Che cos’è la guerra?
Le parole dell’Arcivescovo durante gli incontri di preparazione decanali alla Visita di Papa Francesco (4-11 settembre 2014)
04-09-2014

Come sapete, noi preti abbiamo una certa dimestichezza con il peccato. Non solo perché siamo peccatori come tutti, ma anche perché il Signore ci ha affidato, tramite la Chiesa, il compito, affascinante anche se impegnativo, di essere ministri del perdono di Dio. Questo ci porta a conoscere i meccanismi oscuri del male non solo nel nostro ma anche nel cuore delle persone, meccanismi che coinvolgono la libertà e la responsabilità di ciascuno, ma che sono sicuramente aiutati da chi fin dall’origine insidia la vera felicità degli uomini portandoli lontani da Dio. Proprio riflettendo su questo, mi sono chiesto – un po’ sorridendo, ma non troppo… – se è presente all’inferno una “scuola di specializzazione in tentazione”. Se esiste, essa partirebbe dall’insegnare le tentazioni più semplici. Verrebbe spiegato, per esempio, come far cadere in peccato, almeno di desiderio, uno goloso come me: basta fare in modo che ogni giorno passi davanti a una pasticceria, possibilmente facendogli sentire per strada il profumo dei pasticcini appena sfornati… Ma il corso superiore di tentazione, quello riservato ai più esperti, insegnerebbe – sono sicuro – come portare, attraverso una catena di peccati, la singola persona a quella che papa Francesco chiama la corruzione e un intero popolo alla guerra. Che cosa è la corruzione? Papa Francesco non la intende in senso comune – pagare qualcuno per ottenere favori -, ma in senso forte come la situazione in cui uno è così immerso nel male da non riuscire a uscirne e neppure a volerne uscire e vi si avviluppa sempre più come dentro una rete. Una situazione in cui tutto il male che uno ha dentro non trova alcun ostacolo, alcun limite, alcun rimorso, ma si rafforza e si espande sempre più. Che cosa è la guerra? E’ lo stato di corruzione di una società, un contesto di male in cui tutto diventa lecito, dove trovano spazio le vendette e gli odi di gruppo e personali, le uccisioni, le violenze, le ingiustizie, le sopraffazioni. In guerra anche la persona più buona è portata a fare ciò che in tempo di pace neppure gli passerebbe per la mente, come uccidere deliberatamente un altro uomo. Chi vuole la rovina dell’umanità – e noi siamo, purtroppo, sempre disposti a dargli una mano… – ha come scopo quello di portare in queste due situazioni: corruzione, a livello personale, guerra, a livello di popolo. Come ci riesce? In due modi: anzitutto favorendo il crearsi di una catena di peccati, di errori, di decisioni da cui non si può tornare indietro e poi delineando in precedenza, a poco a poco, il contesto adatto alle scelte di male. Un esempio molto forte di questa progressione nel male, di questa catena che avviluppa sempre di più, ci viene offerto dalla Bibbia, a livello di persona, dal peccato del re Davide. Ricordate: Davide comincia a non impegnarsi per il suo popolo, ma a starsene in ozio nella sua reggia; non vigila sul suo sguardo, ma vede compiaciuto dalla terrazza una donna che fa il bagno; non contrasta il proprio desiderio cattivo ma lo mette in pratica; manda a prendere la donna, sposata con il suo fedele soldato Uria, e ha rapporti con lei; la donna resta incinta e Davide per non farsi scoprire cerca di fare in modo che il figlio venga attribuito al legittimo marito, ma il piano non gli riesce perché il soldato, pur richiamato dalla guerra, non torna a casa dalla moglie; a questo punto, decide di uccidere Uria e realizza questo proposito malvagio coinvolgendo nel delitto i suoi collaboratori. Come vedete, una catena di sbagli in progressione che Davide non riesce a interrompere, anzi, cercando di rimediarvi, successivamente a ogni sbaglio ne fa uno più grande. Un esempio tremendo di progressione collettiva nel male, ma anche di preparazione di un contesto adatto al male, è la prima guerra mondiale, di cui ricordiamo i cento anni dall’inizio. Nella lettera “Egli è la nostra pace” ne ho elencato sommariamente le cause remote: «l’imporsi del concetto di nazione fino a giungere a esasperati nazionalismi, il desiderio di rivincita dopo precedenti conflitti, la crisi sociale degli imperi centrali, l’accumulo di armi con i relativi interessi, la visione