"La grazia è proprio gratuita!"
Meditazione nella liturgia penitenziale quaresimale diocesana
25-03-2022

Venerdì 25 marzo 2022 l’arcivescovo Carlo ha presieduto la celebrazione penitenziale diocesana nella chiesa di San Nicolò e Paolo a Monfalcone. Pubblichiamo di seguito la sua riflessione.

Se dovessi trovare un titolo alla parabola che abbiamo appena ascoltata la chiamerei “una parabola sfortunata”. Si tratta, infatti, di una parabola che di solito viene letta – stasera è un’eccezione – senza che si legga il contesto in cui viene raccontata da Gesù. Il Signore non sta parlando in astratto, ma risponde a una precisa obiezione, non a una sua parola, ma a un suo atteggiamento preciso e voluto: Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: …». Per altro le parabole raccontate da Gesù sono tre: quella di stasera è preceduta dalla parabola della pecora smarrita e della moneta ritrovata.

Ancora, si tratta di una parabola che spesso viene letta solo nella prima parte e utilizzata per l’esame di coscienza in preparazione della confessione. Così succedeva spesso molti anni fa (ma forse ancora oggi) Capitava anche a me da ragazzo, con qualche perplessità da parte mia da bambino per le prostitute (allora non sapevo neanche chi fossero) e, diventato più grande, per la poco convincente motivazione del ritorno del figlio prodigo.

Aggiungo poi che nessuna altra parabola del Vangelo viene come questa tagliata e anche stravolta, a cominciare dai destinatari: non più chi contesta Gesù perché misericordioso – cioè i farisei e scribi –, ma i pubblicani e i peccatori che invece risultano essere discepoli di Gesù. Capite fino a che punto il Vangelo viene distorto dalla nostra interpretazione…

Si tratta poi di una parabola non conclusa e anche questo la rende poco accoglibile da parte nostra, che vogliamo sempre il lieto fine o comunque una finale. Leggere solo la prima parte della parabola porta al lieto fine: appunto il ritorno a casa del figlio prodigo con una bella festa (ma a volte si taglia prima la lettura, perché la festa sembra eccessiva…).

Non c’è invece alcun lieto fine. La parabola termina fuori dalla porta, dove ci sono il figlio maggiore e il padre. Non si sa se il figlio risponderà al padre; non si sa se si lascerà convincere a entrare comunque alla festa – magari con il muso lungo e il volto rabbuiato –; non si sa se entrerà invece per mettersi a urlare contro il fratello e per fare una bella sceneggiata davanti a tutti che rovini la festa; non si sa se ne andrà via arrabbiato e con propositi di vendetta verso il fratello e magari anche con l’intento di togliere appena possibile al padre la conduzione dell’azienda familiare con uno stratagemma.

Ma non si sa neppure che cosa fa il padre: continuerà a insistere con il figlio maggiore?; magari gli farà delle promesse di soldi, di cose per fare festa, di una promozione nell’azienda di famiglia per rabbonirlo?; farà intervenire qualche suo servo amico del figlio?; o rientrerà in casa deluso, ma comunque desideroso di non rovinare la festa al figlio minore; o se ne starà fuori?

Un po’ strano questo padre. Anche se si va a guardare dentro la parabola i suoi atteggiamenti, ci si accorge della sua stranezza. Dà al figlio metà degli averi senza battere ciglio, non lo fa ragionare, non lo mette in guardia dai pericoli, … Per altro dà metà degli averi anche all’altro figlio, che pure protesterà. Un padre quindi con un comportamento diseducativo, assolutamente ingenuo: sarebbe il caso di togliergli la patria potestà.

Assomiglia al padrone di un’altra parabola, che quando gli uccidono i servi, manda a morire il figlio contra ogni logica. Ma è illogico anche il padrone che loda l’amministratore disonesto che ha usato i suoi soldi (suoi del padrone) per crearsi degli amici. Ma è illogico anche il padrone che paga gli operai nella stessa misura sia chi ha lavorato tutto il giorno, sia chi è arrivato all’ultima ora. Tutte parabole che conosciamo.

Ed è logico un padre che lascia morire suo figlio sulla croce e non lo salva neppure quando grida “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. Spesso si interpreta il grido di Gesù come l’inizio di un salmo che alla fine vedrà una salvezza da parte di Dio: e se invece fosse proprio un grido di uno che si sente abbandonato?

Che questo padre sia troppo invecchiato e abbia perso il senno, lui che non rispetta minimamente la logica?

La questione della parabola è comunque il padre, come lo vediamo noi e come ci relazioniamo con lui. La questione non è il peccato, né la conversione, né il perdono. Ma come è Dio. E allora la questione è l’amore. Un amore davvero folle per noi. A noi non viene chiesto di fare qualcosa per meritarlo, neppure di apprezzarlo o di capirlo, a noi viene chiesto semplicemente di fare festa.

Stasera siamo qui per una festa: volete parteciparvi anche voi? Volete essere simili a Levi-Matteo che la prima cosa che fa quando viene chiamato da Gesù, lui funzionario dell’agenzia delle entrate, non si batte il petto, non chiede perdono, non dà niente ai poveri, ma organizza una festa con i colleghi (quasi andasse in pensione…). Per di più colleghi che andranno avanti a fare i pubblicani, mica diventeranno tutti apostoli…

Non ve lo ricordate? Vi rileggo il brano della chiamata di Levi, al cap. 5 del Vangelo di Luca: «Dopo questo egli uscì e vide un pubblicano di nome Levi, seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi!”. Ed egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì. Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C’era una folla numerosa di pubblicani e di altra gente, che erano con loro a tavola» (Lc 5,27-29). E poi il brano continua con la contestazione di Gesù da parte dei farisei e degli scribi: «I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: “Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?. Gesù rispose loro: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano”» (Lc 5,30-32). E tentano poi di metterci di mezzo il “cugino”, tanto per richiamare Gesù a un comportamento serio, Lui che era lì tra quei poco di buono a mangiare e a bere, il cugino, Giovanni Battista, che stava nel deserto e mangiava cavallette e miele selvatico. Lui sì che era una persona seria: «Allora gli dissero: “I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!”. Gesù rispose loro: “Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno» (Lc 5,33-35). Interessante, non vi sembra? Ma questo è il Gesù che abbiamo in mente?

Stasera, dicevo, siamo qui per una festa. Se non vi considerate peccatori, mi dispiace, ma avete sbagliato a entrare. Se siete qui per fare penitenza, anche in questo caso vi consiglio di uscire. Se siete qui perché d’ora in poi siete convinti che sarete finalmente bravi, siete fuori posto.

Se siete qui invece perché avete intuito qualcosa dell’amore di Dio, allora restate. Se siete qui perché siete contenti che Dio, gli angeli e i santi stanno facendo festa per voi, restate.

E se siete qui perché pensate di avere l’assoluzione a buon mercato e senza fatica, restate a maggior ragione, perché avete capito tutto: cioè che la grazia è propria gratuita.

Al resto penserà il Signore e quando vi inviterà a ballare – perché nella parabola si balla e anche Gesù danzava – ballate con tutte l’energia che avete, ma, ricordate: è Lui che guida la danza…     

+ vescovo Carlo