Il tempo del pianto
Meditazione nella prima tappa cammino penitenziale quaresimale 2022 della diocesi
11-03-2022

Venerdì 11 marzo 2022 l’arcivescovo Carlo ha presieduto nel duomo di Cervignano il primo incontro dell’itinerario quaresimale diocesano. Pubblichiamo di seguito la sua catechesi.

Questa sera avrei voluto fare una catechesi sul cammino di riconciliazione e di conversione che ci viene chiesto dalla Quaresima. Un cammino tutt’altro che banale, che non si può risolvere in una rinuncia, in un proposito e con una confessione ma deve diventare appunto un itinerario. I tragici avvenimenti di questi giorni mi costringono però a fare diversamente. Ho detto “mi costringono” perché come tutti voi anch’io sento nel cuore la pesantezza di questa situazione di guerra e non posso sottrarmi da questo peso e dagli interrogativi profondi che mi suscita interiormente.

Certo non è l’unica guerra al mondo, questa che si sta combattendo nel cuore dell’Europa, ce ne sono altre in corso, di cui spesso la televisione, i giornali, i social non parlano. I bambini della Siria, del Tigray o dello Yemen (dove dal 2015 più di 10.000 bambini sono stati feriti o uccisi, anche da bombe fabbricate in Italia) – per citare solo alcune guerre in corso -, non sono meno importanti di quelli di Mariupol o di altre città dell’Ucraina…

Che cosa possiamo fare noi? Sicuramente pregare, aiutare, offrire il nostro contributo in denaro, mettere a disposizione delle case per accogliere chi scappa dalla guerra (e penso sia doveroso ringraziare le nostre comunità per lo slancio di generosità che sta caratterizzando questo momento) … E basta? O per questa guerra dobbiamo chiedere perdono? Penso di sì. Non però con una richiesta generica di perdono, ma con un atteggiamento analogo a quello che riserviamo ai nostri peccati personali, che ben conosciamo. Un atteggiamento che porta alla vergogna per il peccato, al rimorso, al pentimento, alla confessione, all’implorazione della misericordia.

Ma è giusto che sia così? Che responsabilità abbiamo noi verso la guerra e questa in particolare? Noi non abbiamo incarichi politici, non abbiamo interessi economici legati alla guerra (anzi caso mai ci perdiamo…), non abbiamo sentimenti di odio, di disprezzo o di disistima verso i popoli in conflitto… Noi non c’entriamo! Dobbiamo avere compassione per chi soffre, magari rabbia per chi provoca distruzione e morte, denuncia contro chi ha aggredito, dare una mano dove possiamo, ma non siamo certo responsabili.

Spontaneamente anch’io in un primo tempo ho pensato in questo modo. Ma poi mi è tornata in mente l’omelia che papa Francesco ha pronunciato a Redipuglia nei 100 anni dallo scoppio della Prima guerra mondiale. Un’omelia impressionante, pur nella sua brevità, per la sua attualità e la lucida analisi del perché della guerra. Tra l’altro profeticamente già in quella occasione papa Francesco parlava di una terza guerra mondiale combattuta a pezzi. Permette che ve la rilegga per intero:

«Dopo aver contemplato la bellezza del paesaggio di tutta questa zona, dove uomini e donne lavorano portando avanti la loro famiglia, dove i bambini giocano e gli anziani sognano…trovandomi qui, in questo luogo, vicino a questo cimitero, trovo da dire soltanto: la guerra è una follia.

Mentre Dio porta avanti la sua creazione, e noi uomini siamo chiamati a collaborare alla sua opera, la guerra distrugge. Distrugge anche ciò che Dio ha creato di più bello: l’essere umano. La guerra stravolge tutto, anche il legame tra i fratelli. La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione: volersi sviluppare mediante la distruzione!

La cupidigia, l’intolleranza, l’ambizione al potere… sono motivi che spingono avanti la decisione bellica, e questi motivi sono spesso giustificati da un’ideologia; ma prima c’è la passione, c’è l’impulso distorto. L’ideologia è una giustificazione, e quando non c’è un’ideologia, c’è la risposta di Caino: “A me che importa?”. «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). La guerra non guarda in faccia a nessuno: vecchi, bambini, mamme, papà… “A me che importa?”.

Sopra l’ingresso di questo cimitero, aleggia il motto beffardo della guerra: “A me che importa?”. Tutte queste persone, che riposano qui, avevano i loro progetti, avevano i loro sogni…, ma le loro vite sono state spezzate. Perché? Perché l’umanità ha detto: “A me che importa?”.