romantico-cavalleresca della guerra come “purificazione” eroica dell’umanità». Le cause prossime e la catena di eventi che si sono succeduti nel giro di poche settimane fino a coinvolgere nel conflitto tutto il mondo con meccanismi quasi automatici, sono note e le abbiamo ascoltate all’inizio di questa celebrazione. Sempre nella lettera, accenno anche alla difficoltà della comunità ecclesiale a reagire a questa catena di eventi: «Che cosa pensava allora la Chiesa della guerra? Perché il magistero di papa Benedetto XV non è stato ascoltato e i suoi sforzi per evitare il conflitto (per altro già di papa Pio X) o per chiuderlo non hanno avuto effetto? […] Quanto sono stati determinanti – per stare al solo contesto italiano – fattori come la dottrina tradizionale della “guerra giusta” e l’impreparazione teorica nel valutare moralmente un nuovo modo di fare la guerra, il desiderio di mostrarsi leali verso il nuovo Stato unitario italiano, l’impegno di essere comunque solidali con la popolazione?». A questo punto possiamo domandarci: la corruzione personale è inevitabile? la guerra è inevitabile? Le catene di male sono tali per cui non si riesce a liberarsene, anzi spesso il reagirvi porta a peggiorare la situazione? No, non è così. Davide poteva, soprattutto all’inizio, pentirsi del proprio male (per esempio, dandosi dello stupido per aver desiderato la donna di un altro e, invece, coinvolgendosi con più impegno nei suoi compiti di re). La prima guerra mondiale poteva essere evitata se si avesse avuto più lucidità, all’inizio, nel bloccare lo scatto automatico delle alleanze e se ci si fosse messi attorno a un tavolo per risolvere la questione di Sarajevo, i problemi delle autonomie nazionali, le rivendicazioni territoriali e le altre questioni aperte. Che cosa può aiutare a non far partire queste catene di male, a non creare contesti favorevoli al male? Nella lettera citata ho indicato alcuni atteggiamenti che qui ricordo. Anzitutto la preghiera perché «la pace è dono e va implorata. Non nasce dalla nostra – per altro scarsa – buona volontà. È qualcosa di fragile, che solo l’aiuto di Dio può assicurare». L’incontro di preghiera di stasera ha questo scopo. Un secondo mezzo è l’ascolto della Parola di Dio: «Solo la Parola di Dio, accolta e pregata, può cambiare la nostra mentalità. Occorre meditare sui molti brani che parlano della pace, ma anche su quelli che evidenziano e denunciano i meccanismi dell’odio, della lotta, della superbia, della violenza». Per stare ai tre brani della Scrittura di stasera è facile vedere come ci indicano alcuni atteggiamenti che ci portano a contrastare le catene di peccato e ci guidano sulla via della pace: il non fidarci delle nostre “cisterne screpolate”, ma solo di Dio che è la sorgente della pace; l’avere sempre davanti agli occhi la meta che il Signore sta preparando all’intera umanità, cioè la città santa, la sposa dell’Agnello; il non lasciarci bloccare nella paralisi del peccato, ma trovare per grazia la forza di rialzarci e di andare incontro agli altri. Un terzo aiuto per un cammino di pace è la conoscenza dell’insegnamento e dell’azione della Chiesa. Avremo la fortuna tra pochissimi giorni di ascoltare di persona l’intervento che papa Francesco farà proprio sui temi della pace: un grande dono per noi, ma anche una grande responsabilità nell’attuarlo. Infine nella lettera ho ricordato le azioni di pace. In concreto: la conoscenza («Conoscere l’altro: è decisivo per la pace. È più facile sparare – realmente o metaforicamente – a una sagoma, a una “categoria”, piuttosto che a un volto conosciuto»); l’accoglienza («Un’accoglienza che […] accolga e soccorra chi ha bisogno senza se e senza ma»); la giustizia («La pace nasce dalla giustizia, dal rispetto dei diritti di tutti e dall’impegno di tutti per i propri doveri. La correttezza, la legalità, l’onestà sono tutti elementi decisivi per la pace»). Concludo tornando a quando dicevo all’inizio: non so se esiste una “scuola di specializzazione in tentazione”, ma sono certo che con la visita di papa Francesco a Redipuglia e con il nostro conseguente impegno di riflessione, meditazione, preghiera e azione stiamo sicuramente vivendo una vera “scuola di specializzazione nella pace”. Di ciò dobbiamo essere grati al Signore.

† Vescovo Carlo