Unità pastorali: le esperienze di chi già le vive

Wednesday 10 October 2018

Il Kulturni Dom di Gorizia ha ospitato mercoledì 19 settembre l’incontro di presentazione della Lettera pastorale 2017/18 dell’Arcivescovo Carlo intitolata “Anch’io mando voi…”
La serata si è aperta con la presentazione dell’Inno della Visita pastorale scritto da don Francesco Fragiacomo e con il saluto di monsignor Paul-Siméon Ahouanan Djro, arcivescovo di Bouakè, ospite nei giorni scorsi in diocesi.

Sono state presentate due significati esperienze vissute nelle comunità che già vivono l’esperienza di Unità pastorale che pubblichiamo di seguito.

 

La comunità pastorale “Don Bosco”

La nostra Comunità Pastorale è formata da tre parrocchie contigue della città di Gorizia, animate da una comunità religiosa di Salesiani.

Inizialmente ai Salesiani era stata affidata, nel 1972, la parrocchia di San Giuseppe Artigiano in Straccis; in seguito un salesiano fu incaricato anche per la parrocchia di San Pio X; infine, dal 1988, si aggiunse anche la parrocchia dei Santi Vito e Modesto in Piazzutta.

Con l’assegnazione di quest’ultima, per volontà dell’allora Arcivescovo, le tre parrocchie – prima indipendenti – iniziarono un percorso di Unità Pastorale, con l’obiettivo di affidare ad un’unica comunità religiosa la loro animazione, pur mantenendo le singole identità. Il cammino non è stato né semplice né spontaneo, perché unire le forze di tre realtà distinte richiede a tutti la capacità di superare alcune barriere – soprattutto mentali – e la disponibilità di fare posto all’altro, affinché ognuno si senta protagonista attivo nella comunità e l’unificazione non risulti solo un’imposizione dall’alto. Nel corso degli anni abbiamo vissuto successi e insuccessi, che ci hanno portato pian piano a capire come strutturare la nostra realtà, anche se ci rendiamo conto che non esiste una ricetta unica e definitiva.

Una serie di eventi vissuti nell’anno 2013 ci hanno aiutato a fare dei passi più decisi verso l’unità: in ottobre una Missione Popolare, animata dai Frati Cappuccini, ha portato molteplici stimoli alle nostre tre comunità; a fine novembre c’è stata la visita dell’Urna di Don Bosco, momento forte di preghiera e riflessione, sia personale sia comunitaria; nel contempo abbiamo stilato i nostri “Atti della Comunità Cristiana”, accogliendo l’invito della lettera pastorale “Chi è la Chiesa”: è stata una bella occasione di confronto che ci ha permesso di evidenziare alcune dinamiche presenti nelle nostre realtà, con i vari punti di forza e di fragilità.

Abbiamo capito che, per intensificare il nostro cammino verso l’unità, è necessario curare maggiormente l’accoglienza di chi incontriamo nella quotidianità, attraverso una testimonianza evangelica rivolta a tutti, sia credenti sia non credenti. Abbiamo sentito perciò il bisogno di crescere e maturare come comunità che testimonia con la vita la scelta del Vangelo, e non solo attraverso la partecipazione individuale alla Messa domenicale. Sono state quindi proposte alcune attività comuni tra le tre parrocchie – celebrazioni liturgiche, incontri di formazione e momenti di tempo libero da vivere insieme – per creare maggior conoscenza e partecipazione. In particolare, sono state molto significative le esperienze fatte da alcuni gruppi di adulti che hanno sentito il bisogno di incontrarsi per riflettere e pregare attorno alla Parola di Dio.

La riflessione degli ultimi anni ha fatto sorgere l’esigenza di cambiare la denominazione della nostra realtà unitaria in “Comunità Pastorale Don Bosco”, che ci pare più rispondente a quanto vogliamo realizzare tra le nostre tre parrocchie: “Comunità Pastorale” perché desideriamo essere persone che, pur con i loro limiti e le loro difficoltà, cercano di vivere la comunione (più che una realtà di fatto, è un programma); “Don Bosco” ci richiama alla radice salesiana della nostra comunità, non solo perché affidata a una comunità di Salesiani, ma perché cerchiamo di fare nostro il suo stile educativo e il clima di famiglia, con attenzione particolare ai giovani, in un territorio abitato prevalentemente da ceti popolari.

Negli ultimi anni ci siamo resi conto che era necessario dare più consistenza e organicità al nostro intervento educativo e pastorale, consapevoli del fatto che la nostra disponibilità e generosità sono elementi necessari ma, da soli, non sufficienti. Abbiamo, perciò, elaborato un Progetto Pastorale che tracciasse il cammino comune delle nostre tre parrocchie, le cui linee di azione si articolano su quattro ambiti:

L’Annuncio: nelle nostre parrocchie è necessario curare in modo particolare la testimonianza gioiosa del Vangelo, a partire dal primo annuncio, promuovendo percorsi formativi permanenti di educazione alla fede per tutte le fasce d’età.

