Il senso profondo della croce

Wednesday 2 March 2022

Mercoledì 2 marzo 2022 l’arcivescovo Carlo ha presieduto la messa in cattedrale nel primo giorno di Quaresima pronunciando la seguente omelia. 

 

«Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!». Sono le parole conclusive della seconda lettura di stasera. Ma è davvero un momento favorevole questo o non è piuttosto un momento di grave preoccupazione, di grande sofferenza, di muto dolore? I tempi di Dio sono sempre tempi favorevoli, perché sono comunque tempi di salvezza. Lo sono non a buon mercato, ma a caro prezzo, il prezzo della croce.

Forse mai come in questi tempi di guerra riusciamo a intuire il senso profondo della croce che contempleremo nella prossima Pasqua. La croce come il prendere su di sé da parte del Figlio di Dio fatto uomo tutto l’immane carico di cattiveria, malvagità, ingiustizia, peccato, sofferenza, dolore dell’intera umanità. La croce che porta alla risurrezione, non come lieto fine e via facile di risoluzione dei problemi del mondo. La risurrezione non cancella la croce. Impressiona il fatto che il Risorto appaia ai discepoli sempre con le mani e il costato piagati. Il Risorto è e resta per sempre il Crocifisso. Ho rivisto nei giorni scorsi nella chiesa di Santa Maria Novella a Firenze, lo splendido affresco della Trinità di Masaccio, dove la seconda persona della Santissima Trinità è rappresentata dal Crocifisso. La croce è e resta dentro la Trinità.

Proprio contemplando la croce in questo tremenda situazione di guerra, dobbiamo domandarci che cosa possiamo fare in questa Quaresima. Il Vangelo di oggi ci offre una triplice indicazione: la preghiera, il digiuno, l’elemosina. Tre atteggiamenti da vivere nella loro autenticità.

Anzitutto la preghiera. Il ricorso alla preghiera è importante, ma rischia di essere frainteso. Può infatti essere visto anzitutto come l’ultima risorsa: quando non c’è più niente da fare, allora non ci resta che pregare. Questa idea può sottintendere la convinzione che dobbiamo essere bravi noi a darci da fare da soli e soltanto se non ce la facciamo, allora, sconsolati, preghiamo. Ma il ricorso alla preghiera può essere visto, al contrario, come la sola cosa da fare immediatamente intendendola però come una via di fuga dall’impegno e dalla responsabilità. Ma anche questo è sbagliato.

Che cosa è invece la preghiera? Qual è il suo senso autentico?È mettersi in sintonia con Dio, che vede nel segreto del cuore di ciascuno e dell’intera umanità. È vedere le cose dal suo punto di vista, assumere i suoi criteri di giudizio, il suo modo di sentire, la sua disponibilità ad amare.

Il punto di vista di Dio ci è svelato da Gesù. È uno sguardo dall’alto, ma dall’alto della croce e non dal trono di un Dio lontano e inaccessibile. È uno sguardo dal basso, di un Dio che si è fatto servo e ci lava i piedi. È uno sguardo negli occhi dell’altro, di uno che fissa, guarda, ama. Come con questo triplice sguardo Dio sta vedendo la guerra in Ucraina, ma anche le guerre dimenticate in tante altre parti del mondo? Come vede i responsabili dei popoli, coloro che combattono, le famiglie, i bambini, le vittime? Sono domande importanti.

In questa sintonia e in un clima di grande confidenza dobbiamo dire a Dio tutte le nostre fatiche, le nostre angosce, i nostri rimorsi, ma anche le nostre invocazioni, i nostri desideri, le nostre speranze, i nostri sogni e farci interpreti dei nostri fratelli e delle nostre sorelle che soffrono. E poi dobbiamo ascoltare: perché la preghiera è pure ascolto della Parola di Dio, dello Spirito che ci spinge e ci guida ad assumere le nostre responsabilità e a fare le nostre scelte. La preghiera è tutt’altro che deresponsabilizzante, è tutt’altro che una fuga dalla realtà e dall’impegno per la giustizia e la pace.

Il digiuno è un secondo atteggiamento tipicamente quaresimale. Il digiuno è una realtà che tocca il cibo, il bere, i soldi, le risorse, il tempo, le chiacchiere, la dissipazione, ecc.: non può essere ridotto a banalità. Ancora di più se vuole essere, come deve essere, anche un segno di profonda solidarietà con chi soffre ed è nel bisogno. Non possiamo giocare con la fame degli altri, che sia fame di cibo, di salute, di giustizia, di pace … non importa. La solidarietà deve essere autentica.

Vorrei però proporre per questi giorni un digiuno forse più difficile. Si tratta del digiuno dalle nostre opinioni, dalle nostre emozioni, dai nostri giudizi di fronte a ciò che stiamo vivendo. Un digiuno che chiede anzitutto silenzio dentro e attorno a noi. Non lasciamoci annegare dal diluvio di parole, il più spesso chiacchiere inutili e deresponsabilizzanti, che ci viene proposto dai talk show e dai vari social, capaci di passare senza troppi problemi dal parlare di olimpiadi, di calcio, di politica, a trattare di pandemia e di guerra. Abbiamo bisogno di un digiuno che faccia spazio in noi affinché attraverso la preghiera, come sopra ricordavo, possiamo arrivare ad assumere i giudizi, i sentimenti, gli atteggiamenti, le azioni di Dio.

Un terzo atteggiamento quaresimale è l’elemosina. Il termine nella accezione odierna non è sicuramente felice. Ma in origine la parola si collegava al verbo greco “eleeo”, che significa avere pietà. L’elemosina quindi non può ridursi a dare qualche spicciolo ai poveri o anche di più e così chiudere il nostro impegno verso di loro. L’elemosina, invece, è anzitutto avere pietà, avere compassione per l’altro, amarlo; è – secondo l’insegnamento evangelico – farsi prossimo dell’altro, anzi mettersi al suo posto e ancora di più vedere in lui la presenza del Signore. Da questo atteggiamento interiore nascono poi le azioni concrete, che sono la traduzione di esso. In questo caso quanto diamo per coloro che soffrono a causa della guerra in Ucraina, deve essere un segno autentico di una vera solidarietà con questi nostri fratelli e queste nostre sorelle, di un qualcosa che viene dal cuore.

Non è facile vivere i tre atteggiamenti quaresimali e non è facile realizzarli oggi. La Quaresima per questo è anche un impegnativo itinerario di conversione che vuole portare a chiedere e a ottenere perdono. Un itinerario che quest’anno vogliamo vivere insieme come diocesi, anche con momenti comuni e con gesti concreti di conversione, come quelli che ci sono stati proposti all’inizio della celebrazione. Gesti che sono stati pensati prima dello scoppio della guerra in Ucraina, ma che sono importanti anche in riferimento a ciò che sta accadendo. Ne sottolineo uno solo.

Se i popoli fanno grande fatica a riconciliarsi e a superare le tensioni in modo pacifico è anche perché ciascuno di noi è poco capace di riconciliazione, di chiedere e accogliere il perdono. Ecco perché può essere importante in questa Quaresima giungere a un gesto di riconciliazione con qualcuno con cui c’è qualcosa “in sospeso”. Sarà un modo concreto per contribuire alla pace.

La pace è costruita dagli auspicabili accordi internazionali, dalle azioni per la giustizia, dal rispetto dei diritti dei popoli e delle persone, dall’impegno per i poveri, ecc., ma anzitutto dal cuore. Anche dal nostro cuore riconciliato per grazia di Dio.

Ce lo conceda il Signore in questa Quaresima.  

+ vescovo Carlo