Il vescovo Carlo: alleanza fra comunità e famiglie da amplificare in questo tempo di pandemia
Intervista al settimanale diocesano Voce Isontina - numero del 31 ottobre 2020
31-10-2020

Il Dpcm del 24 ottobre scorso con le nuove misure per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 lascia invariato quanto previsto nel Protocollo del 7 maggio circa la ripresa delle celebrazioni con il popolo. Certamente, però, le nostre comunità sono chiamate ad una rinnovata attenzione verso le disposizioni di prevenzione illustrate nei mesi scorsi tanto nelle liturgie quanto negli incontri di carattere catechetico o formativo pastorale: un’attenzione particolarmente necessaria nel momento in cui si stanno “recuperando” in quasi tutte le parrocchie le celebrazioni delle prime comunioni e delle cresime rinviate la scorsa primavera.
L’impegno verso la prevenzione però non deve relegare in secondo piano la prossimità (cui ciascun credente è chiamato) verso chi subisce più pesantemente la conseguenze economiche e sociali di questa pandemia.
E poi necessaria una rinnovata sensibilità verso un uso intelligente dei mezzi di comunicazione sociale che possono risultare utili per accompagnare (e non solo sostituire) gli incontri di formazione e catechesi quando questi non possano svolgersi completamente in presenza.
Per fare il punto sulla situazione e capire anche come la Chiesa diocesana sta vivendo questo momento particolare, ne abbiamo parlato con l’arcivescovo mons. Carlo Roberto Maria Redaelli.

Monsignore, uso le immagini della Sua Lettera pastorale. Ci siamo illusi fosse venuto il momento del ritorno dall’esilio, ci eravamo messi in cammino ma ora ci accorgiamo che dobbiamo tornare indietro e che il tempo della ricostruzione rischia di essere ancora lontano. Come possiamo essere testimoni della Speranza anche in questo momento di incertezza ed insicurezza?
Nella Lettera pastorale uso l’immagine del ritorno dall’esilio non per affermare che ad esso si accompagna necessariamente subito la ricostruzione: in quelle pagine, la Bibbia ci fa vedere una situazione in cui alcune cose vanno nel verso sperato e voluto ma per altre non avviene la stessa cosa. È quanto anche noi stiamo vivendo nel tempo in cui chiediamo al Signore di non tornare nell’esilio o, per usare un’altra immagine cui ricorro nella Lettera, nel deserto.
In ogni caso dobbiamo vivere questo tempo nella fede, nella speranza e nella carità sapendo che il Signore comunque c’è e che esiste la speranza, molto concreta, che prima o poi questa realtà verrà risolta e superata. Ci accompagna, poi, la dimensione fondamentale della carità: dobbiamo comunque amare il Signore e le persone nella concretezza della vita di ogni giorno.

Papa Francesco ha più volte sottolineato che “peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”. Non è semplice comprendere come sia possibile trasformare il pianto e la desolazione in opportunità per la propria vita…
Certamente questo passaggio non è facile: per compierlo abbiamo davvero bisogno di un “supplemento di Spirito Santo” e di aiuto da parte del Signore. Non possiamo però tirarci fuori da questa situazione.
Penso sia importante, intanto, che ciascuno riesca a definire cosa può essere considerato fondamentale in quanto ci troviamo a vivere nelle nostre parrocchie, nella nostra esperienza personale e comunitaria. Siamo chiamati a vivere ciò che è fondamentale comunque, anche nella situazione precaria in cui ci troviamo, sapendo che lo scenario può cambiare da un momento all’altro.
Ritengo siano sbagliati sia la scelta di chi non intende impegnarsi e pretende di attendere il momento in cui “tutto sarà risolto”, sia l’atteggiamento opposto e superficiale di chi continua a dire che “va tutto bene”.
Dobbiamo cercare di vivere con concretezza e prudenza ciò che siamo chiamati a realizzare nella vita personale (nei rapporti con le persone, nella cura della propria salute, nel lavoro e anche nella preghiera personale…), ma anche in quella comunitaria (nell’eucarestia, nella liturgia, nella catechesi, nella carità…).

Nella Sua Lettera pastorale, Lei parla espressamente di capacità di adattamento cui sono chiamate le nostre comunità cristiane. Nella prima fase molte volte abbiamo subito la situazione che ci veniva imposta (con la sospensione delle attività pastorali, la limitazione della presenza alle messe…),  oggi dinanzi alla prospettiva di nuove limitazioni o (anche se speriamo non avvenga!) chiusure, le nostre comunità  sapranno proporre modalità di pastorale che permettano di non perdere il contatto coi fedeli?
Spero di si! L’esperienza vissuta nei momenti difficili della primavera scorsa ha fatto capire quali sono anche gli strumenti concreti, molto realistici con cui mantenere i contatti con le persone e da utilizzare per riuscire a fare proposte anche a livello pastorale.
Nella malaugurata ipotesi di una nuova chiusura totale ma anche in presenza di limitazioni parziali siamo chiamati a sfruttare al meglio questi strumenti. Nel caso di limitazioni, per esempio, si potrebbe ricorrere all’utilizzo di una formula mista: una proposta “in presenza” per quanto riguarda le celebrazioni liturgiche o le attività catechistiche e formative che proceda contemporaneamente di pari passo con una “online” al fine di garantire l’accesso alle persone che, per i più svariati motivi, altrimenti rimarrebbero escluse.

