La beatitudine del servire

Friday 2 September 2016

Il Ricreatorio Galupin di Romans d’Isonzo ha ospitato la XVII edizione di formazione per coloro che sono impegnati nell’evangelizzazione e nella catechesi.
Il tema di quest’anno è stato ’Dare carne alla Parola: i linguaggi della catechesi’ e si è svolto nelle giornate del 29-30-31 agosto e 1 settembre. Con questi quattro giorni è continuata la riflessione che ha per oggetto il rinnovamento della prassi dell’Iniziazione Cristiana, riscoprendo i linguaggi propri della fede e quelli umani, in particolari quelli narrativi, cinematografici e dell’arte, ognuno approfondito in un giorno diverso. Sono stati vari i soggetti che hanno collaborato per la realizzazione: dal Centro Pastorale all’Ufficio Catechistico, dall’Ufficio Comunicazioni Sociali all’Ufficio Liturgico; senza dimenticare chi ci ha ospitato la comunità parrocchiale di Romans d’Isonzo.

La prima serata
Lunedì 29 agosto il relatore don Marco Sanavio, direttore Ufficio pastorale per le comunicazioni sociali della diocesi di Padova, ha fatto riflettere sul tema del linguaggio narrativo e su come comunicare con i ragazzi e i giovani di oggi.
L’elettronica sta costantemente cambiando i nostri paradigmi di comunicazione.
In questa era di videogiochi, dove le icone sostituiscono l’alfabeto, c’è bisogno di un linguaggio simbolico per comunicare efficacemente con i giovani.
Per suscitare la loro curiosità è necessario utilizzare diversi metodi, come lo spostamento dei piani, tecnica usata dai borsaioli (quando urtano una persona per spostare la sua attenzione dal portafoglio alla botta subita), ma anche nel dialogo tra Gesù e la Samaritana (Gv 4, 1-42), dove la conversazione parte con la richiesta d’acqua da parte di Gesù e finisce con la domanda da parte della donna sulla ricerca di Dio.
Con il racconto si stabiliscono relazioni ed è un modo di procedere tipico delle pagine bibliche. Il racconto infatti ci permette di entrare nelle storie, sperimentando emozioni attraverso le quali conosciamo e incontriamo Gesù.
Un altro metodo, presentato il 29 agosto, è stato quello dello spostamento dei piani di narrazione per rendere più efficace la catechesi, fornendo indizi ai ragazzi in modo tale che siano loro a dover costruire il percorso logico.
I laboratori svolti hanno fatto riflettere sulle difficoltà nel comunicare in modo inter-diegetico, che prevede un ’entrare e uscire’ dalla coerenza del racconto, come accade nei videogiochi.
Infine, nella narrazione è necessario far attenzione al sonoro, che è determinante nel linguaggio simbolico, e al percorso divergente, che ci stimola ad essere originali e a stimolare i ragazzi con proposte sempre nuove per provocare la loro capacità di ricerca.

La seconda serata
Martedì 30 agosto grazie alla Dott.ssa Arianna Prevedello, responsabile progetti dell’Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Padova, si è riflettuto sul linguaggio cinematografico, uno dei mezzi più efficaci per avvicinare le persone alla fede.
Il cinema è una questione di sguardo, dove è importante saper lavorare sul dettaglio. Un film è un incrocio costante di messa in scena, messa in quadro e messa in serie, che spesso aiutano i ragazzi a far emergere le loro emozioni.
Dopo la visione di alcune scene tratte dal film “Il ragazzo con la bicicletta”, è seguita una riflessione sull’utilizzo degli audiovisivi nella catechesi.
È importante tenere in mente che l’audio-video può commuovere ma anche far scoprire disagi o ferite dell’esistenza dei ragazzi e bisogna avere la capacità di traghettare quel significato nella dinamica del gruppo.
Dopo la visione di scene tratte dal film ’Giraffada’, si è discusso sugli elementi oggettivi da far apprendere ai ragazzi, scoprendo il significato dei film decostruendo quanto visto perché oggi la velocità delle tecnologie impedisce appunto questa esperienza.
La Dott.ssa Arianna Prevedello ha concluso la serata con la frase: “Se aiutiamo i ragazzi a crescere con questo modello di comprensione, già abbiamo fatto molto.”

