Ad ognuno deve essere risconosciuta l’opportunità di avere propri luoghi di culto.

Tuesday 28 November 2023

La sera di martedì 28 novembre, l’arcivescovo Carlo ha presieduto in duomo a Gorizia la solenne liturgia nella festa della “Dedicazione della cattedrale”.

Celebriamo oggi con gioia l’anniversario annuale della dedicazione della nostra cattedrale. Di solito in questa occasione si prende spunto dalla festa di un edificio materiale – una chiesa come questo duomo – per parlare dell’edificio spirituale cioè della Chiesa con la “c” maiuscola, costituita dai credenti e chiamata a essere Corpo di Cristo. Un passaggio sicuramente motivato, anche da quanto Paolo scrive ai cristiani di Corinto e che ha ripetuto a noi: «voi siete edificio di Dio, voi siete tempio di Dio» (cf 1Cor 3, 9-17). Per questo è giusto parlare di noi come la Chiesa in senso pieno, come realtà spirituale edificata sulla pietra angolare che è Cristo Gesù.

Non dobbiamo, però, dimenticare anche l’edificio costruito da pietre e spesso adornato con marmi preziosi e arricchito di opere d’arte, come è il nostro duomo. Vorrei, allora, questa sera, soffermarmi proprio sul significato e l’importanza dell’edificio sacro. Anzitutto il suo significato, che potremmo sintetizzare nel suo essere insieme casa di Dio e casa della comunità cristiana.

Casa di Dio, non perché Dio possa essere rinchiuso in un luogo, ma perché qui viene proclamata la Parola di Dio, qui vengono amministrati come segni della grazia di Dio i sacramenti, qui viene celebrata l’Eucaristia e qui anche viene conservata perché possa essere portata ai malati e possa essere destinataria della nostra adorazione. Casa di Dio, ma anche casa della comunità cristiana. Lo è proprio perché è casa di Dio: qui con il Battesimo vengono generati i nuovi cristiani, qui ricevono il dono dello Spirito, qui partecipano all’Eucaristia, qui vengono celebrati i sacramenti e gli altri gesti che accompagnano la vita cristiana. Casa di Dio e casa della comunità: non due cose diverse, ma due aspetti della stessa realtà.

Questo perché Dio ha scelto di dimorare tra noi, vuole essere una presenza in mezzo a noi.

Lo celebreremo tra meno di un mese nel Natale, ma ce lo ricorda anche il brano di stasera, tratto dal Vangelo di Luca (Lc 19,1-10), che presenta Gesù che si invita nella casa di Zaccheo, vuole essere ospite di chi è considerato peccatore (un capo dei pubblicani, persone che avevano tradito la loro fede e la loro appartenenza al popolo di Dio, diventando collaborazionisti degli occupanti romani). E Zaccheo acconsente alla richiesta di Gesù e accoglie il Signore anzitutto nel suo cuore, prima ancora che nella sua casa; lo accoglie nella sua vita, che cambia radicalmente passando dallo sfruttamento disonesto degli altri, alla restituzione di quanto rubato, dalla chiusura egoistica nelle sue ricchezze a una grande generosità verso i poveri.

La prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia (Is 56, 1.6-7), annuncia profeticamente che anche gli stranieri entreranno nella casa di Dio, è anche casa loro, e parteciperanno al culto a Lui indirizzato. Pertanto, afferma Dio per bocca del profeta, «la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli». Una prospettiva molto bella, che avrà pieno compimento solo alla fine. Ora, di fatto, i diversi popoli cercano lo stesso Dio, ma per strade diverse.

Tante sono le religioni presenti nel mondo, non c’è solo quella cristiana, che pure riteniamo essere frutto della pienezza della rivelazione di Dio in Gesù. E ogni religione, se autentica, è comunque in ricerca di Dio e propone ai propri aderenti una relazione con Dio attraverso la preghiera, il culto, i valori da realizzare nella vita.