La Carità: ci rendiamo conto che anche nelle nostre tre comunità sono presenti molti tipi di povertà – economiche, morali, spirituali… –, che coinvolgono tutte le fasce d’età. Vorremmo migliorare la nostra attenzione verso di esse, ma sovente dobbiamo costatare che le forze disponibili sono insufficienti. Comunque nelle nostre parrocchie opera un gruppo Caritas, che costituisce un importante strumento di animazione e una voce che ci interpella e sollecita continuamente.

La Famiglia: siamo convinti che il bene della famiglia sia fondamentale per il bene della Società e della Chiesa, per cui abbiamo deciso di promuovere un accompagnamento delle famiglie, in particolare per quanto riguarda l’educazione dei figli e il superamento di problematiche relazionali; un accompagnamento che si traduce anche in proposta di spiritualità e di fede, che valorizzi la scelta matrimoniale come vera vocazione e cammino di santità.

I Giovani: la nostra Comunità Pastorale si è sempre caratterizzata nella Chiesa Goriziana per una particolare attenzione al mondo giovanile. Con interesse cerchiamo di seguire i cambiamenti e le dinamiche che avvengono nel mondo giovanile, mettendoci in ascolto delle loro istanze e sostenendoli nelle loro proposte e iniziative, affinché possano diventare protagonisti delle nostre comunità. La sofferta e inaspettata chiusura del convitto “San Luigi” ha innescato nuove dinamiche e soluzioni che, anziché ridurre, hanno incrementato le attività giovanili precedentemente avviate.

Restiamo, in conclusione, una comunità in cammino, con le sue luci e le sue ombre. Una comunità che cerca di essere accogliente verso tutti, che si impegna a testimoniare il Vangelo nel mondo, rendendosi attenta ai suoi cambiamenti per essere il più possibile incisiva nella sua azione pastorale.

Isonzo-Vipacco: aggiornarsi al passo con i tempi

Unità pastorale Soča-Vipava/Isonzo-Vipacco non è nata da una scelta dall’alto, ma come conseguenza di una necessità oggettiva: la quiescenza di un presbitero e l’improvvisa morte di un’altro hanno obbligato il Vescovo, nella provvisione di queste comunità, a unirle sotto la stessa guida sacerdotale. A dire il vero, il Vescovo non ha mai costituito un’Unità pastorale, ma ha soltanto affidato la cura di diverse parrocchie ad un solo parroco/amministratore parrocchiale.
È stata un’attenta e approfondita lettura e verifica della nuova sittuazione, creatasi dopo il 2009, a suggerire ai Consigli Pastorali Parrocchiali di Gabria-San Michele, Rupa-Peci, Savogna d’Isonzo e Sant’Andrea di formulare un progetto pastorale comune che tenga conto della presenza di un solo parroco su un territorio di sei comunità locali, situate in due Comuni, fisicamente non molto distanti una dall’altra, ma ognuna molto attiva, vivace e forte di una propria identità.
Il progetto pastorale, sucessivamente redatto in modo di calendario da distrubuire a tutti gli abitanti del territorio, ha avuto una prima stesura ed applicazione tra il 2010 e il 2011, ma è stato di anno in anno riveduto, rinnovato e riproposto in base alle necessità, alle risorse ed alle richieste dei fedeli. Il Consiglio Pastorale Parrocchiale lo riprende in mano e riformula ogni anno l’ultima settimana di agosto, dopo aver preso atto delle indicazioni della Diocesi.

Quali punti sono stati toccati fin dal principio e quali assiomi sono stati dati come punto fondamentale?

1. Neanche il presbitero, pur essendo Servo del Signore, non ha il dono dell’ubiquità. Da qui la necessaria opera di revisione degli orari delle messe, sia feriali che domenicali. Il principio era ed è: una messa feriale al giorno (escluse le eccezioni, tipo i funerali), due o massimo tre messe nei giorni di festa. Era doloroso abolire le messa particolare e faticoso accettare la necessità di spostarsi, ma il tempo ha giocato a nostro favore. Per non negare l’identità delle singole comunità si è optato per:
– girare ogni giorno le messe feriali
– mantenere fisse le messe festive nelle comunità più grandi
– girare le messe festive nelle comunità più piccole, alternando le domeniche.
Le feste patronali tutt’oggi fanno convergere tutti presso la stessa chiesa, sopprimendo le altre celebrazioni dello stesso giorno.

2. A questo punto si è resa obbligatoria l’ugenza di migliorare la comunicazione sui tempi e luoghi. E’ nato il bollettino inter-parrocchiale, poi diventato dell’Unità. Ogni settimana esso riporta i tempi e gli orari della vita della comunità circa le celebrazioni, l’annuncio e la carità.

