Un'identità incarnata ma prima di tutto cristiana
Omelia nel 50° del Centro pastorale sloveno di Gorizia
20-11-2022

Domenica scorsa, 20 novembre, l’arcivescovo Carlo ha presieduto la liturgia eucaristica nella chiesa di San Giovanni a Gorizia nel corso della quale è stato ricordato il 50° di attività del Centro pastorale sloveno.

Celebriamo oggi una festa un po’ particolare, quella di Cristo Re. Una festa che sembra essere fuori del tempo: non ci sono più molti re e regine nel mondo e quelli che ci sono ancora sono spesso più oggetto di curiosità e di, come si dice oggi, gossip più che di attenzione per la loro importanza a livello politico. Pensiamo, per esempio, all’interesse suscitato dalla morte della regina Elisabetta e del nuovo re Carlo di Inghilterra.

In realtà la festa di Cristo Re era fuori del tempo anche quando i re e le regine e gli imperatori contavano. Fuori del tempo nel senso di totalmente diversa da come noi pensiamo ai re. Basta ascoltare il Vangelo di oggi per accorgersene. Si dice che Gesù è re, anzi c’è persino una scritta. Ma non è una scritta impressa sul marmo all’ingresso di una reggia, bensì un cartello appeso a una croce dove c’è inchiodato un poveretto che sta morendo tra atroci sofferenze. Non dobbiamo dimenticare che la croce era il mezzo più crudele per uccidere i condannati a morte: era riservata agli schiavi, a un cittadino romano condannato a morte tagliavano la testa e non lo appendevano alla croce lasciandolo agonizzante per ore e forse anche per giorni. La croce faceva così ribrezzo a chi viveva nell’impero romano, che per secoli persino i cristiani non hanno rappresentato Gesù crocifisso: se andate ad Aquileia vedrete che nei bellissimi e antichissimi mosaici la croce non è presente. Gesù è rappresentato come un giovane pastore, si allude alla sua morte facendo riferimento alla storia di Giona, ma della croce nessuna traccia.

Gesù quindi è re sulla croce e dal quel trono promette qualcosa di sorprendente a uno che sembra il meno adatto per ricevere i favori del re: un malfattore condannato a morte. I re di solito, promettevano onori, gloria e soldi ai loro fedelissimi, che facevano diventare cavalieri, conti, duchi, principi e con il titolo erano annessi possedimenti e ricchezze. Non facevano ovviamente promesse né regalavano niente a chi aveva rubato, ferito, ucciso ed era condannato a morte: al più gli salvavano la vita concedendogli la grazia. Al ladrone, appeso anche lui su una croce, Gesù promette invece il paradiso e non per chissà quando, ma dice “oggi”.

Un re che regna da una croce (oggi diremmo dal braccio della morte o qualcosa del genere), che promette qualcosa di importante a un malfattore (per altro reo confesso, perché dice: «Noi, [siamo condannati] giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni»): il paradiso. Un re – e anche questo è strano – che pur potendolo non si salva. Per questo lo prendono in giro: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto»; «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso»; «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!», gli dicono i capi, i soldati e persino l’altro condannato con Lui.

Tutti siamo chiamati a essere discepoli, amici, fratelli di quel re un po’ particolare. Un re che non toglie la vita agli altri (e oggi ci sono capi dei popoli, che magari non sono re, ma comandano, che tolgono la vita agli altri con le guerre), ma che invece dà la sua vita. Un re che non condanna, ma perdona. Un re che non si salva, ma salva gli altri. Un re che promette un regno, ma non un regno di questa terra che dura solo per un certo tempo, ma il regno dei cieli dove finalmente ci sarà la pace, la giustizia, la fraternità, l’amore.

Se siamo qui quest’oggi a celebrare l’Eucaristia è perché abbiamo scelto di seguire la legge del suo regno che è l’amore. Scelto di comportarci come suoi amici e discepoli, non comandando sugli altri, ma servendo e aiutando gli altri. Scelto il suo regno che va oltre questa vita, perché è il regno della vita per sempre. Scelto di vivere tutto questo insieme come comunità, una comunità che ha una propria identità e qui, in questa chiesa e nel Centro pastorale sloveno da 50 anni trova il proprio luogo di riferimento, una identità incarnata in una lingua, in una cultura, in un territorio, ma anzitutto una identità cristiana.

Una identità condivisa con tutta la Chiesa di Gorizia nel suo insieme, una Chiesa che trova nel suo esprimersi in diverse lingue e culture la sua ricchezza e anche il suo compito di testimonianza che si apre anche al di fuori dei suoi confini. La testimonianza che il Vangelo sa incarnarsi in ogni realtà e sa valorizzare, grazie all’azione dello Spirito Santo, ogni dono diverso per costruire l’unico Corpo di Cristo che è la Chiesa. È un grande impegno per la nostra Chiesa che la apre anche alla collaborazione con la vicina Chiesa di Koper-Capodistria anche in vista dell’appuntamento del 2025 che vedrà insieme Nova Gorica e Gorizia capitale europea della cultura. La bella esperienza di ieri. che ha visto molti giovani delle due diocesi camminare e pregare insieme in riferimento alla giornata mondiale della gioventù che oggi si celebra a livello diocesano in attesa della GMG di Lisbona del prossimo agosto, è stato un bel segno di questo nostro impegno.

Dragi slovenski verniki. Mislim, da je praznik Kristusa Kralja najprimernejša priložnost, da praznujemo petdeseto obletnico ustanovitve Slovenskega pastoralnega središča. V vseh teh letih je to središče bilo znak prisotnosti Božjega Kraljestva v našem mestu. Verniki, ki so želeli obiskovati cerkvene verske obrede v slovenskem jeziku, so našli tu, v tem pastoralnem središču, celotno liturgijo v njihovem ljubem maternem jeziku. Moja želja je, da s pomočjo Kristusa Kralja, ki je kralj vsega človeštva, verniki različnih jezikov naše goriške Cerkve skupaj z novogoriškimi verniki postanejo svetilnik vere in sožitja v našem prostoru ter nadaljujejo svoje pastoralno in kulturno poslanstvo.

+ vescovo Carlo