Giovedì 4 ottobre il vescovo Carlo ha presieduto la liturgia in onore di San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia, presso la chiesa dei padri Cappuccini a Gorizia. Pubblichiamo di seguito l’omelia del vescovo (foto di Veronica Rodeghiero).
Se vi chiedessi quale è la caratteristica tipica di san Francesco, sono sicuro che tutti mi rispondereste: la povertà. È in effetti per Francesco “madonna povertà” è stata la compagna di una vita: «Ho scelto per mia ricchezza e mia donna la povertà» (FF 671). Ma via via che conosco e approfondisco la conoscenza di Francesco tramite la meditazione delle fonti francescane, mi convinco sempre più che ciò che ha caratterizza la figura di Francesco è anzitutto la libertà. E butto lì un’ipotesi: che la libertà di Francesco sia anche il segreto del fascino che questo santo esercita in ogni tempo – e per fortuna anche oggi – sui giovani?
La libertà. Ovviamente non intesa nel fare quello che si vuole: questa si chiama piuttosto schiavitù e dipendenza dai propri desideri, istinti, voglie, o anche più “nobilmente” dalla propria volontà centrata su di sé. No, libertà come ciò che ci rende simili a Dio, capaci di decidere di noi stessi, non condizionati da niente. Capaci di decidere la cosa fondamentale della vita, che trova nella libertà il presupposto assolutamente necessario: amare.
Ma come è stata la libertà di Francesco? Da che cosa si è progressivamente liberato con l’aiuto della grazia di Dio? Perché anche Francesco non è nato santo, ma lo è diventato lungo la vita.
Ci sono anzitutto una serie di libertà rispetto ai condizionamenti esterni che Francesco ha via via conquistato. La prima è quella dalla propria famiglia, dalle attese risposte in lui, in particolare da parte del padre. Una famiglia, la sua, lo sappiamo, della borghesia mercantile dell’epoca comunale, piena di intraprendenza imprenditoriale e di soldi, che tentava di salire un più alto gradino nella scala sociale di allora, affiancandosi alla nobiltà (o quasi cercando di soppiantarla). E Francesco prima della conversione condivideva totalmente questo progetto. Deve quindi pagare caro questa libertà: il padre a un certo punto lo incatena in un bugigattolo, lo riempie di male parole e di botte… (la madre lo libererà di nascosto dal marito). Ma Francesco è libero e il gesto dello spogliarsi delle vesti per restituirle al padre sarà il segno più eclatante della sua raggiunta libertà. Una libertà che le prove subite e superate avevano rafforzato.
Oltre che dalla famiglia, Francesco dovette liberarsi anche dai condizionamenti e dalla mentalità della società in cui era inserito, a cominciare da quello che pensavano e facevano i compagni della sua giovinezza, ma anche la gente comune, che, soprattutto all’inizio, lo insultava e lo disprezzava. Non è per niente facile essere liberi verso la mentalità dominante, il pensiero diffuso, le mode ecc. Come pure verso i potenti di turno che si impongono con furbizia e scaltrezza e si fanno forti del presunto consenso popolare.
Francesco si mostra libero verso gli altri anche dopo la conversione e persino verso chi gli proponeva qualcosa che poteva sembrare sensato, giusto, buono. Così, per esempio, pur nel massimo rispetto, è libero verso le opinioni di chi tra i cardinali lo stimava e lo proteggeva, opinioni che non sempre riteneva conformi al carisma affidatogli da Dio. Ma è altrettanto libero verso i suoi compagni che insistevano affinché Francesco riprendesse la guida dell’ordine da lui fondato, che dopo i primi tempi soffriva una situazione di difficoltà e di divisione.
Francesco è libero verso gli altri perché è libero verso se stesso. Verso appunto il suo ruolo di fondatore, verso la sua immagine di santità (confessava immediatamente e pubblicamente qualsiasi suo comportamento che fosse ai suoi occhi sbagliato), verso le sue esigenze fisiche, verso le sue presunte comodità (quante tuniche, pezze di lana o di pelliccia, a lui donate anche per dargli un minimo di riparo e conforto per i suoi gravi problemi di salute passavano subito nelle mani dei poveri…). Libertà verso persino ciò che serviva per la preghiera: dona per esempio un Nuovo Testamento a una persona povera (e allora non esisteva la stampa e un manoscritto era qualcosa di raro e di prezioso).
Ma Francesco è libero persino rispetto alle regole da lui stabilite per i suoi frati: si può citare l’episodio del frate che di notte sta male e grida per il digiuno e Francesco lo conforta, gli dà da mangiare e per non metterlo in difficoltà interrompe pure lui il digiuno e mangia insieme al confratello.
O anche è libero persino dal desiderio di convertire subito la gente: si ricorda il suo suggerimento ai frati, che avevano un convento in una zona infestata dai briganti, di portare da mangiare a questi nei boschi chiedendo la prima volta non che smettessero di fare i briganti, ma che almeno non facessero del male alle persone e solo in una seconda occasione domandassero loro di cambiare vita.
Francesco è libero anche dalla sapienza umana, che pretende di capire e non comprende invece la stoltezza della povertà. In un’opera allegorica del XIII secolo, conservata nelle fonti francescane, che parla del rapporto tra Francesco e la povertà, il santo che cerca da innamorato la povertà interroga i sapienti, ma viene deluso dalle loro risposte e le commenta citando proprio il Vangelo di oggi: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25).
La libertà di Francesco è stata conquistata a caro prezzo. Ho già accennato alla prigionia inflittagli dal padre. Ma si può ricordare l’episodio dell’incontro con il lebbroso, come segno certo di misericordia, ma anzitutto di vittoria sopra la ripulsa interiore verso una persona malata e infetta. E poi la rinuncia alle cose, alla comodità, agli elogi,… e i frequenti digiuni e le penitenze.
Che cosa ci ha guadagnato Francesco con la libertà? Anzitutto un rapporto corretto con le cose: viste tutte come dono da accogliere con gioia e di cui non essere schiavi. E poi una relazione nuova con il creato, le creature viventi e non, con cui Francesco entra in una profonda sintonia, quasi nuovo Adamo in un creato ridiventato il giardino delle origini. E anche il rapporto con le persone, soprattutto se povere e bisognose, cui voler bene con grande affetto e appunto grande libertà (si ricorda la sua amicizia con Jacopa, che giunge al momento della sua morte e viene fatta entrare nella clausura perché Francesco la chiama “Fra’ Jacopa”).
Ma soprattutto Francesco ha guadagnato un rapporto profondo con il Signore da amare senza alcun impedimento, totalmente affidandosi alla sua volontà, sentendosi amato da Lui e per questo capace di imitarlo fino alla croce, di cui il dono delle stimmate (cui accenna la seconda lettura odierna) è testimonianza.
La libertà: potrebbe essere il dono da chiedere oggi al Signore per intercessione del santo di Assisi. Una libertà dalla dipendenza dalla mentalità corrente, dai condizionamenti della società e della propria tradizione. Libertà dai blocchi familiari. Libertà dalle cose e da tutto ciò che esterno a noi ci impedisce di seguire il Signore. Ma soprattutto libertà da se stessi, per essere invece realmente quello che siamo: figli, amati dal Padre, salvati dal Figlio, guidati dallo Spirito, chiamati a nostra volta ad amare nella libertà.
+ Vescovo Carlo