3. Posti davanti alla realtà dell’annuncio abbiamo subito inteso che non abbiamo nè risorse nè forze ma neanche fedeli per poter continuare una rete di catechismo in ogni comunità. Abbiamo formato il gruppo dei catechisti, con incontri mensili di programmazione; abbiamo intercettato due luoghi comuni, nelle due comunità più ampie, dove anche gli spazi sono adatti per una buona conduzione del catechismo. Ma per valorizzare tutti, i ritiri, le uscite, i momenti particolari vengono fatti a Gabria, dove le strutture offrono un ottimo sostegno per lo spirito e per il corpo. In più, si è passati dalla vecchia forma di dottrina per i sacramenti, ad un itinerario formativo che va dal sesto anno di età in poi, fino agli adulti. Parlando poi di adulti, le serate sono state e sono dedicate alla formazione degli adulti sia in forma di gruppo bibblico o di catechesi sia in forma di Centro di ascolto o Lectio divina. I gruppi non sono legati ai distinti luoghi, ma sono inseriti nell’ampiezza del territorio.

4. Solo l’attività della Caritas, sorta già molto prima, non ha subito mutamenti ed è rimasta inter-parrocchiale.

Con l’arrivo di un ulteriore presbitero, il progetto pastorale ha subìto una nuova revisione, ma i principi fondamentali sono rimasti intatti. Unica differenza sono le celebrazioni feriali, che ora sono due al giorno, e festive, che tra sabato e domenica sono sette.

Tre punti di forza e tre punti critici
1. Le parrocchie hanno un unico ufficio parrocchiale, aperto quotidianamente per cinque ore. Questo rende molto più fluido il lavoro, buona l’offerta ed una minore incidenza economica.

2. La catechesi così riformulata ha contribuito ad un maggiore e più visibile confronto tra genitori di diverse comunità, ora spesso uniti anche all’infuori della pura vita interna ecclesiale.

3. Ci sono voluti parecchi anni, ma l’ultima elezione del Consiglio Pastorale Parrocchiale ha dato vita ad un unico organo, composto da consiglieri appartenenti a tutte le comunità. Ora il Consiglio non ha più una struttura verticale, ma orrizontale. Se prima ognuno guardava in su, verso il proprio campanile ed il proprio territorio, ora ognuno guarda in giù, verso le necessità di questo tempo e spazio: alcuni curano la pastorale giovanile, altri la catechesi, altri la carità, altri ancora la liturgia ecc. Il passo sucessivo sarà indubbiamente una unione o almeno maggior collaborazione tra i Consigli economici.

4. L’arrivo e la stabilizzazione di un’ulteriore presbitero in una delle Case Canoniche non soltanto ha dato maggior vigore, ma ha anche provocato qualche squilibrio: infatti la comunità, con la presenza del presbitero, ha subito tratto le proprie conclusioni e cioè: noi abbiamo il parroco e voi invece no. Non è facile per i residenti comprendere che la persenza di in presbitero in un determinato territorio è puramente fisico-domiciliare.

5. Se da una parte la nuova configurazione delle attività pastorali nelle sue diverse branchie è stata accolta dalla maggiornaza, si trova sempre chi, mèmore del passato, fomenta a favore dei tempi e delle circostanze che non ci sono più. Inoltre il rischio di emarginare le piccole comunità e la loro identità è sempre incombente. Spetta al parroco-moderatore vigilare affinchè nessuno sia esaltato e nessuno schiacciato.

6. La nostra unità è linguisticamente multiforme. Se nel passato le famiglie erano ad assoluta maggioranza oppure anche totalmente di origine slovena, oggi la formazione culturale è molto diversa: presenza di molte famiglie così dette foreste, costituzione di famiglie con genitori provenienti da diversi ambiti culturali e linguistici, maggiore capacità per i residenti di uscire e per molti non residenti di entrare. Si mantiene ancora le celebrazioni linguisticamente distinte, anche per un giusto rispetto delle etnie, ma si rischia di escludere la componente familiare, composta in rari casi da genitori della stessa etnia e più di frequente da genitori di etnia diversa.

A nove anni dall’inizio della nostra esperienza vogliamo tirare alcune conclusioni:
1. non è più proponibile, ma nenache auspicabile, il vecchio concetto di parrocchia.
2. riteniamo la nostra esperienza, pur tra gli alti e bassi, molto positiva.
3. contemporaneamente avvisiamo che l’Unità pastorale, a differenza della comunità parrocchiale, non è e non può mai essere statica: non può esistere un progetto pastorale durevole, non può vigere una normativa fissa. Il nostro motto è stato ed è: “Aggiornarsi, al passo con i tempi”.