Il Concilio Vaticano II, quasi sessant’anni fa, ha costituito una preziosa occasione per cogliere il senso della presenza di più religioni nel mondo e per invitare a un dialogo rispettoso e costruttivo tra di esse, nella salvaguardia della dignità della persona e nella ricerca sincera dell’Assoluto. Un dialogo che in questi decenni è andato avanti tra alti e bassi e ha dovuto constatare ancora troppe volte un uso distorto della religione, a servizio di ideologie, di poteri, di interessi e persino come giustificazione della violenza e della guerra. Ci sono stati, però, anche dei significativi passi avanti e mai la Chiesa cattolica, a cominciare dai papi degli ultimi decenni – da ultimo e sempre con molta forza papa Francesco –, ha rinunciato a proporre un dialogo sincero a favore della pace e della fratellanza umana universale.

Il Concilio Vaticano II ha anche dato molto valore alla libertà religiosa, che è la più preziosa libertà di ogni persona, libertà che va rispettata e favorita anche dalla società e da chi ne ha la responsabilità politica. Una libertà che esige, cito il documento che il Concilio ha dedicato al tema, che «in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza, né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata» (Dignitatis humanae, n. 2). Un diritto che spetta alla persona in quanto tale, a prescindere dal grado di verità della religione professata, e quindi – continua il Concilio – «il diritto ad una tale immunità perdura anche in coloro che non soddisfano l’obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa, e il suo esercizio, qualora sia rispettato l’ordine pubblico informato a giustizia, non può essere impedito» (D.H., n. 2).

Purtroppo questo diritto, che deve comportare anche la possibilità di avere un proprio luogo di culto, non è rispettato in molte parti del mondo, dove ai cristiani viene impedito di avere delle proprie chiese o anche la possibilità di usarle in pace e serenità. È giusto che preghiamo per questi cristiani perseguitati o comunque limitati nella loro libertà di credenti e che nelle sedi internazionali le varie organizzazioni, e anche le nazioni dove vige un vero rispetto dei diritti integrali delle persone, facciano sentire la loro voce a difesa dei cristiani, ma anche dei credenti di ogni religione.

La questione, infatti, non riguarda solo i cristiani, ma tutti i credenti a cui va assicurata la possibilità di esercitare con libertà la propria religione, nei limiti del rispetto del giusto ordine pubblico, anche avendo l’opportunità di avere propri luoghi di culto.

Ciò dovrebbe essere qualcosa di ovvio negli Stati – come il nostro – democratici e laici, dove la laicità, rettamente intesa, non è la contrarietà a ogni religione, quanto piuttosto la non confessionalità dello Stato e il suo impegno positivo a rendere fattibili nel concreto i diritti delle persone come singole e come associate, compreso il diritto alla libertà religiosa. Dovrebbe avvenire anche qui da noi, nel rispetto dei principi della stessa costituzione che sta alla base della nostra Repubblica, ma non sempre è così. Non nego che la cosa non sia sempre semplice, ma i problemi non vanno complicati, magari in vista di qualche interesse immediato, bensì risolti con saggezza, prudenza, gradualità e nell’effettivo rispetto dei diritti di tutti.

Che lo si voglia o no, la nostra società italiana sarà sempre più una realtà multietnica e multireligiosa: garantire, oltre ad altri diritti (che esigono, naturalmente, i rispettivi obblighi), l’effettivo diritto di tutti alla libertà religiosa, compresa la possibilità di avere dei propri luoghi di culto, ovviamente nel rispetto dei doveri collegati, è il modo migliore per preparare per tutti un futuro di serenità e di pace.

Che è ciò che chiediamo al Signore, grati di poter avere questa bella chiesa in cui ascoltare la sua Parola, celebrare i sacramenti e pregare. Una casa che è sua e che proprio per questo è anche nostra in attesa di essere tutti, un giorno, nella casa del suo Regno.

+ vescovo Carlo