Mercoledì 4 ottobre 2023, nella festa di San Francesco d’Assisi, l’arcivescovo Carlo ha presieduto nella chiesa di Santa Maria Assunta in Gorizia la solenne liturgia concelebrata dai religiosi cappuccini dell’annesso convento e dai sacerdoti in servizio pastorale in città.
Pubblichiamo di seguito la sua omelia.
Lo scorso anno ho avuto il dono di celebrare la festa di san Francesco ad Assisi. Un’esperienza molto bella e significativa, che voleva ricordare, con la presenza del Presidente della Repubblica, la vicenda della pandemia Covid-19, le persone che allora sono morte e che hanno sofferto, e anche ringraziare tutti coloro che in quella occasione si sono spesi con generosità e, a volte, con il sacrificio della vita, per chi era ammalato o in difficoltà. Oggi sono qui con voi per fare memoria di questo grande santo e non vale di meno questa celebrazione anche se, non lo posso negare, celebrare l’Eucaristia nella basilica di Assisi, come ho avuto modo di fare a fine agosto e come avrò l’opportunità di farlo con i vescovi italiani il prossimo novembre pregando per la pace, ha un’emozione, un coinvolgimento del cuore e della mente, un fascino che sono del tutto particolari.
Vorrei riflettere con voi questa sera sul brano di Vangelo, precisamente sulla prima parte dove c’è una lode che Gesù fa al Padre. Vorrei rileggere queste poche righe, ma nella versione parallela offertaci dall’evangelista Luca nel cap. 10 del suo Vangelo: «In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: “Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo”» (Lc 10,21-22).
La diversità tra le due versioni, praticamente identiche, è nell’inizio: Matteo afferma semplicemente che «Gesù disse», Luca, invece, scrive che Gesù «esultò di gioia nello Spirito Santo». Non è la stessa cosa: non c’è solo un dire, ma è un esultare. Mi immagino che Gesù abbia fatto un salto o almeno un sussulto di gioia mentre pronunciava quella lode rivolta al Padre e mi viene spontaneo pensare all’esultanza di san Francesco, al suo danzare, al suo cantare – dicono i biografi – canzoni in francese, canti che probabilmente aveva imparato dalla mamma, nei momenti di gioia.
Mi dilungo ancora un momento sul confronto tra Matteo e Luca. Il primo evangelista colloca la lode di Gesù dopo i “guai” molto duri che aveva proclamato contro le città del lago, Corazìn, Betsaida e Cafarnao dove il Signore aveva concentrato la sua azione evangelizzatrice e compiuto molti miracoli, ma dove purtroppo non aveva trovato il riscontro che si aspettava. Luca invece presenta l’intervento di Gesù al ritorno dei settantadue discepoli dalla loro missione, un ritorno colmo di gioia, perché persino i demoni si erano sottomessi a loro. Ma Gesù precisa la loro gioia indirizzandola al fatto che i loro nomi sono scritti nei cieli e, appunto, per il fatto che Dio si è rivelato ai piccoli.
Capiamo allora perché Francesco gioiva e lodava il Signore: perché era un piccolo. Sappiamo come per il santo di Assisi conti moltissimo la povertà, ma forse ancora di più la “minorità”, l’essere piccolo e per questo destinatario della rivelazione di Dio, del suo amore di preferenza per i piccoli, i poveri, gli ultimi.
Ho appena detto che Francesco gioiva e lodava il Signore perché era piccolo, ma aggiungo, anche perché era un poeta. A questo proposito, vorrei leggervi un testo che ho trovato per caso. Si tratta di una recensione a una biografia di san Francesco scritta esattamente 100 anni fa, nel 1923. L’autore: un giovane prete di 26 anni, don Giovanni Battista Montini, il futuro papa santo Paolo VI. L’italiano risente dello stile ovviamente di 100 anni, ma lo si capisce comunque. Ecco che cosa affermava quel giovane prete a proposito del nostro santo: «S. Francesco è un poeta, non solo nel senso che sente e canta la poesia, ma soprattutto che vive poeticamente. La poesia è espressione immediata dell’intuizione del reale, a differenza della prosa che è discorsiva e analitica. Vivere poeticamente significa avere per molla motrice non tanto la riflessione quanto la rapida spinta dell’amore. S. Francesco è quindi un amante, nel vero senso, nel più alto senso della parola. Donde la temeraria immediatezza nel dare, nel fare, nel fidarsi, nel mettersi nelle condizioni più assurde: donde quella sua celerità impetuosa che sembra non avergli mai concesso di separare un pensiero dalla sua pronta esecuzione; quella coerenza completa fino alla riproduzione letterale ed integrale del principio con cui sostanziava ogni suo gesto, ogni suo atto. Donde ancora la sfida a tutte le compassate e opprimenti leggi del senso comune, e la creazione continua d’un’originalità individualissima, che sembra ed è follia».
San Francesco è un poeta, lo sappiamo. Ma c’è un altro che è un poeta. Lo ha detto papa Francesco nel discorso tenuto in occasione del 50° di Caritas italiana. Ecco le sue parole mentre illustrava una delle tre vie proposte alla Caritas, la via della creatività (le altre sono la via degli ultimi e quella del Vangelo): «Continuate a coltivare sogni di fraternità e ad essere segni di speranza. Contro il virus del pessimismo, immunizzatevi condividendo la gioia di essere una grande famiglia. In questa atmosfera fraterna lo Spirito Santo, che è creatore e creativo, e anche poeta, suggerirà idee nuove, adatte ai tempi che viviamo».
Lo Spirito Santo, creatore e creativo e poeta. Comprendiamo come abbia ragione l’evangelista Luca vedendo l’esultanza di Gesù e la sua lode al Padre come frutto dello Spirito. E comprendiamo altrettanto bene che Francesco è stato poeta perché era ricolmo di Spirito Santo.
Ma ritorno al giovane Montini e al suo definire la vita di Francesco come un «vivere poeticamente» e quindi un lasciarsi guidare dalla «rapida spinta dell’amore». Francesco è poeta, perché – lo dice sempre don Montini – era un «amante, nel vero senso, nel più alto senso della parola».
Come vorrei stasera chiedere per voi e per me, per l’intercessione di san Francesco, il dono di “vivere poeticamente”. Di essere guidati dall’amore, veri amanti del Signore. E, aggiungo, del prossimo. Perché, se avrete il desiderio di leggere il capitolo decimo di Luca, al cui centro si trova l’esultanza di Gesù, scoprirete – guarda caso… – immediatamente dopo la lode di Gesù, la parabola del buon samaritano. Una vera, concreta poesia dell’amore.
+ vescovo Carlo
(foto Sergio Marini)