Chiusa la Porta Santa del Santuario di Barbana

Monday 10 October 2016

Domenica 9 ottobre l’arcivescovo Carlo Redaelli ha presieduto il rito di chiusura della Porta Santa del Giubileo della Misericordia del Santuario mariano sull’isola di Barbana.

Pensando alla celebrazione di oggi, in cui chiudiamo la porta della misericordia in questo splendido santuario dedicato a Maria, mi è sorto uno strano desiderio: chissà se è possibile rivedere la registrazione della videosorveglianza della porta santa… State tranquilli: non mi riferisco alla registrazione di una possibile telecamera posta sopra l’ingresso per motivi di sicurezza o anche solo per distogliere dal loro intento possibili malintenzionati (del resto non mi sembra che fra’ Stefano abbia fatto installare sulla porta del santuario qualcosa del genere…). No, mi riferisco alla “registrazione spirituale” che senz’altro il Signore avrà fatto in questi mesi delle persone che sono passate dalla porta per ottenere misericordia. Una registrazione non nella memoria di un computer, ma nel cuore stesso di Dio e – ne siamo certi – nel cuore di Maria. Quel cuore di Padre misericordioso che ama tutti, accoglie tutti, perdona tutti, non scarta nessuno e niente, e rinnova nel suo amore la vita di tutti.

Certo un desiderio, il mio, impossibile ed è giusto che il mistero di ciascuno sia inviolabile e sia custodito solo nel cuore di Dio. E non mi riferisco tanto ai peccati di ognuno – sarebbe curiosità morbosa –, ma al mistero del dialogo di amore e di misericordia che Dio ha intessuto in questo giubileo con ogni uomo e ogni donna che qui è entrato, forse solo inizialmente per ammirare il santuario o per dire un’Ave Maria alla Madonna. Anche se non conosciamo i dettagli – ed è giusto che sia così – sappiamo però che quel dialogo d’amore è avvenuto, che qui ci sono stati veri miracoli della misericordia. Lo sanno bene i cari frati, che ringrazio per il loro impegno di accoglienza, di ascolto, di accompagnamento e per il ministero della confessione. Ma lo hanno capito anche tutti coloro che solo hanno avuto un po’ di attenzione verso gli altri – i loro parenti o i compagni e compagne di pellegrinaggio con cui sono entrati in questo santuario –, vedendo sul loro volto i segni di una gioia e di una pace autentiche.

Perché allora oggi siamo qui? Per chiudere una porta? Per dichiarare chiuso il cuore di Dio? Per dire che ormai è troppo tardi per entrare e chiedere misericordia e pace? No, certo: la misericordia di Dio continua e l’anno giubilare è stato solo un segno che provvidenzialmente papa Francesco ha proposto a tutta la Chiesa per ricordare che la porta dell’amore tenero e misericordioso del Padre è sempre aperta, per tutti, proprio per tutti.

Siamo qui per un’altra cosa che il Vangelo di oggi illustra molto bene: per ringraziare. Ringraziare per buona educazione verso il Signore, quella buona educazione che i nostri genitori ci hanno insegnato da piccoli quando ricevevamo un dono e presi dalla curiosità di scartare il pacchetto regalo ci dimenticavamo di dire grazie? No, non per questo. Ma per dire al Signore che abbiamo capito che i suoi doni – come del resto tutti  doni – sono importanti non per la cosa in sé – più o meno preziosa, bella, desiderata … –, ma per l’amore, l’affetto, l’amicizia che dimostrano. Ciò che conta non è l’oggetto del dono, ma il soggetto: chi me lo dona e la relazione con lui. Dicendo “grazie” vuol dire che tu riconosci la persona che ti ha fatto un dono, la riconosci come amica, come vicina. E’ importante allora dire grazie.

È proprio il messaggio del Vangelo di oggi: Gesù non si lamenta perché è stato ringraziato solo da uno e non dagli altri nove lebbrosi guariti come se si sentisse trascurato o oggetto di un atto di maleducazione. Lui si lamenta perché sa che i nove non hanno capito: si sono fermati al dono – alla guarigione – e non hanno compreso che essa era segno dell’amore del Donatore, di Gesù. La cosa importante per loro – e questa l’ha capita solo il samaritano (quello che paradossalmente era il più lontano e che quindi avrebbe dovuto avere più difficoltà a comprendere) – non era venir guariti, ma incontrare il Guaritore, il Salvatore. I nove hanno ricevuto come dono la guarigione, il samaritano ha ricevuto e accolto come dono il Salvatore. Così è stato per chi in questi mesi ha ottenuto qui il perdono: non gli è stato regalato qualcosa, non è stato come tirare una riga sopra un elenco di errori e di peccati, gli è stata ridonata in pienezza la relazione d’amore con Dio.

Noi – intendo dire chi ha un po’ di anni – veniamo da una tradizione che ha interpretato in maniera troppo “giudiziale” il nostro rapporto con Dio: hai peccato; hai violato i comandamenti di Dio; vieni giudicato; solo se cambi vita Dio ti perdona; ti restano le cosiddette pene temporali e meno male che ogni tanto arriva un condono, un giubileo per cancellare tutto. No, non è così. La sequenza corretta è invece: hai peccato, cioè sei andato contro te stesso e il tuo essere figlio di Dio creato per amare; Dio, nella sua misericordia, ti ama ancora di più proprio perché sei peccatore e ti viene a cercare; Lui ti perdona e perciò puoi cambiare vita (e non viceversa, cioè la conversione come condizione per il perdono); il suo amore, infine, è così grande, che vissuto nella comunione della Chiesa, ti rinnova totalmente attraverso il giubileo.

Forse la vera conversione che avremmo dovuto chiedere al Signore in questo anno della misericordia – e spero che tutti l’abbiamo chiesta e ottenuta – è proprio convertire la nostra mentalità, il nostro modo di pensare molto simile a quello dei farisei e non a quello di Gesù. Papa Francesco ci ha proposto il giubileo per questo. Purtroppo c’è ancora qualcuno che non capisce, che si sente più tranquillo con un Dio giudice piuttosto che con un Dio Padre. Il fatto è che con un giudice i conti prima o poi si chiudono: ho sbagliato, pago o spero in un condono o in una amnistia, ma poi tra me e te giudice la questione è chiusa. Con un Padre che ti ama, la questione invece non è mai chiusa. Sei sempre e comunque figlio. Un figlio amato e chiamato ad amare il Padre e i fratelli e lo sorelle. E l’amore non ha limiti, non finisce mai: il suo, ma anche il tuo.

Obiezione: ma così non vale, è troppo facile…; quello lì o quella lì, che ne ha fatte di tutte nella vita, è perdonato, va in paradiso come avverrà spero per me che è una vita che mi sforzo di essere bravo o brava… Si tratta esattamente dell’obiezione del figlio maggiore della parabola: un figlio che stando al racconto di Gesù, non si sa se rientrerà nella casa del Padre. In ogni caso il padre è uscito a parlargli, a cercare di convincerlo del suo amore misericordioso che è verso tutti, verso chi ha la gioia – non la fatica… (altra idea sbagliata) – di stare nella casa paterna e di chi aveva perduto questa gioia e ora la può ritrovare.

Non so se siamo figli minori o figli maggiori: forse convivono entrambi dentro di noi. Ma speriamo che l’anno della misericordia ci abbia concesso il dono della conversione alla misericordia di Dio. E per questo oggi siamo venuti a ringraziare, cantando il Magnificat della Vergine Maria.

† Vescovo Carlo