San Giovanni Paolo II invitava, all’inizio di questo nostro terzo millennio, a “prendere il largo”. Papa Francesco ci ricorda, usando un’altra espressione marinara, che “siamo tutti sulla stessa barca”. Eppure ora pare possibile per questa barca solo una navigazione che non perda mai di vista la riva, le certezze personali. In questo contesto come continuare a proporre le attività parrocchiali come gli incontri di catechesi, gli appuntamenti dei Gruppi della Parola…
La simbologia della barca è estremamente interessante. L’immagine utilizzata da San Giovanni Paolo II era molto bella e voleva rappresentare l’invito a prendere il largo con grande speranza e fiducia. Ma in questo tempo di pandemia ci siamo accorti – per usare l’immagine della barca in balia delle onde usata da papa Francesco – di come la tempesta sconvolga la rotta che avevamo programmato: siamo costretti a rimanere il più possibile vicino alla riva, valutando cosa fare di giorno in giorno.
Non dobbiamo arrestare la navigazione della barca della Chiesa e delle nostre comunità. Siamo chiamati a gestire in maniera attenta le fasi particolarmente delicate che stiamo attraversando, adattando il nostro impegno alle situazioni concrete.
Ne “La nube luminosa”, Lei ribadisce l’importanza di una carità diffusa e non super-delegata. In “Fratelli tutti”, riprendendo un’espressione di San Tommaso, papa Francesco ci ricorda che “l’amore crea legami e allarga l’esistenza quando fa uscire la persona da se stessa verso l’altro”. Inviti all’apertura in tempi di chiusura: sono sfide molto importanti anche dinanzi alle prospettive che abbiamo dinanzi…
Il periodo più duro della chiusura ci ha fatto capire l’importanza delle relazioni: le persone si sono cercate e sostenute, amici e conoscenti con cui non c’erano rapporti da tempo si sono fatti vivi e sentiti sempre più spesso, da parte delle famiglie e delle comunità si è cercato di mantenere un contatto con le persone più sole, anziane, ammalate… Questo aspetto credo sia fondamentale e dobbiamo saperlo mantenere vivo utilizzando tutti gli strumenti possibili.
C’è poi il grande tema della carità: carità che non può semplicemente essere delegata alla Caritas. La Caritas stessa ha bisogno della collaborazione da parte della comunità per ricevere la segnalazione di situazioni di necessità, per venire incontro a difficoltà concrete… Non può essere solo la Caritas a lavorare in questo campo!

Lei sta incontrando in queste settimane i ragazzi che si apprestano a ricevere la Confermazione. Come vivono questo tempo? Come glielo raccontano nelle lettere che Le inviano?
È un’esperienza molto interessante e che spero di poter continuare; il contatto coi ragazzi prima del giorno della cresima rende comunque la stessa celebrazione non un qualcosa di anonimo, ma un incontro fra persone che si sono già conosciute. E questa è una conoscenza che avviene molto spesso anche in profondità perché devo riconoscere che le lettere che i ragazzi mi scrivono sono davvero molto ricche e frutto di riflessione. Mi parlano di loro, dei loro problemi, dei loro desideri, dei loro sogni, ma in esse si manifestano anche la preoccupazione e l’ansia per quello che stiamo vivendo, come pure il desiderio che tutto ciò venga superato il prima possibile.
Per i ragazzi più grandi questi sentimenti si legano anche alle domande più profonde della fede: qual è il senso della vita, della malattia, del soffrire, … come cercare la pace e la giustizia, come tutelare il creato… C’è certamente da parte loro una forte sensibilità verso queste tematiche!

La fase della pandemia ha permesso a molte famiglie di riscoprire la propria realtà di “piccola Chiesa domestica”. Mi pare una dimensione importante anche in un momento di incertezza come quello che stiamo vivendo…
Questo direi è assolutamente importante. In certe situazioni di difficoltà si va a cercare quello che è realmente decisivo ed è essenziale. In questo senso è significativo che alcune famiglie abbiano riscoperto anche formule molto semplici di preghiera e le hanno utilizzate, con meno timidezza nel manifestare una presenza del Signore nelle loro case, in un rivolgersi a lui davvero importante.
Sono certo che le nostre parrocchie continueranno e amplificheranno tutto ciò, in una “alleanza” con le famiglie, ad esempio, per quanto riguarda il tema della catechesi: sia nella malaugurata ipotesi che dovessimo giungere ad una nuova chiusura totale (con la catechesi possibile, quindi, solo in famiglia), ma anche in una situazione relativamente più tranquilla. Questa collaborazione per il bene dei ragazzi è assolutamente fondamentale. E questo non solo e non tanto per le ovvie questioni di sicurezza e di salute (su cui è importante ci sia una strettissima collaborazione con le famiglie, come avvenuto nei mesi scorsi per i centri estivi organizzati dalle parrocchie), ma soprattutto per valorizzare il cammino educativo proposto ai ragazzi per una crescita umana e cristiana.

In tante delle nostre chiese si stanno celebrando in questi mesi di ottobre e novembre le prime comunioni e le cresime… I mesi scorsi – con la riduzione drastica dei casi di positività – hanno portato, in taluni casi, ad un “rilassamento”, sotto certi aspetti inevitabile, nelle misure di prevenzione anche nelle nostre chiese. Possiamo rassicurare i nostri fedeli che la “guardia non viene abbassata”?
Direi proprio di sì. Intanto abbiamo invitato proprio in occasione di queste celebrazioni ad un’osservanza se possibile ancora più rigorosa delle disposizioni emanate. Devo dire, per esperienza personale, che soprattutto in questi ultimi fine settimana mi pare ci sia una maggiore consapevolezza e rigore affinché il momento di festa possa essere vissuto nella piena sicurezza.
È importante la collaborazione delle famiglie dei ragazzi e dei parenti che, da loro invitati, partecipano alle liturgie. In ogni caso, lo ribadisco, le parrocchie sono in generale molto attente alla cura di questi aspetti per fare in modo che le  tappe del cammino sacramentale possano essere celebrate in tutta sicurezza con fede e tanta gioia.