Giovedì 14 febbraio 2019 mons. Redaelli ha celebrato la S.Messa nella ricorrenza dei Santi Cirillo e Metodio, patroni d’Europa, presso la chiesa di San Giuseppe Artigiano a Gorizia. Pubblichiamo di seguito l’omelia pronunciata dall’arcivescovo.
La festa di oggi ci invita a riflettere su tre aspetti che le figure di Cirillo e Metodio ci propongono.
Anzitutto la missione. La missione è il portare agli altri il bell’annuncio del Vangelo. Un annuncio che non è una notizia tra le tante, non è neppure un’idea, un’intuizione, un principio, un sistema ideologico,… No, non è tutto questo: è l’annuncio del Cristo morto e Risorto. E’ l’annuncio che non siamo al mondo per caso, ma perché amati da sempre dal Padre che ci ha creati nel Figlio a sua immagine e somiglianza perché fossimo suoi figli, animati dallo Spirito e capaci a nostra volta di amare, e che ci ha salvati attraverso il dono di sé del Figlio, divenuto uno di noi, morto e risorto per amore. Possiamo tenere per noi questa verità, anzi questo incontro che solo è capace di dare senso, sapore e luce alla vita? No, non è possibile. E occorre annunciarlo a tutti. Così hanno fatto Cirillo e Metodio, inviati tra coloro che allora ancora non conoscevano il Cristo.
Inviati ai pagani con la stessa consapevolezza di Paolo e Barnaba, di cui ci ha parlato la prima lettura: «Così infatti ci ha ordinato il Signore: Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra». Una missione che continuava quella cominciata durante la vita pubblica di Gesù dai settantadue discepoli, descritta dal Vangelo con le caratteristiche di sobrietà, essenzialità, libertà volute da Gesù per i suoi inviati.
Una missione che ora non è più necessaria? Tutt’altro! Ma ciò che è anzitutto necessario è che i possibili missionari, cioè noi, abbiano incontrato Colui di cui si devono fare annunciatori. Forse è proprio questo il problema della missione oggi. Mancano cristiani che l’abbiano incontrato davvero. Io l’ho incontrato? Noi lo abbiamo incontrato? Non si può annunciare per sentito dire, per una conoscenza a distanza, per una lezione imparata a memoria…
Un secondo aspetto ci viene richiamato dalla festa di oggi ed è lo stile della missione di Cirillo e Metodio, quello che potremmo contraddistinguere con il termine “incarnazione”. Questi due missionari hanno avuto la consapevolezza – per altro contestata dai loro avversari – che il Vangelo deve assumere la lingua di chi lo ascolta, deve incarnarsi nei modi di pensare, di sentire, di agire, di vivere di chi lo può accogliere.
Una consapevolezza che li ha portati a usare una lingua e anche a inventarsi un alfabeto affinché quella lingua potesse essere espressa correttamente e in modo comprensibile. Ed è significativo che con l’inizio della stampa, i primi testi pubblicati siano state le Bibbie e che, spesso, ancora oggi, la prima espressione di una lingua sia costituita proprio dalla traduzione della Scrittura.
Oggi la Bibbia è tradotta in tutte le lingue ed a disposizione di tutti: basta avere un semplice smartphone per visualizzare sullo schermo l’intera Bibbia in una delle innumerevoli lingue del mondo. Ma questo basta? O il problema di oggi non è la lingua o i suoi segni alfabetici, ma il linguaggio religioso che spesso è lontano dai linguaggi – i molti linguaggi, i molti modi di esprimersi e non solo quelli verbali – della gente e in particolare dai giovani? Ci vorrebbero un Cirillo e Metodio per l’epoca di internet, di facebook, di whatsapp, di twitter,…
Un terzo tema che è importante sottolineare in questa festa ci è stato proposto da papa Giovanni Paolo II quando l’ha istituita proclamando Cirillo e Metodio patroni d’Europa con Benedetto (poi si aggiungeranno altre patrone…). Il tema è l’Europa e le sue radici. A dir la verità, per papa Wojtyla la questione era soprattutto quella di riportare in Europa tutta la realtà dell’Est, in particolare i popoli slavi. Riportarli in Europa non perché se ne fossero andati via geograficamente, ma perché erano diventati estranei nella concezione culturale dell’Europa così come si era sviluppata in Occidente dopo la seconda guerra mondiale. A questa preoccupazione circa il rapporto tra Est e Ovest, si è aggiunto negli scorsi anni anche il tema della radici da cui l’Europa può attingere la propria identità culturale nel senso più pieno del termine. E ultimamente è stato messo persino in discussione il concetto stesso di Europa e della sua unità non solo economica, ma anche sociale e culturale, con il rinascere di nazionalismi e sovranismi.
Non ci si può nascondere il fatto che questi modi di pensare e di concepire il vivere comune spesso tendono a utilizzare strumentalmente la religione per distinguere, dividere, separare, contrapporsi a un nemico più o meno presunto. Non è questo il luogo e non c’è neppure il tempo per affrontare o discutere tali questioni. Ma resta il fatto che l’Europa rischia di perdere il senso stesso del suo esistere, del suo essere nel mondo portatrice di una cultura che pure attraverso vicende anche drammatiche e dolorose ha saputo incarnare i valori evangelici anche in una versione per così dire laica, soprattutto quelli della libertà, del rispetto della persona, della solidarietà, della fraternità.
In ogni caso, alla comunità cristiana non può bastare essere preoccupata per il declinare della realtà europea e neppure impegnarsi a tentare di salvare un proprio ambito di azione, rinunciando a priori da un impegno fattivo a favore dell’Europa e della sua civiltà e cultura intese nel senso più ampio. Occorre invece che le Chiese cattoliche delle nazioni europee, anche in un rapporto fraterno con le altre Chiese, Comunità e Confessioni religiose, trovino nel Vangelo e nell’esempio e insegnamento di chi nei secoli passati ha lavorato nel nome del Signore per i popoli di questa parte del mondo, come appunto Cirillo e Metodio, la forza per rilanciare i valori più profondi che da tempo immemorabile hanno caratterizzato l’Europa. Un’azione doverosa non solo verso le generazioni passate, ma anche e soprattutto per le giovani generazioni affinché scoprano la bellezza di un impegno ispirato ai valori del Vangelo per costruire una realtà più vera e più umana.
Due anni fa papa Francesco, ricevendo i capi dell’Europa per il 60° dei trattati di Roma, elencava una serie di motivi per cui l’Europa può ritrovare la speranza. Li riprendo dal suo intervento soltanto nei titoli: «L’Europa ritrova speranza quando l’uomo è il centro e il cuore delle sue istituzioni. L’Europa ritrova speranza nella solidarietà, che è anche il più efficace antidoto ai moderni populismi. L’Europa ritrova speranza quando non si chiude nella paura di false sicurezze. L’Europa ritrova speranza quando investe nello sviluppo e nella pace. L’Europa ritrova speranza quando si apre al futuro» (Discorso del Santo Padre Francesco ai Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea, in occasione del 60° anniversario della firma dei Trattati di Roma, 24 marzo 2017).
Affidiamo all’intercessione dei Santi Cirillo e Metodio questo desiderio di papa Francesco, che facciamo nostro, affinché l’Europa ritrovi speranza.
+ vescovo Carlo