Due lenzuoli ed una veste bianca

Sunday 25 March 2018

 

Domenica 25 marzo 2018, l’arcivescovo Carlo ha presieduta in piazza Sant’Antonio il rito della benedizione degli ulivi. Successivamente il corteo dei fedeli ha raggiunto la chiesa di S.Ignazio. Pubblichiamo il testo ddll’omelia pronunciata da mons. Redaelli. 

«Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono. Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo».
«Giuseppe di Arimatea allora, comprato un lenzuolo, lo depose dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia».
Due lenzuoli paiono racchiudere il racconto della Passione. Il lenzuolo, che resta nelle mani dei soldati nel momento in cui cercano di catturare quel ragazzo che seguiva Gesù, un ragazzo che riesce però a sgusciare via con la prontezza e l’agilità proprie della giovane età. E poi il lenzuolo, acquistato da Giuseppe d’Arimatea, che avvolge il corpo insanguinato di Gesù deposto dalla croce.
Due lenzuoli. Il primo è quello della fuga, dell’istinto che porta ad avere a tutti costi salva la vita. Ma è anche quello che indica la spavalderia, l’imprudenza, la curiosità e la generosità tipiche dei giovani. Chi era quel ragazzo? Perché era lì? Non è facile rispondere. Molti, tenendo conto che l’episodio è riportato solo dall’evangelista Marco lo ritengono un’annotazione autobiografica: il giovane sarebbe lo stesso Marco. Sta di fatto che quel ragazzo tenta con coraggio di essere discepolo di Gesù proprio nel momento in cui il Vangelo osserva: «tutti lo abbandonarono e fuggirono». Alla fine deve però scappare anche lui, nudo e indifeso.
Il secondo lenzuolo indica un gesto pietoso di un discepolo nascosto di Gesù che alla sua morte esce allo scoperto, Giuseppe d’Arimatea, che va da Pilato a chiedere il corpo di Gesù (i romani, raffinatissimi nel torturare e umiliare le persone, lasciavano i corpi dei crocifissi appesi alla croce fino alla consumazione del cadavere; pagando, però, i familiari potevano richiedere la salma del crocifisso). Un gesto pietoso come ancora oggi si fa quando si ricoprono con un lenzuolo le vittime di un incidente, di un delitto, di un attentato. Un gesto che indica un minimo di rispetto per l’umanità. Ma quel lenzuolo dice molto di più della pietà. Dice che tutto è finito, che quell’uomo è ormai solo un cadavere da nascondere nell’abisso oscuro della morte, dentro un sepolcro sigillato con una grossa pietra.
I due lenzuoli indicano quindi un percorso che porta alla morte, nonostante i tentativi di non arrendersi: il lenzuolo del giovane che tenta di esprimere desiderio di vita, generosità, solidarietà, reazione alla vigliaccheria, … un lenzuolo che già aveva dovuto essere comunque abbandonato, diventa ora il lenzuolo che avvolge un cadavere insanguinato, un cadavere chiuso in una tomba. Il racconto evangelico di oggi finisce qui e sembra dare ragione a tutte le nostre visioni pessimistiche: il mondo non si può cambiare, le speranze sono vane, i sogni dei ragazzi sfumeranno come un po’ di vapore, gli ideali dei giovani devono lasciare spazio alla rassegnazione dei vecchi. Forse non conviene neppure rischiare di perdere il proprio lenzuolo, forse conviene tenerlo stretto come la coperta rassicurante di un noto personaggio dei fumetti. Forse è questo l’amaro e realistico messaggio che noi adulti e anziani dobbiamo dare ai giovani. Al massimo, in questo mondo ci può essere spazio solo per un po’ di pietà, ma pietà per un mondo destinato a divenire un cimitero di morti.
Ma il Vangelo non termina qui, non si ferma al venerdì santo, ma arriva a Pasqua e ci porterà domenica prossima a cantare con gioia e convinzione l’alleluia della vita. Tutti e quattro i Vangeli parlano del risorto, non si fermano al calvario e al sepolcro. Il Vangelo di Marco, che ci sta accompagnando quest’anno, nel racconto del mattino di Pasqua, ha però un particolare sorprendente. Chi annuncia alle donne, recatesi al sepolcro per completare la frettolosa sepoltura fatta da Giuseppe, che è inutile cercare Gesù nel sepolcro perché è risorto, non è un angelo, ma un giovane, un ragazzo (il termine greco è lo stesso adoperato per indicare il protagonista dell’episodio del Getsemani), un giovane avvolto in una veste bianca. Il lenzuolo è diventato una veste bianca, splendente. La veste della vita, della luce, della risurrezione. Una veste che avvolge chi partecipa della risurrezione di Gesù, ne diventa anzi testimone, non ha più paura. È bello pensare che il lenzuolo della nostra generosità incapace di arrivare allo scopo, il lenzuolo delle nostre paure e delle nostre fughe, il lenzuolo della nostra pietà e insieme della nostra impotenza di fronte alla morte diventi a Pasqua una veste splendente di vita.
Questo è avvenuto perché Gesù si è identificato con noi. Come afferma Paolo nella seconda lettura: «Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini». Lui ha preso su di sé le nostre paure e angosce, i nostri tradimenti e le nostre fughe, persino i nostri peccati. Anzi – afferma sempre Paolo – «ha umiliato se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce». Lui, il Figlio di Dio, si è lasciato avvolgere dal lenzuolo della nostra morte, ma proprio per questo lo ha trasformato in una veste splendente di vita.
La Chiesa ha compreso molto bene tutto questo e fin dall’antichità chi usciva nudo dal fonte battesimale, dove si era come immerso nella morte di Cristo, veniva rivestito di una veste bianca da indossare per sette giorni, come segno di una vita nuova e già risorta.
Vorrei che tutti noi facessimo in questa settimana santa l’itinerario del lenzuolo: passare da quel miscuglio, che è dentro il nostro cuore, di generosità e di vigliaccherie, di speranze e di delusioni, da quella sensazione, talvolta molto pesante, di essere avvolti in un lenzuolo, in una coltre di non senso e di morte, a una vita nuova, a una veste splendente donataci da Gesù Risorto.
Quel Gesù che anticipando la risurrezione si era trasfigurato sul Tabor «e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime», come afferma l’evangelista Marco, aggiungendo un’osservazione sola sua: «nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche». Nessuno sulla terra può trasformare il lenzuolo di morte in una veste bianca di vita. Ma la Pasqua di Cristo anche quest’anno può fare per noi questo miracolo.

+ vescovo Carlo