Don Bosco: i giovani e il lavoro

Thursday 1 February 2024

Mercoledì 31 gennaio 2024 l’arcivescovo Carlo ha presieduto presso la chiesa dell’Istituto San Luigi a Gorizia la concelebrazione eucaristica nella ricorrenza di San Giovanni Bosco.

 

Mi capita ultimamente di parlare spesso con persone che gestiscono un’azienda o che hanno un ruolo di responsabilità nell’ambito sociale e quasi inevitabilmente il discorso va a finire sulla difficoltà di trovare oggi dei lavoratori. Questo – mi raccontano – succede a tutti i livelli: che si tratti di operai specializzati, di tecnici, di agricoltori, di personale sanitario, di operatori turistici, di addetti al commercio, ecc. la questione è sempre la stessa: non si trovano. E ciò succede anche quando le condizioni di lavoro, a cominciare dallo stipendio, dall’orario di lavoro e dall’impegno richiesto – mi dicono – sono buone e interessanti.

Nell’analisi che si fa di questa situazione, si evidenziano diversi colpevoli, ma alla fine i principali accusati sono i giovani: non sono disponibili a lavorare, sono comunque tutelati dalle famiglie, hanno pretese, sono interessati solo ai soldi e alle ferie, … Per dirla tutta: non hanno voglia di lavorare. Il giudizio è pesante e va sicuramente ricalibrato. E cerco di farlo ricordando che esistono ancora oggi giovani bravi, capaci, impegnati, preparati…. Sì, mi rispondono, ma sono una minoranza e di solito vanno all’estero o comunque in realtà più attrattive delle nostre.

Non voglio entrare qui nel merito di un problema complesso, ma intuisco che sia anche una questione culturale – la mancanza della cultura del lavoro – e anche spirituale – il lavoro come collaborazione con Dio creatore. Mi sono però domandato: san Giovanni Bosco così attento ai giovani, alle loro capacità, alle loro speranze, alla loro generosità, ma anche ai loro difetti, che cosa ha detto e fatto a proposito del lavoro? Lui, che è vissuto in un’epoca fortemente diversa dalla nostra, ma dove c’erano però gravi problemi circa il lavoro (si era in piena rivoluzione industriale: la prima!), può dire qualcosa anche a noi, che stiamo entrando ormai, anche per quanto riguarda il lavoro, nell’era della intelligenza artificiale? O, per riprendere quanto affermato da san Paolo nella seconda lettura, può farci vedere che il lavoro rientra in «tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode» e che per questo può essere “oggetto dei nostri pensieri” e del nostro impegno?

Da non esperto di don Bosco, ho provato a cercare dei testi che potessero aiutarmi per capire e presentare brevemente l’insegnamento del grande santo educatore sul tema del lavoro. Questo andando al di là della semplice citazione di alcune sue frasi, per altro molto evocative, come: «Non vi raccomando penitenze o disciplina, ma lavoro, lavoro, lavoro» o «Pane, lavoro, paradiso».

Ho trovato in particolare due scritti interessanti e mi ispiro a essi. Il primo è un intervento del Rettore Maggiore di allora, don Egidio Viganò, alla Scala di Milano nel 1988, intitolato “Don Bosco e il mondo del lavoro”. Il secondo è il volume di don Pietro Brocardo “Don Bosco. Profondamente uomo profondamente santo”, che dedica diverse pagine al tema del lavoro.

Senza ripercorrere la biografia del nostro santo, penso sia importante ricordare anzitutto che don Bosco non conosceva il mondo del lavoro sui libri, ma lo aveva sperimentato personalmente. Per questo ne aveva compreso l’importanza e anche intuito l’ampiezza del suo ambito. Scriveva don Brocardo circa don Bosco: «l’aspetto forse più originale della sua pedagogia e della sua santità, è quello della elevazione dell’uomo e del cristiano tramite il lavoro e col lavoro. Ad una condizione, però, che la voce “lavoro” venga presa nella gamma di significato che aveva per don Bosco, per il quale era, di volta in volta, sinonimo di attività manuale, artigianale, tecnica, professionale; intellettuale, scuola, studio, cultura; apostolica, catechesi, evangelizzazione, zelo pastorale; sacerdotale, azione liturgica, sacramenti; caritativa, nelle sue diverse forme; dovere di stato. “Per lavoro s’intende l’adempimento dei doveri del proprio stato”».

