“Allora mi ricordai delle tue misericordie, Signore” (2015)

Monday 16 March 2015

Il 16 marzo 2015, l’arcivescovo Carlo ha presieduto in cattedrale la celebrazione dei Santi Ilario e Taziano, patroni della città di Gorizia.

Forse perché preso dalla risonanza emotiva dell’annuncio di un giubileo straordinario da parte di papa Francesco, sta di fatto che l’altra sera, meditando le letture dei Santi Patroni per prepararmi alla celebrazione di oggi, sono stato colpito da una frase presente nel primo brano: «Allora mi ricordai delle tue misericordie, Signore» (Sir 51,8).

Già qualche versetto prima si parla di misericordia, una misericordia da parte di Dio che si manifesta nella liberazione dello scrittore sacro, che si esprime in prima persona, «dai morsi di chi stava per divorarmi, dalle mani di quanti insidiavano la mia vita». Una misericordia, quindi, di Dio che in questo caso non è rivolta tanto verso il peccatore, ma verso chi è calunniato («una calunnia di lingua ingiusta era giunta al re»), assalito («mi assalivano dovunque»), abbandonato da tutti («nessuno mi aiutava»), ma non da Dio e dal suo amore misericordioso. Anche la seconda lettura, pur non parlando esplicitamente di misericordia, manifesta la certezza che la «potenza straordinaria», che viene da Dio, è in grado di fare in modo che “tribolati” non si venga schiacciati, “sconvolti” non si cada nella disperazione, “perseguitati” non ci si senta abbandonati, “colpiti” non si venga uccisi.

Questa certezza nella vicinanza di Dio è ciò che ha sostenuto i nostri Patroni, i santi martiri Ilario e Taziano, come ha sostenuto e sostiene i martiri di ogni tempo nella scelta di accogliere l’invito del Vangelo a non tenere per sé la vita, ma di perderla per il Signore.

A fronte di queste considerazioni che nascono dalla Parola di Dio di oggi, può sorgere spontanea la domanda: dove sarebbe questa misericordia, se i santi perseguitati hanno comunque perso la vita? Non sembra molto efficace… Non rispondo direttamente a questa obiezione, ma penso che essa ci sia utile per prendere coscienza che nella concezione cristiana la misericordia non è qualcosa di banale e di scontato, anche se così viene spesso presentata all’opinione pubblica, a volte in modo non del tutto disinteressato. Ed ecco pertanto l’accusa di “buonismo” verso la Chiesa, per il suo atteggiamento di attenzione “misericordiosa” verso i carcerati, verso – ricordate anni fa … – i terroristi pentiti, verso varie categorie ritenuti marginali e guardate con sospetto e diffidenza da alcuni settori della società come i sinti e i rom, i senza fissa dimora, gli stranieri, i richiedenti asilo, e così via. O, ancora, l’accusa o comunque la critica, talvolta presente anche in ambienti interni alla Chiesa, verso papa Francesco, che continuamente insiste sulla misericordia, dice di non voler giudicare, non brandisce la spada della verità. Ma che cosa è la misericordia di Dio? E quella cristiana? Ed esiste una misericordia anche umana, condivisibile anche da chi non è credente? La misericordia può e deve essere un criterio per l’azione della Chiesa? Potrebbe e forse dovrebbe esserlo anche nella gestione della Città, dello Stato e persino della Comunità internazionale?

Non abbiamo evidentemente qui il tempo per affrontare con un minimo di profondità questi interrogativi, però è possibile fare alcuni accenni che sicuramente il prossimo giubileo e il magistero di papa Francesco ci permetterà di sviluppare.

Comincerei a dire che cosa non è la misericordia di Dio e quindi anche la nostra. La misericordia non è frutto anzitutto di una visione ingenuamente ottimistica della realtà: Dio sa molto bene quanta cattiveria, quanto odio, quanta sofferenza ci sia nel mondo e anche noi lo sappiamo bene e ci viene ricordato ogni mattina quando ascoltiamo un giornale-radio o sfogliamo un qualsiasi quotidiano.

Ancora: la misericordia non è chiamare il male bene, l’ingiustizia giustizia, il torto ragione. Il male resta male in tutta la sua gravità. Di conseguenza la misericordia non è e non può essere indifferenza e inazione verso l’ingiustizia, come pure verso i soprusi, la guerra, la malvagità. L’indifferenza e l’inazione sarebbero complicità con il male. La misericordia infine non è un colpo di spugna che cancella tutto, una specie di amnistia o di condono universale o, se volete, una prescrizione immediata e sempre in azione per cui chi ha dato a dato, chi a preso a preso, chi è furbo è furbo e chi ha subito un torto o un’ingiustizia… peggio per lui.

