"La fede: un dono da accogliere e vivere con gioia per essere come Chiesa, casa e scuola di comunione"
Il discorso pronunciato da monsignor Redaelli in occasione dell'incontro delle Aggregazioni Laicali a Gradisca d'Isonzo
25-11-2012

1Pt 1, 6-9
“Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po’ afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo: voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime”.

Sono convinto che se stamattina avessi proposto a qualcuno dei tanti fedeli che hanno partecipato alla Messa in una delle nostre chiese – persone quindi praticanti – una specie di gioco e cioè di dirmi la prima parola che veniva loro in mente da collegare al vocabolo fede, probabilmente avrei avuto risposte del tipo: credo, testimonianza, catechismo, dubbio, ricerca, Chiesa, Papa, ecc. Sono sicuro al cento per cento e son pronto a scommettere… – ma provate voi a fare lo tesso gioco in qualche riunione o incontro – che nessuno mi avrebbe risposto “gioia”.

Sì, la gioia è una realtà un po’ dimenticata, non è nemmeno elencata tra le virtù teologali e cardinali, eppure è fondamentale. In fondo è sinonimo di qualcosa che tutti cerchiamo, cioè di “felicità”.

Mi pare allora molto significativo il tema che è stato scelto per il nostro incontro di oggi proprio per il collegamento tra fede e gioia: “La fede, un dono da accogliere e vivere con gioia come Chiesa, casa e scuola di comunione”.

Un collegamento espresso anche bene, ma forse in termini non del tutto adeguati. Dire, infatti, che la fede va accolta e vissuta come dono con gioia, può dare l’impressione che la gioia sia un aggiunta alla fede, sia un nostro atteggiamento da avere nei confronti della fede, sia una specie di indicazione di buona educazione verso un dono ricevuto. Come un regalo – si dice ai bambini – va accolto dicendo grazie, così, ci verrebbe detto, la fede va accolta con gioia. Va anche bene dire così, ma non basta.

La Parola di Dio che abbiamo ascoltato ce lo fa capire chiaramente. Pietro non dice: «dovete essere ricolmi di gioia», ma «siete ricolmi di gioia». O ancora, non afferma «dovete esultare di gioia indicibile e gloriosa», ma «esultate di gioia indicibile e gloriosa». La gioia, quindi, non è un atteggiamento che si aggiunge alla fede, ma è una manifestazione della fede. Non è quindi un fatto di doverosità: tra l’altro, una gioia autoimposta sarebbe davvero gioia? Un volto sorridente per dovere non sarebbe in effetti che una maschera.

Se allora i nostri volti indicano spesso delusione, rassegnazione, persino sofferenza anche quando partecipiamo a momenti ecclesiali, non è perché non siamo abbastanza bravi da imporci la gioia, ma forse perché non abbiamo abbastanza fede.

Allora dobbiamo imporci la fede? Ma la fede è dono e in questo senso il titolo di oggi è assolutamente perfetto. Un dono che interpella la nostra libertà e che quindi dobbiamo decidere se, con la grazia di Dio, accoglierlo o se rifiutarlo. Prima ancora, però, dobbiamo chiederlo.

Perché la fede porta con sé gioia? Perché appiana tutte le difficoltà? Perché garantisce una vita felice senza troppi guai? San Pietro, sempre nel brano che abbiamo ascoltato, dice che i propri interlocutori sono afflitti da alcune difficoltà, che la loro fede è sottoposta a prova, una prova dolorosa, che scotta come il fuoco. No, la gioia della fede non deriva da una specie di immunità rispetto ai fastidi e alle serie difficoltà della vita. Non deriva neppure da una fede che si presenti come certezza assoluta, non scalfibile da niente. L’esperienza di chi ha avuto e ha certamente più fede di noi, cioè i santi e le sante, ci insegna anzi che fa parte talvolta dell’esperienza di fede anche la “notte oscura”, quando ogni certezza sembra svanire nella nebbia del dubbio e dell’insensibilità (basti citare da ultimo l’esperienza di Madre Teresa di Calcutta). La gioia della fede non nasce dall’essere garantiti rispetto alla fatica, al dubbio, all’amarezza.

Da dove nasce allora? Ridiamo la parola a san Pietro: «voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa». La gioia è data dal credere in Gesù e dall’amarlo anche senza vederlo. La gioia della fede non è quindi una cosa astratta, ma è la gioia del rapporto con Gesù, dello stare con Lui, del sentirlo vicino anche quando si è soli. Significativa l’esperienza di Paolo che si lamenta di essere stato abbandonato da tutti, ma non dal Signore: «Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone. Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen» (2Tm 4, 16-18).

La fede ci permette dunque un rapporto reale con Gesù, da qui la gioia dovuta dal sentirsi amati da Lui, dall’amarlo, dallo stare con Lui, anche se talvolta il cuore è in tempesta, la mente appare offuscata da una coltre di nebbia e il corpo soffre per la malattia.

