I primi cristiani celebravano il Natale? La domanda può sorgere spontanea quest’anno in cui la nostra diocesi è stata invitata a ri-scoprirsi come Chiesa, partendo dall’esperienza della prima comunità cristiana, riferendosi in particolare a quanto ci narrano gli Atti degli Apostoli. Ebbene questo libro del Nuovo Testamento tace del tutto sul Natale. L’interesse è tutto centrato sulla Pasqua e la predicazione degli apostoli ha sempre come fulcro centrale l’annuncio del Risorto come Salvatore degli Ebrei e dei pagani. Anche nelle lettere degli apostoli non c’è praticamente traccia del Natale. C’è un accenno nella lettera ai Galati – “Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge” (Gal 4,4) – e un secondo in quella ai Romani: “Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne” (Rm 1,1-3). Niente altro.
La celebrazione del Natale è quindi qualcosa che si è imposta solo più tardi nell’esperienza della Chiesa, qualcosa che, con la sua carica sentimentale, ha, per così dire, distratto dal centro della fede cristiana che è la Pasqua? Se fosse così, il nostro verificarci come Chiesa a partire dalla prima comunità dovrebbe portarci a ridimensionare radicalmente il Natale a favore della centralità della Pasqua. Ma è proprio così? La risposta è facile, se ci chiediamo da dove conosciamo i fatti della nascita di Cristo: naturalmente dai Vangeli. E che cosa sono i Vangeli se non la cristallizzazione scritta della fede e della predicazione della Chiesa delle origini? Il Natale è allora tutt’altro che assente dall’esperienza di fede dei primi cristiani. I Vangeli vi dedicano ampio spazio: due capitoli sia il Vangelo di Luca che quello di Matteo e l’inizio del primo capitolo il Vangelo di Giovanni.
Lo fanno in tre modi diversi. Matteo anzitutto con la preoccupazione di evidenziare il compimento delle Scritture, che cita continuamente, ma anche di dare grande rilievo all’episodio dei magi come primizia di coloro che non appartenendo al popolo eletto avrebbero creduto in Gesù e sarebbero diventati parte della Chiesa. Luca, invece, inserisce la nascita di Gesù nella più genuina esperienza di fede del popolo di Israele, quella non tanto dei capi ma delle persone semplici e umili (i “poveri di Jahwè”) che nel silenzio e nella fedeltà quotidiana tenevano viva l’attesa del compimento delle promesse: Elisabetta, Zaccaria, Simeone, Anna, la stessa Maria di Nazaret. Giovanni, invece, contempla il Verbo di Dio che si è fatto carne venendo nel mondo come “luce, quella vera, che illumina ogni uomo” (Gv 1,9). Ciò che accomuna i tre evangelisti è la rilettura della nascita di Gesù in riferimento alla Pasqua. In questo senso non viene assolutamente perso il primato della croce e della risurrezione di Cristo. È invece a partire dalla luce del mattino di Pasqua che anche la nascita di Gesù viene illuminata e compresa come la nascita del Salvatore, accolto come tale fin dall’inizio da alcuni (i pastori, i magi, Simeone e Anna), ignorato da molti (gli abitanti di Betlemme e di Gerusalemme), rifiutato e perseguitato da altri (Erode). La tradizione iconografica orientale, che spesso rappresenta la mangiatoia dove è deposto Gesù in forma di sepolcro, ha colto con efficacia il collegamento tra Natale e Pasqua.
Potremmo a questo punto chiederci: se nella prima Chiesa c’è la consapevolezza di questa stretta relazione tra Natale e Pasqua, esiste anche l’intuizione di un rapporto tra la nascita di Gesù e quella della Chiesa? Probabilmente sì. La possiamo cogliere ricordando che gli Atti degli Apostoli sono concepiti da Luca, il loro autore, come il “secondo libro” rispetto al “primo libro”, cioè il vangelo dello stesso Luca. La prassi della Chiesa ci ha condotto, anche giustamente, a considerare unitariamente i quattro Vangeli, ma così si è perso l’intento di Luca che vuole offrire al suo discepolo/lettore Teofilo (cioè ciascuno di noi) i fondamenti della fede attraverso due libri e non solo per mezzo del Vangelo. Senza forzature, è quindi possibile leggere in parallelo la nascita di Gesù, presentata nei primi due capitoli del Vangelo di Luca, con la nascita della Chiesa descritta all’inizio degli Atti.
