“Cambiare il punto di vista”

L’incontro con don Claudio Burgio ha rappresentato la seconda edizione di un approfondimento, partito lo scorso anno, legato al tema del Carcere e della Giustizia riparativa

“I ragazzi cambiano se si cambia il punto di vista”. Questo uno dei grandi insegnamenti emersi dall’incontro, avvenuto lo scorso 26 settembre all’Auditorium della Cultura Friulana di Gorizia, tra i ragazzi delle classi VI e V dell’Istituto Galilei – Fermi – Pacassi e dell’Istituto Slataper – Cossar – Da Vinci e don Claudio Burgio.
L’incontro – promosso dalla Caritas diocesana di Gorizia all’interno dei percorsi di Cittadinanza attiva che da diverso tempo mette in atto nelle scuole, in stretta collaborazione con gli istituti scolastici – rappresenta la seconda edizione di un approfondimento, partito lo scorso anno, legato al tema del Carcere e della Giustizia riparativa. Dopo aver messo in dialogo, lo scorso anno, gli studenti con l’attore, ex detenuto, Salvatore Striano, quest’anno la Caritas diocesana ha pensato di proporre ai giovani, anche nell’ambito delle iniziative diocesane per Go!2025, un incontro con don Claudio Burgio, per testimoniare il suo impegno verso i giovani, come vero testimone di speranza.

Chi è don Claudio
Don Burgio è sacerdote a Milano che, dopo dieci anni vissuti “in parrocchia”, coinvolto nella Pastorale giovanile e all’interno degli oratori, divenne collaboratore di don Virginio “Gino” Rigoldi, come cappellano dell’Istituto penale minorile “Cesare Beccaria” di Milano. È quindi fondatore e presidente dell’associazione Kayrós che, dal 2000, gestisce comunità di accoglienza per minori e servizi educativi per adolescenti. Don Claudio, accanto all’attività pedagogica che lo vede impegnato quotidianamente con i ragazzi delle comunità, è sempre impegnato a portare la sua testimonianza con interventi all’interno di numerosi dibattiti e incontri pubblici su temi sociali, attualità, spiritualità, educazione, famiglia, tossicodipendenza, emarginazione giovanile…
È autore inoltre di “Non esistono ragazzi cattivi” (Edizioni Paoline, 2010), racconto – testimonianza dei primi anni vissuti a fianco dei ragazzi del carcere minorile e delle comunità Kayrós.
Tra le tante attività è anche un appassionato musicista e compositore tanto che, nel 2007, venne nominato direttore della Cappella musicale del Duomo di Milano, la più antica istituzione musicale della città. Ed è proprio la musica, che lui usa anche come “ponte”, ad essere spesso un mezzo speciale nel suo rapporto con i giovani.

