Il significato della missione oggi
La parrocchia del Ss. Redentore a Monfalcone ha ospitato la tradizionale Veglia organizzata, a pochi giorni dalla Giornata missionaria mondiale, dal Centro missionario e dal Coordinamento di Pastorale giovanile. Nel corso della Liturgia della Parola l’Arcivescovo ha conferito il mandato missionario al diacono Aldo Vittor che sabato 22 verrà ordinato sacerdote. Pubblichiamo la riflessone dell’arcivescovo Carlo durante la Veglia
17-10-2014

Una domanda che è giusto farsi come cristiani: che significato ha la missione? Ha ancora senso oggi?

Sembra una questione astratta e generica, che diventa però concreta quando una persona conosciuta – per molti un amico – parte come missionario. La domanda allora si deve riformulare: perché don Aldo parte per la missione, anzi perché vuole dedicare tutta la sua vita alla missione?

Qui la prospettiva cambia. Non è più teorica, ma pratica. Non è più generale, ma può diventare – lo dico in particolare per i giovani – personale: se ha senso la sua scelta di vita, perché non potrebbe essere anche la mia? Se Aldo sì, perché non io? Allora: perché si va in missione e perché anche qui si deve vivere la missione? Semplicemente perché si ha la consapevolezza di avere ricevuto un dono, un messaggio che è per tutti e che è decisivo per la vita per tutti: come si fa a tenerlo per sé? Per fare un esempio riferita a una situazione tragica di oggi: se uno scoprisse un rimedio al virus Ebola, non sentirebbe il dovere di metterlo subito a disposizione di tutti? Qual è questo dono che deve diventare un messaggio? E’ il contenuto del Vangelo, la buona notizia che la vita ha senso perché non viene dal niente e non va verso il niente, ma è dono di Dio. La vita allora è una cosa bella e vale la pena di essere vissuta. Occorre dirlo agli altri. Ed è bella perché c’è qualcuno che ce l’ha donata e ce l’ha donata per sempre, non solo per settanta, ottanta, novanta o cento anni, ma per sempre. E questo Qualcuno è Dio che ci ha creati a immagine del suo Figlio Gesù. Dire che la vita è bella però non basta. Perché la vita non sempre è bella, spesso è faticosa, spesso è piena di sofferenze, spesso è piena di violenze. Non solo. A livello personale la vita è piena di paure, di errori, di angosce, di rimorsi.

Di un messaggio tipo “la vita è bella, vogliamoci bene”, di un messaggio che non è molto diverso dalla pubblicità per una vacanza da sogno, per una crociera nei mari del sud, per un’auto di lusso o per un smartphone ultimo modello, alla fine – se ben ci pensiamo – non sappiamo cosa farcene. Se io resto con le mie paure, le mie angosce, le mie chiusure, le mie cattiverie, le mie amarezze a che cosa mi serve? Il messaggio del Vangelo non è però un messaggio generico di felicità a buon mercato, è invece un messaggio di salvezza che va alla radice del male che è attorno a noi e dentro di noi e che talvolta percepiamo come una cappa di piombo o come un’angoscia che ci attanaglia il cuore. Ci dice non solo che siamo stati creati per amore e per vivere per sempre, ma che siamo salvati per amore. Salvezza significa che non sto per niente bene, che la mia vita è in pericolo, che sono prigioniero e che ho bisogno di qualcuno che mi salvi e mi liberi. Questo Qualcuno è il Signore Gesù. Colui che non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori; che si è fatto medico per guarirci nel profondo di noi stessi; che si è fatto mettere in croce, condannato come un malfattore, per liberarci dal peccato. Il contenuto dell’annuncio cristiano è quindi il fatto che siamo stati creati per amore e che siamo salvati per amore. E che l’autore di tutto questo è Dio, il Padre che ci ha creati, il Figlio che si è fatto uomo ed è morto in croce per noi, lo Spirito che rinnova i nostri cuori. Ogni uomo e ogni donna deve saperlo. Noi dobbiamo dirglielo. Perché non sentiamo questa urgenza? Perché non viviamo le due dimensioni fondamentali del cristiano: la gioia perché la vita è bella, la conversione perché la vita è salvata. Mancano cristiani gioiosi e convertiti, per questo non ci sono missionari.

Il nostro cristianesimo – parlo anzitutto per me… – non è ciò che è essenziale per noi, ciò senza il quale non riusciremmo a vivere, ma è spesso come un’aggiunta al resto della nostra vita, a volte solo una “decorazione”, altre volte solo un riferimento ideale, ma la vita è un’altra cosa…

Proviamo a domandarci: se nella nostra vita non ci fosse il Vangelo, non ci fosse Gesù, cambierebbe qualcosa di sostanziale? Potremmo vivere senza di Lui? Se la risposta onesta è: “sì!, potremmo vivere ugualmente”, significa che non siamo ancora veri cristiani e ovviamente non possiamo essere missionari. Dovremmo invece sperimentare – ed è una grazia da chiedere – due atteggiamenti: la sofferenza per la nostra condizione di essere in pericolo al bordo di un precipizio e insieme la gioia perché Qualcuno ci sta salvando. Allora nascerebbe spontaneamente l’esigenza della missione. Il brano di Vangelo ci presenta una persona – Matteo – che ha sperimentato tutto ciò, ma partendo dal fondo. Non ha prima capito di essere peccatore, poi che c’era Qualcuno che poteva salvarlo e poi si è deciso a seguirlo. No, il Vangelo non ci presenta questa successione, ma un’azione di Matteo come risposta a una sola parola: «Seguimi!»: «egli si alzò e lo seguì». Seguendo il Signore Matteo comprende che è peccatore, che Qualcuno lo può salvare e che questa gioia va condivisa. In effetti la prima cosa che fa Matteo è invitare Gesù a casa sua e con lui tanti suoi colleghi considerati peccatori, perché, contro la legge mosaica, a servizio dei romani (lo dice esplicitamente il vangelo di Luca: «Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C’era una folla numerosa di pubblicani e di altra gente, che erano con loro a tavola»: Lc 5,29). Così dimostra di aver capito che davvero Gesù è venuto a guarire non solo lui, ma tutti coloro che si trovano nella sua situazione.

Se è così, la grazia da chiedere non è anzitutto di stare male per i nostri peccati e per le nostre angosce e neppure di percepire con gioia la salvezza, ma quella di seguire Gesù. Ci penserà poi Lui a farci prendere coscienza del nostro male e anche della salvezza che Lui ci dona. Vorrei allora dire a chi è qui stasera – e in particolare ai giovani – di non aspettare per essere veri cristiani di provare chissà quali forti esperienze di conversione, ma che se hanno intuito che il Signore è importante per loro, intanto lo seguano da subito, disposti a mettersi al suo servizio. Il resto verrà dopo. Il Signore non ci farà mancare la gioia di essere salvati e di diventare annunciatori di questa salvezza.

† Vescovo Carlo