Izkušnja naše pastoralne enote je gotovo podobna izkušnjam ostalih v slovenskem delu naše nadškofije. Prepričani smo, da bodo naše izkušnje lahko obogatile druge in doživetja drugih nudila tudi nam nova spoznanja.
Soočanje z realnostjo etnične raznolikosti v naših skupnostih pa bo gotovo eden izmed izzivov prihodnjih časov, saj vsi čutimo, da se v svetu, pri nas in med nami nekaj premika in spreminja.


In precedenza era intervenuto il vescovo Carlo (di cui di seguito pubblichiamo il testo) .

1. Un caro saluto a tutti e grazie per la vostra disponibilità all’ascolto e soprattutto all’impegno. Partirei dall’ultima frase che abbiamo ascoltato dal brano della lettera pastorale (dal n. 23): «offrire loro la possibilità di vivere la comunione con il Padre e con il Figlio nello Spirito». Questo è lo scopo della missione della Chiesa. Questo è il motivo per cui stasera siamo qui. Tento di dirlo con altre parole: “andare in paradiso”. Questo è quello che mi interessa, quello che ci interessa e che ci interessa per tutti gli uomini e per tutte le donne del nostro tempo, di questo territorio, ma anche di ogni tempo della storia e di ogni parte del mondo. Vi sembra poca cosa “andare in paradiso”? Se sì, se non vi interessa, perché restare qui? perché essere dentro le nostre comunità? perché impegnarsi? perché andare a Messa? perché vivere il Vangelo?

Perché il paradiso c’è o, se volete usare giustamente un linguaggio più biblico, il Regno di Dio c’è, dove – e utilizzo una serie di citazioni tratte dalla Bibbia – “dimorerà la pace e la giustizia”, “non ci sarà più né pianto, né lamento”, perché sarà la casa del Padre dove Gesù “è andato a prepararci un posto”, dove “Dio passerà ad asciugare ogni lacrima dai nostri volti”, dove il Signore “ci farà mettere a tavola e passerà a servirci”, dove diremo “abbiamo fatto bene a sperare”… E perché desideriamo questo, perché possiamo sperarlo? Paolo risponde: perché Cristo è risorto. E se Lui non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede e saremmo da compiangere come i più grandi illusi.

Il Risorto: la nostra meta. Perché il regno è Lui, è la comunione con il Padre per mezzo di Lui nello Spirito. Ma è anche la nostra partenza: “anch’io mando voi!”. Lo abbiamo ascoltato dal Vangelo. È il mandato del Risorto, da cui prende il titolo anche la lettera pastorale. Se ci siamo come Chiesa, come comunità cristiana, stasera come assemblea, è per questo. C’è una meta e c’è un mandato che ci è stato affidato, come attestano anche gli altri brani pasquali, che ho voluto stampare nella lettera pastorale (n. 13) non perché non li conoscete, ma affinché possiate farne oggetto di “lectio” nei consigli e nei vari gruppi.

Nella lettera pastorale mi sono soffermato solo sulla “lectio” di Gv 20,19-23. Non si tratta di una specie di fervorino spirituale, da leggere velocemente o da saltare per andare alle cose che contano, per esempio i criteri per gli orari delle Messe nelle unità pastorali, che trovate al n. 33. No, è un brano della Parola di Dio che dobbiamo assimilare con calma da soli e con gli altri in tutti i suoi elementi, a cominciare dal radicamento della nostra missione, sia come avvio, sia come meta, nella Trinità, restando aperti alle scoperte che lo Spirito del Signore ci farà fare (un aspetto che mi ha particolarmente colpito nello stendere la lettera, è stato un elemento cui finora avevo fatto poco caso, ma decisivo, quasi una scoperta: il fatto che nel Vangelo di Giovanni Gesù si definisca continuamente in rapporto con il Padre: Lui non è solo il mandato dal Padre, ma Colui che realizza la sua volontà, che agisce come Lui, che è in comunione con Lui, ecc.).

2. Lasciando alla vostra lettura e preghiera l’episodio del Risorto nel Cenacolo – e poi però alla vita e all’azione, perché il Vangelo è vero per noi solo se cambia la vita… -, mi soffermo solo un momento sul clima che c’era in quella sala prima che arrivasse il Signore. Lo si può definire con una sola parola: paura. Nella lettera, al n. 15, ho elencato i molti passi del Vangelo di Giovanni dove si parla di paura e di timore: non sono pochi. Come vedrete, si tratta tutti di situazioni in cui c’è la paura di riconoscere Gesù e di caratterizzarsi come suoi discepoli. Vi ricordo solo i genitori del cieco nato, che non prendono posizione per paura di essere cacciati dalla sinagoga. Per questo si ha paura: essere riconosciuti come discepoli di Gesù, oggi di essere riconosciuti come cristiani. E aggiungo nella lettera – ma si tratta di un leit-motiv su cui spesso ritorno – che la prima missione che oggi viene richiesta, in particolare ai fedeli laici, è quella di non nascondere, non dico esibire…, ma di non nascondere di essere cristiani, di andare a Messa, di frequentare la parrocchia. Un non nascondere che diventa impegnativo, perché poi la gente – i tuoi familiari, i tuoi figli, i tuoi nipoti, i tuoi colleghi, i tuoi amici, … – attende che tu viva (o cerchi di vivere) in coerenza.