Indico solo alcuni spunti come un invito alla lettura personale.
C’è anzitutto l’annuncio: nel Vangelo è l’angelo che annunzia a Maria la nascita di Gesù come prima aveva annunciato a Zaccaria la nascita del precursore, Giovanni Battista; negli Atti è Gesù stesso che, prima di salire al cielo, annunzia agli Apostoli la discesa dello Spirito che li renderà Chiesa capace di testimoniare al mondo il Risorto: “riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra” (Atti 1,8).
Le parole di Gesù evidenziano un secondo elemento comune tra le due nascite: l’azione dello Spirito. Come la Chiesa nasce a Pentecoste solo con il dono dello Spirito Santo, così il Figlio di Dio diventa uomo per la potenza dello Spirito Santo che scende su Maria: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio” (Lc 1,35).
Un terzo aspetto simile tra le due nascite è costituito dall’annuncio dell’evento a terze persone: nel Natale sono gli angeli ad annunciare ai pastori la nascita del Bambino, a Pentecoste sono gli apostoli a parlare del Risorto facendosi comprendere ad ascoltatori di popoli, culture e lingue diverse. Un quarto elemento, forse più tenue ma non assente, è costituito dal fatto che chi riceve l’annuncio diventa a sua volta testimone e annunciatore. E’ la caratteristica della missionarietà. Nel Vangelo viene evidenziata a proposito di Anna: “sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme” (Lc 2,38). Negli Atti è una caratteristica dei credenti e non solo degli apostoli e dei “sette” (basti pensare all’evangelizzazione di Antiochia avvenuta a opera dei cristiani fuggiti da Gerusalemme a causa della persecuzione scoppiata dopo il martirio di Stefano: cf Atti 11,19-21).
Ci sono altri elementi che accomunano le due nascite, ma lascio al lettore volonteroso di approfondirli (per esempio, la preghiera e la lode). Accenno solo all’ultimo, che in realtà dovrebbe essere il più ovvio: la presenza di Maria. E’ lei al centro della nascita di Gesù, perché lei è la madre. Una madre di cui si sottolinea più che il ruolo di mamma (cui pure si accenna: “lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia”: Lc 2,7), quello di conservare, nel cuore (quindi nel centro più intimo della sua persona) e non solo nella memoria, ciò che vede, ascolta, prova: “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19); “sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore” (Lc 2,51). Perché Luca sottolineerebbe questo atteggiamento di Maria se non per dire che ella ha custodito e meditato i misteri del Natale per rivelarli alla Chiesa? E all’inizio della Chiesa c’è Maria. Un presenza discreta, non al centro della comunità e neppure degli apostoli (come la nostra fantasia pittorica ha spesso rappresentato), ma una presenza tra le altre. Una presenza silenziosa e in preghiera in attesa dello Spirito. Una presenza che univa nel suo cuore per l’intera Chiesa gli eventi del Natale con la Pasqua e la Pentecoste: la nascita di suo Figlio con la nascita della comunità destinata a essere il suo Corpo, la sua Sposa amata per la quale il Signore ha dato la vita (cf Ef 5,25). Per questo la fede della Chiesa l’ha, a ragione, riconosciuta come insieme madre di Dio e madre della Chiesa.
Alla sua intercessione, alla sua vicinanza possiamo chiedere di avere la grazia nel prossimo Natale di condividere la fede della Chiesa delle origini in Gesù, nato da donna, il nostro Salvatore, morto e risorto, che per mezzo dello Spirito ci ha fatto nascere come Chiesa.
Buon Natale!
Vesel Božič!
Bon Nadâl!
† Carlo Roberto Maria Redaelli