Il lavoro, però, per don Bosco non è fine a sé stesso, perché al centro ci deve essere l’uomo. Affermava don Viganò che don Bosco si è situato in una precisa «prospettiva culturale: il primato dell’uomo sul lavoro; il primato del lavoro soggettivo su quello oggettivo; il primato del lavoratore sul capitale; il primato della coscienza sulla tecnica; il primato della solidarietà sugli interessi individualistici o di gruppi privilegiati». Una prospettiva che dovremmo recuperare nella cultura di oggi.

Il Rettore Maggiore di allora aggiungeva un secondo aspetto: «Don Bosco, però, apprezzava assai anche l’aspetto oggettivo del lavoro. Era attento alle evoluzioni della incipiente industria e interessato ai vari apporti della tecnica. Percepiva in queste conquiste del progresso umano nuovi orizzonti di possibilità di bene». Viene da domandarsi, chissà come si porrebbe oggi don Bosco nei confronti dell’intelligenza artificiale e del suo utilizzo nel mondo del lavoro?

Ci sono altri passaggi nella riflessione di don Viganò che mi paiono molto significativi. Uno parla della cultura del lavoro proposta dal nostro santo: «In un’ora in cui l’industria ed il commercio si andavano sviluppando con ritmo accelerato, Don Bosco ha dato al lavoro ed all’occupazione giovanile il posto che si meritavano nel campo della educazione e nella stima sociale. Ha saputo incarnare gli aneliti dì una “cultura del lavoro” in una metodologia pedagogica e didattica. Il mestiere non come schiavitù o come hobby, ma come professione e nobile dovere, potente fattore di bene materiale, morale, individuale, familiare, sociale, fonte di soddisfazione, in evidente conflitto con l’asservimento del lavoratore alla macchina ed alla produzione per la produzione».

Molto interessante l’accenno alla stima sociale: ancora oggi molti lavori non sono considerati come degni di stima, di apprezzamento, e ciò porta spesso i ragazzi e i giovani (talvolta con pressioni da parte della famiglia) a scegliere dei percorsi non adatti ai loro talenti, alle loro capacità. Purtroppo si è ancora convinti che esista solo l’intelligenza “intellettuale” e non si valorizza quella “tecnica” o “artistica”. A questo proposito don Viganò ricordava che «don Bosco ha lottato ed operato per eliminare il contrasto esistente fra studio e lavoro, tra il ceto degli studenti e delle professioni liberali e quello degli operai e degli artigiani o “artisti” come allora si usava dire. Sotto lo stesso tetto collocò l’aula scolastica ed il laboratorio; la macchina stava accanto al libro, la tecnica andava insieme alla cultura umanistica e costituiva così un esempio di comunità fraterna dove il distacco delle differenze d’impiego veniva ad essere superato: non lotta di classe, ma convergenza, comunione e collaborazione nella distinzione. Con lo stesso sistema pedagogico fatto di spirito di famiglia, dì serenità ed allegria, di confidenza reciproca fra educatore, capolaboratorio ed allievo, ha educato entrambe le sezioni di giovani sulla medesima base religiosa etica e civile; ha cosi modulato la comunione sociale delle diversità».

Nella citazione precedente, merita attenzione anche la sottolineatura che il lavoro non è una schiavitù, ma neppure un hobby, quanto piuttosto una professione che è un nobile dovere a servizio della persona e della società. Indicazioni che andrebbero riprese e proposte ai ragazzi e ai giovani d’oggi educandoli a un’autentica cultura del lavoro.

Ho voluto offrire solo alcuni accenni circa il rapporto tra il santo che oggi celebriamo e il lavoro. Ma è una pista che meriterebbe una ben più ampia considerazione. Concludo suggerendo a tutti una particolare duplice preghiera da affidare all’intercessione di don Bosco. Anzitutto che il lavoro (nell’ampia accezione data dal nostro santo) venga riscoperto dai giovani come il modo per realizzare la loro vita, per valorizzare i doni ricevuti dal Signore, per far crescere la società e anche la Chiesa verso la pienezza del Regno di Dio. Ma, aggiungo, – ed è una seconda preghiera – che gli adulti e gli anziani sappiano con stima e fiducia riconoscere alle giovani generazioni il più ampio spazio per la loro creatività, il loro entusiasmo, la loro generosità.

+ vescovo Carlo