Se la gioia nasce dallo stare con Gesù, occorre decidere di rimanere con Lui. Sappiamo tutti come: ascoltando la sua Parola, parlando con Lui come un amico nella preghiera, vivendo la comunione con Lui nell’Eucaristia e nei sacramenti, riconoscendolo presente e servendolo negli altri, incontrandolo nella Chiesa suo Corpo.

Questo accenno alla Chiesa ci permette di fare un passo ulteriore. La fede è infatti una realtà molto personale, ma proprio per questo è comunitaria. Anche in questo caso non si tratta di un’aggiunta. La fede ci mette in rapporto con Dio che è comunione e proprio per questo crea comunione perché noi ci realizziamo solo in quanto siamo immagine e somiglianza di un Dio che è Trinità d’amore, che è comunione.

La Chiesa, in particolare, nasce da un annuncio accolto con fede che si fa comunione e quindi missione perché la comunione si allarghi sempre più.

Questa dinamica circolare tra comunione e missione, per cui la missione nasce dalla comunione e genera comunione che poi a sua volta diventa missione e così via, è ben descritta dall’inizio della prima lettera di Giovanni, che merita di essere letto e meditato perché ci fa vedere che il punto di arrivo di questa dinamica è la gioia: «Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi -, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena» (1Gv 1, 1-4).

La gioia nasce dunque da un annuncio che crea una comunione – una comunione che è con il Padre e il Figlio nello Spirito – e la comunione diventa a sua volta annuncio perché la comunione sia sempre più cattolica e universale.

Alla luce di quanto fin qui abbiamo detto, vorrei fare alcune considerazioni sulle aggregazioni laicali in genere e in particolare nel contesto della nostra Diocesi. Sono stato contento di aver ascoltato le diverse esperienze e aver colto la ricchezza delle varie presenze. Vorrei da parte mia aggiungere alcuni punti che ritengo importanti.

Il primo: che ogni aggregazione sia sempre più una realtà di fede. Certamente con le proprie sottolineature e con le diverse accentuazioni, ma realtà di fede. Cioè realtà dove si incontra veramente il Signore nella Parola, nella preghiera, nell’Eucaristia, nei fratelli.

Per questo allora – ed è un secondo elemento – realtà di gioia. Una gioia che, abbiamo visto, è intrinseca alla fede.

Una gioia che trova la sua pienezza – lo abbiamo ascoltato in Giovanni – quando la comunione si allarga attraverso l’annuncio e la testimonianza. È un terzo punto: essere realtà di missione e di comunione. Tenendo conto che la gioia non è solo al termine del cammino, è anche all’inizio e deve caratterizzare l’annuncio. Non dobbiamo infatti mai dimenticare che l’essenza dell’annuncio cristiano è l’alleluia gioioso di Pasqua: “Cristo, il crocifisso, è risorto”.

Un quarto, fondamentale punto che vorrei richiamare, è che ogni vostra realtà si senta dentro e parte della Chiesa, la Chiesa nella sua dimensione universale e cattolica e nella sua dimensione particolare che è la nostra Chiesa diocesana. Nessuna si senta “la Chiesa”, ma dentro e parte della Chiesa. Una Chiesa che è contenta, a cominciare dal suo pastore, della ricchezza e della varietà di presenze che sostengono il cammino di fede di molti e quindi la loro gioia, diventando capaci di comunione e di missione, tutte con le loro specificità che sono ricchezze se non pretendono di esaurire la ricchezza cattolica della Chiesa, né, tanto meno di esaurire l’immenso tesoro che è Cristo.

Quindi continuate con fede, gioia e impegno missionario nella comunione di questa Chiesa anche grazie al lavoro della Consulta e alle occasioni come queste per trovarci insieme a lodare il Signore, a nutrirci della sua Parola, a incoraggiarci a vicenda, a crescere nella comunione.

Da ultimo vorrei accennare al cammino di quest’anno. Ovviamente essendo salito, per così dire, su un treno in corsa e mettendomi al servizio di una Chiesa che c’era prima di me e ci sarà anche dopo di me, mi è sembrato giusto non proporre uno specifico programma pastorale, ma di chiedere di continuare nel cammino intrapreso solo “colorando” le diverse iniziative con il tema dell’anno della fede, prevedendo in aggiunta solo un momento di inizio il 7 dicembre, una celebrazione conclusiva, una catechesi del vescovo in quaresima da riprendere nelle varie realtà delle parrocchie e delle aggregazioni, un pellegrinaggio alla sede di Pietro in occasione del conferimento del pallio il prossimo 29 giugno. Buon lavoro, quindi, con la gioia della fede.

† Vescovo Carlo