Mi domando, però, se oggi il Risorto venisse qui in questa sala, nelle nostre comunità, che sentimento troverebbe? Non so se mi sbaglio, ma ritengo che non troverebbe paura, ma smarrimento, incertezza, disagio, forse scoraggiamento. Che cosa dobbiamo fare Signore? Su che cosa dobbiamo puntare? Dove indirizzare le nostre poche risorse di persone, di tempo, di entusiasmo? Che cosa fare in questa società dove ormai da tempo le nostre parrocchie non sono più punti di riferimento? dove sempre meno la gente frequenta, dove non si sa che cosa proporre ai giovani, dove si resta perplessi di fronte a tante scelte di vita che ormai sono diventate la normalità?

Che cosa ci direbbe il Signore? Le parole del profeta:  «Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio […]. Egli viene a salvarvi”» (Isaia 35,4). E ci ripeterebbe come quella sera ai discepoli: «pace a voi». E ci riproporrebbe il suo mandato. Per l’oggi. Perché di oggi noi siamo responsabili. E ci donerebbe il suo Spirito per renderci capaci di discernere come oggi vivere quel mandato.  «Tutto posso in colui che mi dà la forza» (Fil 4,13), affermava Paolo, e anche noi lo possiamo ripetere con tanta fiducia. E Maria come a Cana anche a noi dice: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5).

Che cosa ci chiede oggi il Signore con il suo mandato? Lasciamo per ora in sospeso la risposta, ma non il nostro desiderio di obbedirgli.

3. Se anche solo sfogliate velocemente la lettera pastorale vedrete come una sua ampia parte, esattamente a partire dalla metà del testo a stampa, è dedicata a quello che sta succedendo in queste settimane nella nostra diocesi, la cosa più evidente: la nascita delle unità pastorali, con l’avvicendamento di molti sacerdoti.

A questo proposito ho vissuto un’esperienza molto interessante proprio ieri mattina nella riunione dei vescovi della nostra regione ecclesiastica. Si è tenuto tra noi uno scambio, un confronto e un avvio di riflessione proprio sulle unità pastorali. Non è la prima volta, del resto, che ne parliamo. La situazione emersa è risultata molto variegata. Ci sono alcune diocesi che hanno cominciato ora a riorganizzarsi in unità pastorali e sono già in affanno per il numero molto limitato dei preti. Qualche diocesi è già, per così dire, al “piano B”, o, se volete, al progetto “unità pastorali 2.0”, perché essendosi organizzata in unità pastorali qualche anno fa, ora, per il calo dei preti, sta facendo le unità pastorali delle unità pastorali (e non è un gioco di parole…). Ci sono diocesi, più ampie per territorio e popolazione della nostra, e per ora anche più ricche di preti di altre, che stanno programmando per tempo, mi verrebbe da dire (se non fosse irrispettoso…) la “ritirata”: per esempio una diocesi con attualmente circa 400 preti si sta organizzando in 45/50 unità pastorali, in modo che tra 10 anni, quando le proiezioni dicono che i preti saranno 200, ci siano se non quattro (perché molti vecchi a malati), almeno 2/3 preti efficienti per unità pastorale; un’altra si sta programmando per avere un prete  ogni 10.000 abitanti: cosa fattibile in città, ma – come potete immaginare – molto difficile da realizzare in montagna o comunque dove ci sono molti piccoli paesi sparsi sul territorio.

Ma poi, sempre tra vescovi, ci si è domandati: se ci fosse ancora un numero di preti sufficienti e i seminari dessero qualche speranza per il futuro, non ci sarebbe niente da cambiare nelle nostre scelte pastorali? La risposta è stata negativa. Perché il problema a ben guardare non è il calo dei preti, ma dei fedeli e delle comunità. Un calo, purtroppo non solo numerico, ma della frequenza, della fede (anche se è difficile da misurare), della vita cristiana. Le persone si sono ormai accorte che si può vivere benissimo senza Dio, non contro, ma senza, evitando persino di impegnarsi a rifiutarlo, di porsi davanti il problema di Dio.

