Spesso il Centro di Ascolto della Caritas diocesana di Goriza accoglie studenti universitari per lo svolgimento del loro tirocinio formativo.
È questo il caso di Camilla, giovane studentessa di Educazione professionale che, nelle scorse settimane, ha operato al servizio affiancata da un tutor.
Oggi ci racconta la sua esperienza.
Camilla, partiamo scoprendo un po’ chi sei: da dove vieni, cosa studi, cosa ti ha portato a scegliere proprio questo percorso rispetto agli altri e, perché no, cosa ti piacerebbe poi fare “da grande”?
Sono Camilla Enci, ho 24 anni e sono di Gorizia, nonostante la mia famiglia abbia origini lombarde.
Studio Educazione professionale all’Università degli Studi di Udine e a breve inizierò il terzo e ultimo anno.
Ho scelto questa facoltà perché volevo aiutare le persone nell’attivo, ispirata da mia madre che lavora nel settore da sempre, ma soprattutto per portare avanti le ideologie di Franco Basaglia, permettere a coloro a cui sono strappati i diritti di riaverli, far sì che la società sia in grado di integrarsi con le persone che hanno bisogno di un aiuto come quello che posso offrire io e viceversa; insomma “da grande” voglio poter cambiare le cose.
Il mio sogno nel cassetto sarebbe quello di coordinare una comunità per minori, indipendentemente dalla problematica che portano, infatti il mio percorso di studi non si fermerà alla Laurea: ho intenzione di proseguire con la Magistrale e almeno un Master.
Come si è svolto il tuo periodo di tirocino e in cos’è consistito prevalentemente? Come si è svolta una tua “giornata tipo” presso i servizi della Caritas diocesana di Gorizia?
Il mio periodo di tirocinio presso Caritas è durato all’incirca un mese e mezzo, ho principalmente affiancato il mio tutor, il dottor Stefano Clemente, durante i colloqui con le persone che raggiungevano il Centro di Ascolto chiedendo aiuto, compilando la documentazione necessaria e imparando moltissime cose su un’altra categoria di invisibili, come nascono le loro difficoltà, perché si protraggono e perché fanno fatica a rendersi visibili.
Una giornata tipo è difficile da definire, alcuni giorni si somigliavano, altri erano completamente diversi, non credo di aver mai visto la stessa persona più di due volte.
Più comunemente la giornata consisteva di tre colloqui con tre persone differenti che portavano delle richieste, che fosse l’aggiornamento della tessera dell’Emporio della Solidarietà, una mano con il pagamento delle bollette o degli affitti e, talvolta, situazioni ancor più difficili dove la problematica non era solo una ma una serie di più piccole che ne creavano una molto grande e difficile da affrontare.
Come mai hai scelto di svolgere il tuo tirocinio proprio presso la Caritas goriziana?
Ripensando al tuo arrivo e alle tue attese, c’è qualcosa che ti ha in qualche modo sorpreso o che magari proprio non ti aspettavi?
Come valuti nel complesso questa tua esperienza?
Ammetto non sia stata una scelta svolgere qui il mio tirocinio, sono stata assegnata a questo posto in mancanza di altre posizioni che trattassero la marginalità a Gorizia.
Non nego nemmeno di essere stata un po’ preoccupata, in quanto non frequento ambienti di natura cattolica da diverso tempo, pertanto non ero sicura fosse esattamente il posto giusto dove poter avere un’esperienza formativa.
A mio discapito invece, le persone con cui ho avuto l’occasione di lavorare non erano per niente ciò che mi aspettavo, anzi, sono state ciò che io sono fermamente convinta siano i veri rappresentanti degli insegnamenti cristiani.
Loro vogliono aiutare il prossimo non perché gli viene impartito, bensì lo fanno perché hanno fede, perché è giusto, quando si ha la possibilità, dare una mano a chi è in difficoltà.
Forse la mia opinione è controversa ma vedere che c’è ancora qualcuno che nel suo piccolo segue gli insegnamenti nel modo giusto è stato rinfrescante, mi ha dato un senso di speranza in un periodo in cui la speranza è ben poca.
Quello che hai vissuto in queste settimane come pensi potrà aiutarti in qualche modo nella tua esperienza prossima, tanto di studio quanto professionale?
In queste settimane ho capito molte cose su di me, su chi sono e su come talvolta non servano grandi ed eclatanti gesti per svolgere completamente il mio lavoro, per affrontare la mia missione, ma bastano piccole cose, piccole parole, far capire di esserci nel momento del bisogno, essere qualcuno di cui le persone si fidano e a cui possono appoggiarsi quando cadono, per reggersi un po’ meglio durante i percorsi più tortuosi.
E forse è un po’ egoista, ma quando si vedono dei successi, quando le persone che vengono aiutate tirano un sospiro di sollievo perché possono fermarsi un attimo, un po’ mi fa sentire orgogliosa di avercela fatta.
C’è qualcosa o qualche episodio particolare che hai vissuto in questo periodo formativo che ti ha colpito e che ti va di raccontare? O magari qualcosa che porterai con te anche dopo, a livello esperienziale?
Episodi particolari e specifici non credo, tutti nel loro piccolo sono diversi e potrei scrivere un libro raccontando le mie giornate qui, ma posso raccontare che l’esperienza che ho fatto qui mi ha sicuramente fatto guadagnare fiducia, speranza e mi ha motivata a proseguire con il mio percorso, a raggiungere i miei obiettivi, a cercare altre persone come quelle con cui ho collaborato, che hanno un cuore in grado di accettare, aiutare, ma anche in grado di rendersi conto quando qualcun altro si approfitta di questa bontà, che sanno guardarsi dentro, ridimensionarsi quando serve, che sanno che in qualche modo non si smette mai di migliorarsi, di imparare, perché no, anche di sbagliare e rimediare.
Non so se ho colto il senso di Caritas complessivamente, ma questa esperienza sarà indubbiamente rilevante nel proseguire con il mio percorso, i miei studi, la mia vita lavorativa.
Grazie a tutti per questa splendida esperienza, in particolare al mio tutor Stefano che ci ha tenuto a volermi insegnare molto di più del necessario, da farmi vedere e capire quanto sia importante e fondamentale continuare a migliorarsi, ad aggiornarsi, a studiare, a essere competenti per aiutare le persone, quanto la fede, qualsiasi essa sia, possa essere utile per dare una mano e rendere le persone ancora una volta speranzose.