La mattinata con gli studenti
La mattinata si è aperta con un momento introduttivo e di saluto. Dapprima il saluto dell’arcivescovo, monsignor Redaelli, quindi la lettura del saluto del direttore della Caritas diocesana di Gorizia, diacono Renato Nucera, impossibilitato ad essere presente alla mattinata, il quale ha ringraziato don Burgio per “essere qui; dalle sue parole avrete la possibilità di riflettere sul valore di una vita non vissuta solo per voi stessi, nell’egoismo di assecondare tutte le proprie voglie, ma al contrario di una vita donata, spesa per gli altri; perché l’una porta sicuramente a delle scelte che potrebbero diventare pericolose, l’altra in una ricchezza di sentimenti e amore che gratifica la nostra esistenza”, infine i saluti di don Alberto De Nadai, assistente spirituale del carcere di Gorizia.
Ha preso quindi la parola l’ospite della giornata, don Claudio che, partendo proprio dal titolo di uno dei suoi scritti più conosciuti, “Non esistono ragazzi cattivi”, ha lanciato ai ragazzi una provocazione: “il titolo va letto con il punto di domanda o il punto esclamativo?”.
Da qui ha raccontato allora la realtà della sua città, Milano: “il grosso problema sono i reati contro il patrimonio, la rapina a mano armata, il furto e lo spaccio – ha spiegato il sacerdote -. Milano è piena di droga di qualsiasi tipo e spesso è usata proprio per “aiutarsi”, per darsi coraggio per effettuare le rapine… perché? Perché il reato per i giovani è la risposta veloce ai loro bisogni. Attenzione però – ha sollecitato – bisogni o desideri? Pensano che i loro bisogni siano il denaro o il possedere qualcosa di materiale, perché riempiono la vita. Ma la riempiono veramente?
La speranza c’è quando incontri qualcuno e non qualcosa. La speranza non la si trova nelle cose e nell’accumulare, ma nei rapporti con gli altri”.
Il sacerdote milanese ha quindi proseguito illustrando il suo pensiero e la sua esperienza: “Dietro ai soldi c’è in realtà il bisogno di superare dei problemi, legato al fatto che questi giovani, molto spesso, giungono da contesti sociali e famigliari fragili e difficili
Alle volte però arrivano anche ragazzi come voi, da contesti “abbienti” – ha aggiunto don Burgio -. Questi ultimi, quando chiediamo loro “perché lo hai fatto”, rispondono “non lo so”, mostrando in realtà un disagio interiore profondo: non sanno perché stanno al mondo e hanno una gran paura di deludere i genitori”.
Don Burgio ha così invitato i ragazzi ad essere sé stessi, a non assecondare le aspettative degli altri: “è bene vivere per gli altri, ma sapendo chi siamo. Esistono ragazzi fragili, più che ragazzi cattivi”, le sue parole, invitando i presenti a riflettere sul significato del termine epochè, termine filosofico che viene spesso usato nella sua comunità e che vuol dire “sospendere il giudizio”; i ragazzi infatti sono prima di tutto persone che non coincidono con il loro reato, non “sono” il loro reato.
Per meglio far comprendere questo paradigma e come i ragazzi cambino se si cambia il punto di vista, don Burgio ha presentato le storie di alcuni dei “suoi ragazzi”: Lamine, senegalese, giunto come minore straniero a Lampedusa che si è trovato a vivere in strada. Per sopravvivere ruba, lo aiuta il fatto che sia di corporatura grossa e forte, non sa dosare forza. Con l’aiuto di don Burgio e di Kayrós impara però che la sua forza può essere usata per altro, può salvare: trovandosi di fronte ad un incendio, salva 5 persone.
Tra i ragazzi anche Daniel: una vita difficile segnata da rabbia e aggressività che lo hanno portato a diventare un bullo temuto. A causa dei suoi atti di bullismo e di rapine, viene arrestato e recluso nel carcere minorile dove incontra don Claudio.
Nel periodo di maggior crisi, recluso a San Vittore perché ormai maggiorenne, senza smartphone inizia a legge libri, si appassiona e capisce che bisogna studiare. Si laurea in Scienze dell’Educazione e oggi è educatore nella comunità di don Burgio.
Il sacerdote ha infine concluso con una riflessione sulle carceri: la giustizia che funziona è quella che cura, che educa. “Il carcere è comunque un dispositivo violento, è difficile che migliori – ha commentato Burgio -; all’interno di esso incontriamo nuove forme di schiavismo, mentre dovrebbe tornare ad essere un luogo educativo”.


“Comincia da me”: sentirsi chiamati alla responsabilità

In seguito all’incontro, docenti e studenti hanno riflettuto insieme su quanto espresso da don Burgio. Abbiamo ricevuto dal professor Marco Luciano, docente di Religione, alcune risonanze da parte dei ragazzi della 5A Scienze Umane dei Licei Slataper.
“Dopo l’incontro con don Claudio Burgio, la parola che ritorna è ascolto. Non un gesto gentile, ma un cambio di sguardo: distinguere la persona dal reato, riconoscere ferite e bisogni, non ridurre nessuno all’errore. Molti dei ragazzi hanno scritto di empatia e speranza, insieme a una rabbia buona verso le etichette facili. “Non sono cattivi, ma vittime del loro passato”, annota uno studente, trasformando uno slogan in domanda vera.
Le storie ascoltate hanno dato carne alle parole: il bisogno contro il desiderio, la fatica di crescere quando mancano riferimenti, la possibilità di cambiare davvero. La vicenda di Lamine ha colpito molti: un ragazzo entrato per rapina e poi capace di un salvataggio, non da eroe, ma da uomo che sente un dovere. “Anche chi ha intrapreso una strada sbagliata può cambiare”, scrive una studentessa.
Non sono mancate le domande scomode: “Anche chi commette gravi reati può essere considerato ‘non cattivo’?”. Il dubbio non annulla l’incontro; lo rende onesto, perché tenere insieme responsabilità e possibilità è un esercizio adulto.
Forse la lezione più forte è che legalità è relazione: smettere di giudicarsi da lontano e imparare a riparare da vicino.
Molti hanno scritto gratitudine per un adulto che non giudica ma accompagna; qualcuno ha confessato vergogna per le risate facili in chat; altri hanno provato fierezza nel sentirsi chiamati alla responsabilità. In tanti hanno chiuso così: “Comincia da me.” Un messaggio da non inoltrare, una porta da non sbattere, un compagno da rimettere nel cerchio. Piccoli gesti, subito. Il resto è lavoro quotidiano.


Cliccando qui sotto è possibile leggere le testimonianze e le riflessioni dei ragazzi che hanno partecipato alla mattinata d’incontro con don Burgio

Le voci degli studenti

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