E poi molti di noi si sono detti che il modello parrocchiale, così come lo abbiamo vissuto fino a pochi anni fa: un parroco, magari un giovane cappellano, una chiesa, una canonica, un ricreatorio e, soprattutto, un “campanile” non va più bene. Funzionava in un contesto statico, dove tutti vivevano continuativamente nella stessa realtà, dove non c’erano alternative né di mentalità (forse c’era solo qualche uomo di scienza che cercava di proclamarsi ateo…), né di attività (pensiamo alle attività sportive per i giovani). Ora non è più così. Sembra che al massimo le parrocchie possano garantire le Messe, un po’ di attività pastorale e poco più. A volte – notava un vescovo – l’unica iniziativa significativa che riescono a tenere viva le piccole parrocchie sono le feste, le sagre: l’edificio migliore in ogni parrocchia è una cucina sempre più grande…

Quali altri modelli cercare? Puntare sui laici e cu comunità autogestite che possono fare a meno del prete e dell’Eucaristia? Importare preti dall’estero destinandoli a garantire Messe un po’ dappertutto senza alcune incidenza pastorale?

Nessuno né qui da noi, né nelle diocesi vicine ha la ricetta magica per risolvere questi problemi. Non tutto è negativo: ci sono anche realtà belle, alcuni tentativi innovativi: lo segnalo anche nel n. 2 della lettera, dopo aver descritto con un pessimismo, forse esagerato, la situazione attuale nel n. 1. E concludo il n. 2, affermando: «è in questo mondo e in questa epoca di crisi o, se vogliamo vederla positivamente, di transizione, che il Signore ci chiede di vivere secondo il Vangelo. E ce ne chiederà conto. Ma insieme ce ne dà la grazia».

4. Le indicazioni che offro nella lettera pastorale presentano alcune scelte, che non sono improvvisate ma legate al cammino di questi anni, che ricordo con il titolo delle lettere pastorali al n.7. Si tratta di tre linee collegate tra loro: la Parola di Dio, le unità pastorali, la visita pastorale.

Anzitutto la Parola di Dio. Essa è fondamentale per la fede. Per prima cosa per farla sorgere con l’annuncio e l’aiuto della grazia che porta la nostra libertà ad accogliere il Signore Gesù come senso della nostra vita. Poi per renderla operante, cioè per vivere nella nostra realtà con i criteri del Vangelo e non con quelli del mondo (ricordate il Vangelo di domenica scorsa: Pietro rimproverato perché pensa secondo gli uomini e non secondo Dio). Infine per rendere la nostra fede un tesoro da condividere e così diventare missionari.

Occorre riconoscere che nella nostra diocesi abbiamo fatto un certo cammino circa la Parola di Dio, valorizzandola nella liturgia, nei nostri vari incontri, nella preghiera personale. Nella lettera, ai nn. 8-9, evidenzio però che dovremmo crescere maggiormente su due punti: nel discernimento e nell’annuncio. Circa il discernimento – il discernimento della volontà di Dio da scoprire e attuare – scrivo, a conclusione di una breve riflessione: «Potrebbe essere un passo in avanti nel cammino di maturità per i Gruppi della Parola già esistenti e per quelli che auspicabilmente si formeranno nei prossimi mesi, imparare questo tipo di discernimento e non limitare il lavoro del gruppo al conoscere esegeticamente la Scrittura, a fare un confronto comunitario sul brano prescelto (che a volte può rischiare di restare solo, o quasi, su un piano emotivo…), ad avviare un percorso di preghiera».

Circa poi l’annuncio, anticipo l’uscita di un sussidio che tenterà di rendere comprensibile oggi l’annuncio essenziale della fede cristiana.

Nella citazione che ho appena letto si parla dei Gruppi della Parola. Si tratta di un punto su cui vorrei impegnare tutti a lavorare. So che esistono già diverse esperienze in questo campo. Vorrei quindi che valorizzassimo anzitutto i gruppi esistenti, facendoli per così dire “esplodere” in termini missionari. In concreto mi piacerebbe che le tutte o quasi le persone che frequentano da anni un Gruppo della Parola, ne uscissero per farne nascere degli altri, con un po’ di coraggio e di fiducia. In ogni caso la diocesi organizzerà nel corso di questo anno pastorale dei momenti formativi per vecchi e nuovi animatori dei Gruppi della Parola con l’aiuto di don Santi, che tutti penso abbiamo molto apprezzato nell’assemblea di giugno.

Sempre sul tema della Parola, aggiungo che evitando ogni utilizzo di essa in termini funzionali e strumentali, dovrebbe però essere spontaneo che, nelle piccole ma vive comunità ove non sarà più presente il parroco, sorgano gruppi che a partire dal ritrovarsi attorno alla Parola, si prendano a cuore la vita, la preghiera, l’azione della comunità cristiana locale.

5. Un secondo tema su cui insiste la lettera pastorale è quello delle unità pastorali. La scelta di esse non comporta una semplice ristrutturazione della presenza della Chiesa sul nostro territorio, ma deve diventare l’occasione provvidenziale per un cambio della modalità pastorale. Anche su questo vorrei insistere.