La terza serata
Mercoledì 31 agosto, guidati da don Antonio Scattolini del Servizio per la Pastorale dell’Arte Karis, ha avuto luogo il terzo incontro di formazione intitolato ’il Secondo Annuncio e l’Arte’, dedicata al linguaggio dell’arte, che annuncia, avvicina e introduce al Mistero.
Il relatore ha iniziato mostrando alcune persone che hanno scoperto o riscoperto la fede e tra i fattori che hanno contribuito alla loro conversione era menzionata la bellezza artistica. Queste testimonianze hanno fatto riflettere sul fatto che, non solo nell’arte, ma anche nel pensiero contemporaneo costatiamo l’emergere di una nuova sensibilità spirituale.
’Negli ultimi anni si stanno moltiplicando le esposizioni, le iniziative, le pubblicazioni e le creazioni ispirate esplicitamente al patrimonio cristiano.
L’arte è stata presente assai prima della scrittura ed è proprio perché essa va al di là dei nostri bisogni primari che ci rivela la nostra specificità umana.’
Don Antonio Scattolini ha poi posto questa domanda: “Quanto saremmo poveri senza l’architettura romanica… senza la pittura di Giotto e di Leonardo… senza le sculture di Michelangelo… senza le poesie di Dante?”.
Ha poi proseguito parlando dell’arte come simbolo di libertà, gratuità e ospitalità che ha bisogno di uno sguardo etico, (che si concentra sul vissuto del soggetto che lo guarda) estetico (rivolto più in profondità) ed evangelico (siamo chiamati a cogliere la ’bella notizia’ che l’opera può comunicarci).
Un certo sguardo della bellezza artistica può diventare antidoto contro gli stereotipi e può educare l’occhio a diventare “buono”.

La quarta serata
L’ultima serata, tenutasi giovedì 1 settembre, è iniziata con la presentazione del progetto “I nostri Battisteri” con la Dott.ssa Barbara Tomat, coordinatrice dell’Ufficio scuola della diocesi di Gorizia.
’L’arte permette di approfondire i contenuti della fede e questo è il contesto ideale per presentare gli esiti della ricerca sui nostri battisteri.’
I battisteri apparsi nel breve filmato mostrato si troveranno anche sotto forma di libro da titolo “Per farsi battezzare”. Questo libro è il risultato conclusivo della ricerca sui battisteri della diocesi. Hanno partecipato catechisti, ragazzi e le loro famiglie, ma anche sacerdoti che hanno aiutato nella ricerca dei testi e dei documenti per ricostruire la storia della comunità stessa.
Lo scopo di questo progetto è quello di riscoprire e rinnovare la fede per cogliere l’importanza del Battesimo.
Ha seguito poi la presentazione e la spiegazione del cammino dei fanciulli 6-8 anni e quello parallelo per l’accompagnamento dei genitori. Un piccolo, ma significativo passo, per rispondere alla richiesta di strumenti concreti e pratici, al desiderio di coinvolgimento dei genitori e al tentativo di rinnovamento partendo da alcune sperimentazioni.
Il percorso dei fanciulli secondo il modello del catecumenato va considerato come la fase della prima evangelizzazione e non può non considerare un coinvolgimento attivo dei genitori, poiché  siamo sempre più convinti della necessità e dell’importanza di avere figure adulte dalla fede adulta per far crescere al meglio quella delle nuove generazioni. Tra queste figure adulte sono soprattutto i genitori che devono ricoprire un ruolo centrale nell’educazione alla fede dei loro figli. È da qui che prende piede la proposta diocesana di un itinerario per accompagnare genitori a riscoprire la loro funzione di educatori alla fede e a riprendere in mano il loro cammino di fede.

Il mandato ai catechisti
Alle 20.30 è iniziata la celebrazione del mandato diocesano ai catechisti, educatori e animatori, presieduto dall’Arcivescovo Carlo Maria Redaelli.

Nella parrocchiale dedicata a Santa Maria Annunziata, l’arcivescovo Carlo ha presieduto la liturgia del “mandato” per i catechisti commentando il passo evangelico  Gv 13,17.

«Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica» (Gv 13,17).
Il termine “beato/beati” (makários/makárioi) nei Vangeli è un vocabolo pesante, forte. Purtroppo la traduzione italiana con “beato/beati” non rende tutta la pregnanza dell’originale. Beato, infatti, è una parola che ci fa riflettere su qualcosa al di fuori della nostra esperienza, ci fa pensare ai beati del cielo, non alla nostra realtà. Lo si usa poco nel linguaggio corrente, se non in qualche espressione proverbiale o ironica del tipo: «beata lei, che è riuscito ad andare in pensione; beata gioventù: beato te che non ti lamenti mai!; beato lui che non capisce niente!; beati gli ultimi, se i primi sono onesti». Anche tentare di rendere il “beato” evangelico con “felice”, “soddisfatto”, “contento”, ecc. non sembra trasmettere la forza del termine usato dal Signore. Perché Gesù non parla di una felicità o soddisfazione passeggera, ma della realizzazione piena e profonda della persona, della sua salvezza. In un certo senso, beato è allora sinonimo di “salvato”.
Giovanni non presenta come Matteo e Luca un elenco di beatitudini all’inizio di un discorso di Gesù, ma solo due beatitudini: quella del brano di oggi (Gv 13,1-12) che riguarda il servizio e quella detta a Tommaso – «beati quelli che non hanno visto e hanno creduto» (Gv 20,29) – che concerne la fede. Servizio e fede: binomio interessante…
Tornando alla beatitudine di oggi, è significativo che essa sia legata non al sapere, ma a un sapere che diventa messa in pratica. Tutti sappiamo bene che la vita, in particolare la vita cristiana, è servizio. Ma un conto è saperlo, un conto è viverlo. La beatitudine non sta nel sapere, ma nel praticare. Devo però correggere ciò che ho appena affermato: quello che sappiamo dal Vangelo non è tanto il principio che la vita è – o dovrebbe essere – servizio, ma quello che ha fatto Gesù. La beatitudine per il cristiano non è semplicemente servire in forza di un principio o di una convinzione interiore, ma è fare come Gesù. Già in altri passi dei Vangeli Gesù si propone come maestro da imitare e da cui imparare, qui però il gesto da Lui compiuto ha una rilevanza eccezionale. Siamo, infatti, nel contesto dell’ultima cena, alla immediata vigilia della passione. Per presentare quel gesto l’evangelista trascura persino di raccontare l’Eucaristia…
L’inizio del brano ha poi una solennità unica. Ve lo rileggo: «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, prese il pane, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli e disse …». Ci starebbe bene, no?, dopo quel preludio così solenne il racconto dell’Eucaristia… e invece il Vangelo così prosegue: «si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto».
Impressionante. E’ come se un grande musicista componesse un’ouverture incredibilmente bella, sonora e appassionante e poi proseguisse la sinfonia con una flebile e semplice melodia di un flauto dolce. Qualche esegeta ha tentato di dire che l’inizio del capitolo 13 non è il prologo alla lavanda dei piedi, bensì all’intera passione: ma il senso della passione è già tutto lì, in quel gesto da schiavo.
Servire come Gesù: quella è la nostra realizzazione. Servire dove ci viene chiesto, secondo la grazia ricevuta, come afferma Pietro nella prima lettura di stasera. Nella libertà, certo. Si può persino rifiutare quanto proposto, ma così si sceglie la tristezza e non la beatitudine, non si prende il largo – per citare il Vangelo della Messa di oggi -, ma ci si chiude nelle acque stagnanti del porto. Nella vita cristiana si è sicuri al largo e non in porto.
Grazia e non anzitutto compito o incarico: perché se servire è realizzarci, se ci viene data la possibilità di farlo è per noi una grazia di cui essere continuamente grati. Se ci è stata la grazia di essere catechisti, non possiamo che ringraziare continuamente il Signore.
Ci sono alcune condizioni per servire bene. Diverse sono indicate da Pietro (1Pt 4,7-11). Sarebbe da rileggere l’intero brano: la sobrietà, la preghiera, la carità, la non mormorazione.
Altre due condizioni sono presentate dal Vangelo. La prima è quella che Pietro è invitato a comprendere e cioè che è il Signore anzitutto che ci serve. Ci serve Lui per primo e ci servirà. Bellissime le parole contenute nel Vangelo di Luca, quando Gesù così descrive il premio per il servo fedele: «Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli» (Lc 12, 37). Noi siamo chiamati a servire solo in questa vita, nella vita futura e definitiva sarà il Signore a servirci: il gesto compiuto nell’ultima cena è quindi solo un anticipo di quello che il Signore prepara per noi.
La seconda condizione è quella messa in pratica da Gesù per servire: togliersi le vesti. Non si può servire impacciati da troppe vesti che esse siano il nostro orgoglio, le nostre aspettative, il nostro desiderio di riconoscimenti o di titoli, la nostra tendenza all’autocelebrazione,… tutto questo va lasciato da parte.
Stasera c’è un mandato per voi come catechiste e catechisti. In realtà, a nome del Signore e della Chiesa, non vi do un incarico ma vi dono la possibilità di essere beati. Qualcosa di grande e di bello di cui voi per primi essere riconoscenti.

+ vescovo Carlo

Dopo quattro giornate formative, è stata compresa l’importanza sui diversi linguaggi della catechesi.
Senza dare nulla per scontato, dobbiamo essere sempre in cerca di nuove tecniche e saper stimolare le capacità dei giovani in modo sempre originale e interessante. Solo così potremo sperare di stare al passo in questa era di Social Media, dove Pokèmon Go e Twitter fanno parte della vita quotidiana.

Vogliamo terminare ringraziando di cuore tutti coloro che hanno partecipato all’evento e quanti si sono dati da fare per la buona riuscita: chi ha fatto le riprese e chi ha cucinato, chi ha preparato le sale e la chiesa, chi ha curato l’esposizione dei libri, chi ha moderato i lavori di gruppo, chi ha animato i momenti di preghiera, i tecnici dei video e dei suoni, chi ha effettuato le iscrizioni, ecc. ecc. L’elenco sarebbe veramente lungo. Grazie!

Natalie De Vincetiis