Anche oggi, dopo il secondo fallimento di un’altra guerra mondiale, forse si può parlare di una terza guerra combattuta “a pezzi”, con crimini, massacri, distruzioni…

Ad essere onesti, la prima pagina dei giornali dovrebbe avere come titolo: “A me che importa?”. Caino direbbe: «Sono forse io il custode di mio fratello?».

Questo atteggiamento è esattamente l’opposto di quello che ci chiede Gesù nel Vangelo. Abbiamo ascoltato: Lui è nel più piccolo dei fratelli: Lui, il Re, il Giudice del mondo, Lui è l’affamato, l’assetato, il forestiero, l’ammalato, il carcerato… Chi si prende cura del fratello, entra nella gioia del Signore; chi invece non lo fa, chi con le sue omissioni dice: “A me che importa?”, rimane fuori.

Qui e nell’altro cimitero ci sono tante vittime. Oggi noi le ricordiamo. C’è il pianto, c’è il lutto, c’è il dolore. E da qui ricordiamo le vittime di tutte le guerre.

Anche oggi le vittime sono tante… Come è possibile questo? E’ possibile perché anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante!

E questi pianificatori del terrore, questi organizzatori dello scontro, come pure gli imprenditori delle armi, hanno scritto nel cuore: “A me che importa?”.

È proprio dei saggi riconoscere gli errori, provarne dolore, pentirsi, chiedere perdono e piangere.

Con quel “A me che importa?” che hanno nel cuore gli affaristi della guerra, forse guadagnano tanto, ma il loro cuore corrotto ha perso la capacità di piangere. Caino non ha pianto. Non ha potuto piangere. L’ombra di Caino ci ricopre oggi qui, in questo cimitero. Si vede qui. Si vede nella storia che va dal 1914 fino ai nostri giorni. E si vede anche nei nostri giorni.

Con cuore di figlio, di fratello, di padre, chiedo a tutti voi e per tutti noi la conversione del cuore: passare da “A me che importa?”, al pianto. Per tutti i caduti della “inutile strage”, per tutte le vittime della follia della guerra, in ogni tempo. Il pianto. Fratelli, l’umanità ha bisogno di piangere, e questa è l’ora del pianto».

Fin qui papa Francesco. È facile collegare le sue parole a quello che era l’Ucraina prima della guerra: “Dopo aver contemplato la bellezza del paesaggio di tutta questa zona, dove uomini e donne lavorano portando avanti la loro famiglia, dove i bambini giocano e gli anziani sognano”. O anche alle persone, soldati e civili, uccisi: “Tutte queste persone, che riposano qui, avevano i loro progetti, avevano i loro sogni…, ma le loro vite sono state spezzate”. E soprattutto è chiaro per papa Francesco il perché di ogni guerra, anche di quelle in corso: “Perché l’umanità ha detto: “A me che importa?”.

C’è poi una grande assonanza tra le sue parole che invitano al pianto e la prima lettura di stasera tratta dal libro del profeta Gioele:

 «Così dice il Signore: “Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male”. […] Radunate il popolo, indite un’assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti; esca lo sposo dalla sua camera e la sposa dal suo talamo. Tra il vestibolo e l’altare piangano i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano: “Perdona, Signore, al tuo popolo e non esporre la tua eredità al ludibrio e alla derisione delle genti”» (Gioele,12-18).

Siamo chiamati a piangere e a convertirci. Perché è vero, non c’entriamo direttamente con la guerra in Ucraina o in altre parti del mondo, ma se io fossi lì – e non importa da che parte – sarei pronto a odiare e a uccidere. Sì, anche a uccidere, lo dico con sincerità. Perché nel mio cuore, nel cuore di ciascuno di noi c’è il seme di ogni male.

Per fortuna il Signore non permette che questi semi ricevano acqua in abbondanza, altrimenti diverrebbero alberi e porterebbero frutti di morte. Ma qualche volta – anzi più di una volta – una certa pianticella maligna attecchisce nel mio cuore e cresce, talvolta senza che me ne accorga. E allora solo la grazia può cercare di inaridirla e renderla inoffensiva. Quei semi si chiamano: superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira, accidia. I vizi capitali. Si chiamano disinteresse, egoismo, si chiamano peccato. Da lì vengono tutti i mali del mondo. Anche la guerra.

Sono semi di male, radici ben ramificate nel cuore dell’uomo e spesso diventano piante che producono frutti di morte, che tutti avvelenano. Non è vero che il male che faccio io non riguarda nessun altro se non me stesso e chi eventualmente ne è, malgrado lui o lei, destinatario. No, c’è una solidarietà nel male. Una solidarietà che abbraccia l’intera umanità. E il male purtroppo è estremamente contagioso, peggio di un virus. E si moltiplica con grande velocità. Io nel mio piccolo, a causa del male che è radicato nel mio cuore, ho una parte di responsabilità per il male del mondo. E di questo devo chiedere perdono. E se il Signore mi guarisce con il suo perdono, guarisce un po’ anche il mondo.

