi presentarlo come “ecce homo” e così impietosire chi lo vede sanguinante e con la corona di spine. Ma anche questo non serve. Infine cede di fronte al ricatto: lui, Pilato, ha potere per opera di Cesare, ma i capi del popolo gli fanno capire che hanno i loro emissari a Roma presso l’imperatore e che possono così riferire a Cesare come si comporta quel suo funzionario mandato nella lontana Palestina. E allora per Pilato potrebbero esserci guai.
Di fronte a quest’uomo che fugge dalla sua responsabilità, ma che con il suo atteggiamento porta inevitabilmente alla condanna a morte di colui che gli è stato consegnato dai Giudei, Gesù non chiede di essere liberato, non è preoccupato di sé, ma vuole portare Pilato alla sua verità di persona, alla sua umanità. Gesù quindi non attacca Pilato, ma neppure lo giustifica. Lo prende sul serio e gli chiede di accogliere la sua testimonianza di verità: «Per questo nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli parla anche di peccato, del suo peccato, anche se precisa: «chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande». Ma quello a cui Gesù vorrebbe portare Pilato e a comprendere chi ha davanti a sé e così a capire anche chi è lui stesso.
Pure nei confronti di Pilato, Gesù usa il linguaggio del suo interlocutore. È una caratteristica molto significativa del modo di Gesù di rapportarsi con le persone. Per esempio, a chi è pescatore, propone di diventare “pescatori di uomini”, un’espressione che chi fa un mestiere diverso non capirebbe.
Pilato capisce il linguaggio del potere. Gesù allora usa questo linguaggio anzitutto per precisare bene il potere di Pilato: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto». Pilato ha un vero potere, ma gli è stato dato dall’alto cioè dal re, da Cesare. Lo sanno bene – lo abbiamo appena ricordato – anche i Giudei che lo ricattano. Ebbene, sempre usando il linguaggio di Pilato, Gesù non nega di essere re, ma precisa: «il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». E gli parla del suo regno di verità, ma Pilato non vuole sapere da Gesù che cosa sia la verità.
Interessante è il fatto che quando i Giudei dicono a Pilato che Gesù «si è fatto figlio di Dio», l’evangelista annoti: «all’udire queste cose, Pilato ebbe ancora più paura». È evidente che Pilato subisce il fascino di Gesù, della sua figura misteriosa, e sa bene che è innocente – tant’è vero che cerca più volte di liberarlo – ma anche ne ha paura. Ha paura della sua identità di re e persino di figlio di Dio. Eppure basterebbe per salvarlo che lo riconoscesse per la sua umanità. Pilato, infatti, presenta Gesù come uomo: «ecco l’uomo». In latino non esistono gli articoli e dire “ecce homo” può significare sia “ecco l’uomo” o “ecco un uomo”. Nel testo originale dei Vangelo in greco, c’è l’articolo determinativo. Gesù non è un uomo qualsiasi, ma è l’uomo. In Lui c’è tutta l’umanità.
Se Pilato avesse davvero compreso questo, avrebbe liberato Gesù. Sarebbe stato sufficiente. Non gli veniva chiesto di capire che quell’uomo era il vero re, era il figlio di Dio, bastava che lo avesse visto come uomo. Ma Pilato è il detentore di un potere che non vede l’uomo. Vede in questo caso un poveretto, che forse è un malfattore e più probabilmente non lo è, ma che in ogni caso gli sta creando problemi e di cui presto sbarazzarsene. Non lo vede come un uomo, una persona se non da amare, almeno da rispettare. Ma così viene meno anche nella sua umanità: Pilato diventa solo un ingranaggio del potere e non un uomo libero e vero.
Purtroppo stiamo vedendo anche in questi giorni come il potere non vede l’uomo: non vede i bambini, le donne, gli uomini. Vede solo dei nemici, degli ostacoli alla propria ambizione, ai propri progetti, vede degli obiettivi per le proprie bombe o missili più o meno “intelligenti”. Purtroppo è da sempre così. Lo ha ricordato papa Francesco diversi anni fa a Redipuglia quando ha ricondotto tutte le guerre all’atteggiamento di Caino che rifiuta di vedere in Abele un uomo e dice: “A me che importa?”. «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). E così facendo Caino perde anche la sua umanità.
Ma la questione non è solo di chi ha potere. Sarebbe facile per noi dare la colpa a chi sta sopra di noi. È vero, ognuno ha i suoi peccati e forse i nostri sono meno grandi. Però anche noi abbiamo le nostre piccole o grandi responsabilità se il mondo va male. La strada per cambiare noi e anche il mondo è quella che Pilato non ha voluto imboccare: riconoscere l’uomo, riconoscere in ogni persona la sua umanità. Anche in noi stessi.
Noi, a differenza di lui, abbiamo il dono della fede. Quella fede che ci fa vedere in Gesù il figlio di Dio che si è fatto uomo ed è andato a morire sulla croce per farci capire che ogni uomo ha la dignità di figlio di Dio. Che la contemplazione della sua croce, ci aiuti a riconoscere in ogni persona la sua umanità, la sua dignità di figlio e di figlia di Dio. E ad agire per primi noi stessi, mettendo in gioco la nostra umanità, il nostro essere figli e figlie di Dio.
+ vescovo Carlo