Sabato 10 dicembre si è svolta la Notte Caritas alla vigilia della 3^ domenica di Avvento, Giornata diocesana della Carità.
La Veglia di preghiera è iniziata con un pellegrinaggio in cui si è potuto visitare alcuni dei molti luoghi di carità presenti nella città di Gorizia ed ascoltare alcuni dei tanti testimoni che vivono la carità nella quotidianità.
La partenza del pellegrinaggio è stata la chiesa parrocchiale di San Rocco.
Qui hanno portato la loro testimonianza Roberto e Veronica, una giovane coppia che ha deciso di aderire al progetto “Rifugiato a casa”.
Davanti al San Giuseppe, luogo emblematico dell’accoglienza verso i migranti della nostra diocesi, si è pregato affinché diventiamo porte spalancate per accogliere chi arriva da lontano o ha perso la propria dimora.
La tappa successiva del cammino fra i molti luoghi di carità goriziani è stato l’Emporio della Solidarietà di via Faiti dove è stata proposta la testimonianza di una volontaria. Il pellegrinaggio è continuato fermandosi alla chiesa dei Cappuccini dove una volontaria della Mensa dei poveri ed una del Centro di Ascolto diocesano hanno raccontato la bellezza e la fatica di essere volontari. Davanti alla Casa circondariale di via Barzellini, due uomini carcerati hanno parlato della loro condizione di detenuti e di come la presenza dei volontari, del cappellano del carcere, don Paolo Zuttion, e di don Alberto De Nadai, sia fondamentale per alleviare la durezza della cella.
Dopo avere visitato i luoghi ed ascoltato persone che custodiscono l’Amore, nella cattedrale c’è stato l’incontro dell’Amore nelle parole del Vangelo e nell’Adorazione di Gesù fatto pane per noi.
Pubblichiamo di seguito l’intervento dell’arcivescovo Carlo
Che cosa ci ha spinto questa sera a uscire dalle nostre case, a metterci in cammino lungo le strade della nostra città in questa notte fredda? Il desiderio di conoscere luoghi e realtà di carità. Certamente. Come la struttura del San Giuseppe per i richiedenti asilo, l’emporio della solidarietà, la mensa dei poveri dei frati cappuccini, il centro di ascolto della Caritas, il carcere con la realtà del volontariato. Tutto questo ci ha spinto a uscire dal caldo delle nostre case. Ma non solo. Il nostro cammino ha voluto esprimere, almeno simbolicamente, anche una vicinanza, una solidarietà verso chi soffre, chi è nel bisogno, chi è in difficoltà. E’ stato quindi anche un itinerario di solidarietà.
Ma queste due risposte non bastano, in verità, a giustificare il nostro percorso di questa sera. C’è un motivo ancora più profondo che ci ha guidati ed è trovare una risposta vera alla domanda che Giovanni Battista per mezzo dei suoi discepoli ha rivolto a Gesù: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Sei tu il vero Messia? E se sì, il tuo modo di esserlo è quello giusto? Oppure, certo, tu non sei un imbroglione, sei sincero, ma forse sei al più solo un profeta come me?
Noi abbiamo ascoltato la risposta di Gesù, una risposta non diretta (non dice: “lo sono” o “non lo sono”), ma una parola che invita a vedere e a udire: «i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo». Noi questa sera siamo proprio andati a vedere, immedesimandoci nei discepoli del Battista. E abbiamo visto che davvero gli stranieri trovano accoglienza, gli affamati vengono nutriti, i poveri sono accolti, i prigionieri sono visitati e aiutati. Gesù allora è davvero il Messia e lo è facendosi solidale con i poveri.
C’è una seconda ragione che ci ha spinto a uscire stasera ed è proprio l’imparare ancora di più a riconoscere Gesù nei poveri. Tutti conosciamo bene la parabola del giudizio finale contenuta nel cap. 25 del Vangelo di Matteo. Ci dice che tutti, cristiani e non, verremo giudicati sul fatto di avere o non avere dato da mangiare all’affamato, da bere all’assetato, il vestito all’ignudo; sul fatto di avere o non avere accolto lo straniero, di avere o non avere visitato il malato e il carcerato. L’unica cosa che come cristiani ci distingue dagli altri è il fatto che da quando Gesù ha proclamato quel Vangelo noi, a differenza di loro, sappiamo. Sappiamo che nell’affamato, nell’assetato, nell’ignudo, nel forestiero, nel malato, nel carcerato c’è Gesù. L’itinerario di stasera è stato come un ripasso di questa verità, un imparare ancora di più a vedere nel povero e nel bisognoso la presenza del Signore.
Un terzo motivo del cammino di stasera riguarda da vicino noi, la nostra identità. Ci viene spontaneo definirci come coloro – e molti di noi in effetti lo sono – che danno una mano agli altri, a chi è nel bisogno. E’ vero. Ma non vorrei che dimenticassimo che possiamo fare così perché qualcun altro ha dato per primo una mano a noi. Anche noi siamo poveri, affamati, assetati, nudi, ecc. ma qualcuno ci ha amato e ci ha donato una famiglia, una casa, una educazione, una cultura, degli affetti, e così via. Da un punto di vista laico potremmo dire che siamo stati più “fortunati” di altri. Dal punto di vista cristiano dobbiamo invece dire che per grazia siamo stati amati e abbiamo sperimentato in abbondanza la misericordia di Dio.
Giovanni Battista – lo abbiamo sentito domenica scorsa – all’inizio della sua missione annunciava un Messia giudice, chiamato a condannare, a bruciare il male, a portare giustizia. La giustizia è importante e tutti abbiamo dentro il desiderio di giustizia: il bene non può essere confuso con il male e viceversa. Ma Gesù non è venuto a giudicare o a condannare, quanto piuttosto a salvare, a guarire, a purificare, a donare vita, a perdonare, ad annunciare il Vangelo ai poveri nel corpo e nello spirito, quel Vangelo che è la gioiosa notizia dell’amore di Dio da cui nessuno è escluso. Anche noi. Anzi abbiamo sperimentato più di altri l’amore e la misericordia di Dio. Proprio per questo possiamo – dobbiamo – a nostra volta donare misericordia e amore.
Ancora una volta la domanda su chi è Gesù si intreccia con la domanda su chi siamo noi. L’itinerario di stasera ci ha condotto a comprendere ancora di più come Gesù è Messia, a essere più capaci di riconoscerlo nel povero e nel bisognoso, a vederci noi anzitutto come poveri e bisognosi salvati dall’amore misericordioso di Dio.
Ora possiamo trasformare questo itinerario in preghiera, una preghiera per comprendere chi è Gesù, chi siamo noi, chi sono gli altri. Una preghiera piena di riconoscenza verso l’amore che ci è stato donato e che, per grazia, ci viene data la possibilità di testimoniare a nostra volta.
† Vescovo Carlo