Con le unità pastorali non è vero e non deve essere vero che non cambia niente. L’unità pastorale non è riducibile a una espressione matematica: la somma di alcune parrocchie, la sottrazione di qualche prete, la divisione dei tempi e delle risorse, la moltiplicazione delle corse dei preti da una parrocchia all’altra e l’incognita del funzionamento. No, è una precisa scelta di cambio di pastorale. Da attuare con tutto il tempo necessario (cito nella lettera papa Francesco che parla dell’importanza anche in pastorale di avviare processi più che di avere subito risultati), ma anche con tutta l’energia e l’impegno necessari.

La lettera vuole quindi offrire un manuale iniziale di avvio delle unità pastorali, presentando anzitutto i tre soggetti dell’unità pastorali. Si tratta anzitutto delle comunità parrocchiali coinvolte, chiamate non a perdere la propria identità (che neppure le piccole comunità cristiane devono perdere, anche se non fossero più parrocchie, sempre che siano ancora realmente “cristiane”), ma a metterla a servizio dell’unità. E poi dei consigli pastorali e della équipe. Tutti e tre i soggetti sono necessari e specifici della nostra modalità di unità pastorale, che non è l’unica possibile, ma quella che a mio parere pare maggiormente funzionare, vista anche l’esperienza di altre diocesi vicine o lontane.

Circa la comunità potrete leggere il lungo n. 33, con indicazioni che mi sembrano molto concrete (anche sugli orari della Messe…) e invitano a favorire tutto ciò che può aiutare la conoscenza, la stima, il lavorare insieme, il realizzare (anche da subito) qualcosa di bello e di nuovo.

L’équipe è un elemento caratterizzante del nostro modello: un responsabile parroco e legale rappresentante di tutte le parrocchie, affiancato non da cappellani, ma da presbiteri (a volte parroci emeriti), diaconi, religiosi o religiose e sperabilmente in un prossimo futuro da laici e laiche che con lui condividono, in misura diversa e con compiti vari, la responsabilità pastorale complessiva della unità pastorale. In questo senso l’unità pastorale funzionerà, se funzionerà l’équipe. Se essa cioè saprà trovarsi con regolarità (settimanale), sarà luogo di preghiera, di ascolto della Parola di Dio, di discernimento pastorale molto concreto, sulla base di una reciproca stima (che si deve vedere anche all’esterno), di un’informazione continua, di una buona divisione di compiti con relativa responsabilizzazione di ciascuno.

Circa i consigli pastorali e le varie possibilità di organizzarsi – un solo consiglio unitario con più organismi locali o più consigli con una giunta unitaria – potrete vedere ciò che afferma il n. 34 (anche circa la possibile unitarietà del consiglio per gli affari economici). Vorrei invece sottolineare il compito che spetta in particolare al consiglio pastorale, cioè l’elaborazione del progetto pastorale (una specie di riedizione per l’unità pastorale degli “atti della comunità”). Un progetto da costruire progressivamente più con le scelte, i fatti, che la formulazione sulla carta. Un progetto che dovrà evidenziare i quattro obiettivi fondamentali dell’unità pastorali. Sono indicati nei nn. 36-40 della lettera, che presentano anche delle domande che possono servire per avviare la riflessione e il confronto. Si tratta di obiettivi continuamente riferiti alla Parola di Dio e sostenuti dal confronto di discernimento con la Parola.

Anzitutto la comunione: tra le parrocchie e anche le più piccole comunità. Comunione anche nella conduzione della équipe, che deve essere modello in questo all’intera unità pastorali (anche in riferimento alla fraternità sacerdotale) e analoga osservazione va fatta per il consiglio pastorale.

Poi la missione: con l’attenzione a tutti dentro e fuori comunità. Alle persone che si sono allontanate dalla Chiesa, a chi non vi è mai entrato in contatto, a chi appartiene ad altre religioni. La missione dovrebbe diventare lo stile normale, quotidiano delle nostre comunità. Faccio solo un esempio: è molto diverso vivere le feste e le sagre come un fatto interno o aperto solo “commercialmente” agli altri o farle diventare occasioni per invitare e coinvolgere (nel senso di renderle protagoniste) le nuove famiglie e i migranti.

Un terzo obiettivo è la ministerialità: non tutta la ministerialità deve basarsi o essere assorbita dal parroco, dai preti o da pochi eletti. Occorre valorizzare ciascuno in modo autentico, aiutando a scoprire i doni dello Spirito e metterli a servizio in modo costruttivo della comunità e della sua azione missionaria. La valorizzazione della ministerialità non deve essere strumentale o considerata un ripiego come se l’ideale fosse che il parroco facesse tutto e se proprio non riesce allora ecco i ministeri…. Attenzione all’alibi incrociato: del prete che, pur lamentandosi che tutto spetta a lui, ci tiene a essere protagonista (un vescovo raccontava ieri l’esperienza dei Gruppi della Parola in una parrocchia della sua diocesi: il parroco non li faceva partire dicendo che non aveva tempo da dedicare a essi; poi i fedeli laici partono ugualmente e a quel punto il parroco li blocca, offeso, perché non li guida lui…) e dei laici che dicono “tanto c’è il prete” e non si impegnano.