Vorrei invitarvi in questa Quaresima a togliere la terra attorno alle radici di male che ci sono nel nostro cuore, andare a cercare i semi di male che stanno germogliando o che sono già una pianta sviluppata. Scoprire tutto ciò magari nel colloquio con un sacerdote, con una persona spirituale che ci conosce, perché da soli non è facile prendere coscienza di quello che c’è realmente nel nostro cuore. Il male sa camuffarsi con molta astuzia, persino anche rivestendosi apparentemente di bene. È difficile riconoscerlo nella sua gravità. Anche guardando noi stessi è facile, infatti, accorgerci della pagliuzza e non della trave, dispiacerci per una cosa banale e non renderci conto di qualcosa di grave. Per esempio, restarci male per uno scatto di nervosismo verso una persona e non avere coscienza del pesante giudizio negativo che magari abbiamo costantemente verso di lei. Un esame di coscienza sui vizi capitali: sarebbe un ottimo esercizio per la Quaresima. Che siano ancora semi o che si siano sviluppati dentro di noi. E chiedere perdono per essi, farne oggetto di confessione riconoscendo con sincerità: sono avaro, sono superbo, sono invidioso, ecc. E ottenere perdono. Anche questo è un modo per contribuire alla pace.

Dicevo che il Signore ci guarisce e guarendo noi guarisce il mondo. Lo fa aiutandoci a limitare la forza dei semi e delle radici di male che sono in noi, ma non li toglie del tutto. Il campo con il buon grano mescolato con la zizzania sino alla fine dei tempi è il mondo, ma è anzitutto il nostro cuore. E il Signore permette che resti in noi anche la tendenza al male, per farci crescere attraverso la tentazione, farci diventare più umili, meno sicuri di noi e più disponibili a essere salvati. La salvezza è un dono e non una conquista della nostra bravura. Il Paradiso non lo si merita, né lo si guadagna, ma lo si accoglie come dono.

Ma l’azione del Signore è soprattutto in positivo. Un’azione che consiste nel dono dello Spirito Santo. Nel capitolo quinto della lettera ai Galati, san Paolo fa un elenco impressionante di vizi, al di là dei sette che sopra ho ricordato, identificandoli come opere della carne, cioè della parte di noi che è legata al peccato, ma poi parla del frutto multiforme dello Spirito. Ecco che cosa l’apostolo scrive:

 

«Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne, infatti, ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge» (Galati 5,16-23).

L’apostolo elenca nove sfaccettature dell’unico frutto dello Spirito. Le rileggo: amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé. Sono ciò che si contrappone ai vizi capitali. E lo Spirito può donarci questo frutto multiforme che cambia la nostra vita e quella degli altri. La vera conversione è accogliere questi doni e portare frutto nella nostra vita secondo il Vangelo. Un frutto di bene che migliora l’intera umanità.

Il male è contagioso, ma anche il bene è contagioso e anche di più. Perché se c’è una solidarietà nel male, c’è anche una solidarietà nel bene. Dal punto di vista della fede questa solidarietà si chiama comunione dei santi. I santi e le sante sono coloro che sono in paradiso, riconosciuti o no come tali, che ci sostengono con il loro amore e la loro preghiera. Ma santi e sante sono anche tutti gli uomini e le donne che vivono quella che papa Francesco chiama la santità della porta accanto. Vissuta nelle circostanze più normali o anche in quelle più tragiche come la guerra (e Dio solo sa quanti gesti d’amore, nonostante tutto, si manifestano anche in questi tragici giorni). È la santità del “a me importa”, mi importa dell’altro, delle sue sofferenze, dei suoi peccati, della sua dignità di figlio e figlia di Dio, della sua salvezza. Una santità che salva il mondo, malgrado tutta la malvagità che c’è e che la guerra esprime al massimo della sua potenza.

Ed ecco allora un secondo aspetto del cammino di conversione della Quaresima; invocare il dono dello Spirito, accogliere i suoi doni, portare frutto nella nostra vita. Deve esserci allora anche molta riconoscenza in noi in questo periodo, accanto alla richiesta di perdono e alle lacrime per il peccato nostro e del mondo. Lacrime che, grazie alla croce e alla risurrezione di Cristo, possono sciogliersi a Pasqua in un pianto di gioia.

Vi auguro che sia così per ciascuno di noi: un cammino verso la Pasqua di conoscenza e richiesta di perdono per i semi e le radici di male che sono nei nostri cuori, e insieme di invocazione del dono dello Spirito con il suo frutto di pace e di gioia. Per noi e per l’intera umanità.

+ vescovo Carlo