Che cosa è, invece, in positivo la misericordia? E’ prendere sul serio il male e l’ingiustizia, ma capovolgendone la logica. Rispondere colpo su colpo, anche quando si ha ragione, non porta a niente, anzi peggiora la situazione. Può sembrare un atteggiamento momentaneamente vincente, ma è di corto respiro. Offrire anche a chi è nel torto (ammesso che questo sia sempre da una sola parte…), a chi ha sbagliato, a chi è nemico, opportunità di ripresa, di riscatto o anche solo di intuire che c’è un altro modo di vedere la vita, è fondamentale anche per la giustizia e la sicurezza di chi si considera dalla parte della ragione. Una società, ad esempio, che pensasse di risolvere il problema della criminalità mettendo in carcere tutti i malfattori – ammesso che ciò sia possibile… – e non facesse altro, aumenterebbe paradossalmente il tasso di malvagità, di rivendicazione, di odio da parte dei cosiddetti “criminali” verso se stessa e vivrebbe nella continua paura. Solo pazienti percorsi educativi di riabilitazione, di possibilità di riparazione delle ingiustizie compiute, di opportunità di riscatto possono garantire a una società, a una città, sul medio e lungo termine, una convivenza pacifica, condivisa, inclusiva di tutti.

La stessa cosa vale anche nel rapporto tra gli Stati.

Per esempio, una nazione che ha provocato ingiustamente una guerra (ammesso che ci possa essere una guerra giusta…), una volta sconfitta, non può essere perennemente occupata dai vincitori, sanzionata dalla comunità internazionale, umiliata dall’opinione pubblica mondiale, ma deve avere la possibilità di riprendere il suo posto dignitoso nel consesso internazionale. A tutti gli attori di un conflitto deve essere offerto la possibilità di percorsi di riconciliazione. La nostra Città, il nostro territorio, che si sono trovati loro malgrado in mezzo a due conflitti mondiali, sanno molto bene che cosa significhi puntare sull’odio, sulla vendetta, sull’esclusione reciproca piuttosto che sulla riconciliazione, la valorizzazione delle culture, la tutela delle minoranze, la paziente integrazione. Anche la giusta rivendicazione di torti subiti e di diritti calpestati, se si irrigidisce in una pretesa che non ascolta le ragioni dell’altro o non accetta mai di mettervi – come si usa dire – una pietra sopra in nome di una riconciliazione ritrovata, non porta lontano. Quest’ultimo accenno offre lo spunto per ricordare un dato chiarissimo nella misericordia di Dio e quindi anche nella nostra. Cioè che la misericordia – permettete l’espressione sgrammaticata… – la si paga di persona. Dio ha pagato di persona la sua misericordia verso di noi peccatori, tant’è vero che ha mandato suo Figlio a morire in croce. Tanti martiri hanno dato la vita non solo per l’adesione coerente a una fede, ma per non rispondere con la logica del male a una ingiustizia. Chiunque di noi che ha avuto l’occasione di perdonare o di essere perdonato, sa molto bene quanto costa il perdono. Ma è un costo che vale la pena sopportare in vista di un bene maggiore. Un bene che non è solo la riconciliazione, la tranquillità, la serenità, ma è anzitutto valorizzare ogni persona come tale nella sua dignità di figlio e di figlia di Dio. Questo è il vero segreto della misericordia di Dio e nostra: la consapevolezza che al di là di tutto, persino del crimine peggiore che si possa compiere, c’è comunque la persona. Si deve “condannare il peccato e non il peccatore”: sembra un principio banale, ma esprime l’atteggiamento misericordioso di chi sa che ogni essere umano ha una sua dignità, che può stravolgere, deturpare, rovinare, ma non può cancellare. Dio lo sa e per questo non si arrende a perdere anche un solo essere umano, non si stanca di inseguire la pecorella perduta, di cercare il peccatore anche negli abissi profondi dove si è rinchiuso.

Così deve fare anche la Chiesa e sono certo che papa Francesco nel prossimo sinodo e nel successivo anno santo straordinario indicherà vie concrete di misericordia per tutti. Così deve tentare di fare la società, anche la nostra Città, perché una società, una città che si rassegna a perdere, a scartare, a condannare anche solo un uomo è una società, una città forse in apparenza più sicura, più giusta, ma sicuramente più povera e meno umana.

† Vescovo Carlo