Un quarto obiettivo è l’incidenza sulla società del messaggio del Vangelo. Deve essere un’azione rispettosa, attenta, collaborativa ma reale. Le nostre comunità hanno la responsabilità di contribuire a fare in modo che la società di cui sono parte sia orientata sui veri valori umani e su quelli del Vangelo. Oggi questo è molto urgente, forse più che in passato. Le unità pastorali possono aiutare in questa azione, in quanto spesso coincidono con un unico comune o comunque con un territorio socialmente significativo. Permettono quindi alla comunità cristiana di prendere con più forza le proprie responsabilità e di attivare anche le opportune collaborazioni.

6. Ed ecco infine la visita pastorale cui sono dedicati i nn. 3-6 della lettera pastorale (con un’apposita preghiera) e poi, in modo più dettagliato, i nn. 42-50. L’impostazione tradizionale di essa non è più proponibile, quella cioè basata sulla presenza del vescovo visto come indiscutibile autorità in una societas christiana. Ma non è sufficiente neppure la presenza del vescovo in un modo nuovo. Per essere fedeli al mandato del Risorto – che costituirà anche il motto della visita pastorale (ben ripreso nell’inno composto da don Francesco Fragiacomo, che stasera abbiamo cantato per la prima volta) – anche la visita pastorale deve diventare “missione”, una missione che non spetti solo al vescovo, ma coinvolga i fedeli delle diverse comunità. La visita pastorale si riferirà quindi necessariamente alla Parola, che invia in missione, proponendosi in particolare di accompagnare le unità pastorali nella loro azione di annuncio e di testimonianza evangelica.

Si è pensato quindi di far precedere i giorni di presenza del vescovo nelle diverse unità pastorali e parrocchie, con la visita delle famiglie, compiuta da “visitatori” (sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose, catechisti, operatori della caritas, ministri della comunione, ecc.), all’incirca nei due mesi precedenti l’arrivo del vescovo, che giungerà quindi a raccogliere e concludere un’attività missionaria compiuta dalla comunità. È in preparazione un sussidio apposito di “annuncio”, che verrà utilizzato dai “visitatori” nel prossimo anno pastorale 2019-2020. La fase della visita pastorale che prevede la presenza del vescovo, infatti, è stata rinviata al prossimo anno anche per permettere alle nuove unità pastorali (e ai sacerdoti in trasferimento che le accompagneranno) un primo “assestamento” e un avvio non troppo affannato.

Questo rinvio permetterà anche di preparare meglio la verifica di quattro ambiti pastorali, che la visita pastorale vuole rilanciare e incoraggiare: quello sacramentale, quello dell’iniziazione cristiana, della pastorale familiare e delle risorse economiche e strutturali.

La visita pastorale, però, inizia già quest’anno, come precisato dal n. 43, con un primo incontro del vescovo con i consigli pastorali delle unità pastorali (nuove e già esistenti da anni) e delle parrocchie restate (per ora..) fuori da unità pastorali. Scopo dell’incontro sarà incoraggiare le unità pastorali nella loro fase di avvio e anche di sottolineare l’importanza della Parola di Dio, chiedendo a ogni realtà di trovare alcuni fedeli disponibili a fare un percorso di preparazione per poi essere animatori di nuovi Gruppi della Parola. A metà dell’anno pastorale, la visita pastorale continuerà con l’incontro del vescovo con almeno alcuni Gruppi della Parola, nuovi o già esistenti da tempo. Infine nell’ultima parte di quest’anno pastorale, ci sarà un secondo giro del vescovo in tutti i consigli pastorali per preparare le fasi successive della visita pastorale, quelle che prevedono la visita delle famiglie (con la previa individuazione e formazione dei “visitatori”) e poi la presenza del vescovo per alcuni giorni.

7.  Come vedete il lavoro per tutti non manca. Aiutiamoci a vicenda. Anche prendendo spunto dalle comunità che da anni già lavorano come unità pastorali. Ci sono diverse esperienze in diocesi, alcune anche molto significative, che possono essere di esempio, di incoraggiamento e anche di concreto aiuto per le nuove unità pastorali. Sarebbe interessante che in queste si invitassero alcuni fedeli impegnati nelle unità pastorali più “antiche”, per ascoltare dalla loro viva voce aspetti positivi e problematici dell’esperienza che da tempo stanno vivendo. Imparare da chi ci precede in un cammino che si sta intraprendendo, è sempre molto saggio e utile. Già stasera ascoltiamo due testimonianze, di due unità pastorali da tempo esistenti nella città di Gorizia: l’unità Soča-Vipava/Isonzo-Vipacco e la comunità pastorale Don Bosco. Grazie.

+ Vescovo Carlo