La storia

Wednesday 24 March 2021

«Ne risulta l’opportunità e la necessità di dare degli avvenimenti una prospettiva ed una interpretazione tale da consentire anche ai meno provveduti un orientamento alla formazione di un’opinione che si inquadri nelle esigenze della vita comunitaria, nella precisa volontà di compiere un considerevole e doveroso servizio realizzando la visuale giusta degli avvenimenti». Parole tratte dall’editoriale apparso sul primo numero di «Voce Isontina»: la data sulla testata è quella del 16 febbraio 1964.

È trascorso mezzo secolo da: un tempo che per un periodico non è sintomo di vecchiaia ma testimonianza di non comune vitalità. Erano gli anni del Concilio ecumenico Vaticano II e l’allora Arcivescovo di Gorizia, mons. Andrea Pangrazio, volle dare una nuova impronta alla presenza della Chiesa nella società isontina. Solo poche settimane prima i padri Conciliari avevano approvato il Decreto sugli strumenti della Comunicazione (l’”Inter mirifica” ) con il quale la Chiesa compiva una scelta «di non ritorno»: «servirsi anche degli strumenti della comunicazione sociale per predicare l’annuncio della salvezza» impegnandosi per «insegnare agli uomini il retto uso degli strumenti stessi».

Di quest’opera di rinnovamento – al proprio interno e nel rapporto con il mondo – che la Chiesa stava compiendo, il settimanale diocesano non rimaneva escluso ma, anzi, diveniva parte fondamentale. Raccogliendo, in questo modo, quel mandato di testimonianza che – anche nei nostri territori – aveva visto, dalla fine del secolo precedente, la nascita di tutta una serie di fogli di informazione di ispirazione cattolica: dall’«Eco del Litorale», all’«Idea del Popolo», a «Voce diocesana»…

Un gruppo di giovani raccolse l’invito loro rivolto da mons. Pangrazio attraverso il primo direttore, mons. Maffeo Zambonardi. Provenivano in gran parte dall’associazionismo cattolico ed erano espressione di quel mondo della Cultura che stava coraggiosamente cercando di far uscire Gorizia e la sua provincia dall’isolamento in cui erano state relegate poco meno di quattro lustri prima. Un isolamento certamente fisico, provocato da un confine sempre incombente, segnato dal filo spinato e dalle armi spianate ma anche, soprattutto, interiore: ancora troppo sanguinanti erano le ferite causate alla fine della seconda guerra mondiale dall’odio lacerante dei nazionalismi.

«Voce Isontina» seppe affiancare l’Istituto per gli incontri culturali mitteleuropei e il Centro studi «Rizzatti» in quel cammino (che oggi, col senno di poi, possiamo ben definire profetico) che attraverso la cultura cercava di ristabilire ponti fra coloro che avevano cessato di dialogare, percorrendo strade di riconciliazione per la riscoperta  di  una  memoria  di  comune  sofferenza.  La  città,  grazie  anche  al Concorso «Seghizzi» ed al Festival del folklore, si poneva come un laboratorio fra  popoli  (il  latino, lo  slavo  ed  il  tedesco)  in quel  momento  divisi  ma che per secoli qui si erano incontrati  imparando,  nel dialogo, a superare le reciproche diffidenze.

Da  allora,  settimana dopo  settimana,  «Voce isontina»  ha  sempre  cercato  di  rimanere  fedele  al mandato  che  le  era  stata affidato  al  momento  della  sua  fondazione:  essere giornale  «della  Chiesa»  e non  giornale  «di  chiesa».

Una  differenza  apparentemente  labile  ma  in  verità fondamentale in quanto «la sua  ecclesialità  non  consiste  in  una  delimitazione aprioristica  di  contenuti ma  nella  sua  origine  cattolica, nel suo stile di fare notizia, nella scelta e nella capacità di leggere tutti gli avvenimenti,  anche  i  più laici, a partire dalla luce del Vangelo e dalla verità dell’uomo. Con tutto quello che ciò comporta in termini, ad esempio, di essere parte attiva nel dibattito politico. E ciò avviene nella misura in cui quest’ultimo non si riduce a mero scontro partitico ma riscoprendosi luogo di costruzione del bene comune, sa essere «la più alta forma di carità».

Già dall’aggettivo qualificativo della testata («isontina»), il settimanale evidenziava il proprio rapporto col territorio. Un’attenzione che non è mai ridotta a chiusura campanilistica ma ha espresso un preciso radicamento nella realtà concreta della propria gente, il luogo in cui la Chiesa può attuare quel patto con la società civile sottolineato dalle prime parole della «Gaudium et Spes»: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».

Dopo quasi 15 anni, nel gennaio 1979, mons. Maffeo Zambonardi lasciò la guida a don Renzo Boscarol, nominato direttore responsabile dall’arcivescovo monsignor Pietro Cocolin: il suo incarico si protrasse per oltre 19 anni sino all’agosto 1998.

Dal mese di settembre e fino al dicembre 1998 assunse la direzione l’allora arcivescovo padre Antonio Vitale Bommarco, in attesa che il direttore designato, il prof. Andrea Bellavite, potesse sbrigare le formalità previste dall’Ordine dei giornalisti per l’iscrizione nel relativo Albo, come avvenne nel gennaio 1999.

La direzione di don Bellavite si protrasse per oltre 8 anni sino all’aprile 2007 quando l’arcivescovo monsignor Dino De Antoni nominò direttore responsabile monsignor Giuseppe Baldas e, sei mesi dopo, affidò la responsabilità di «Voce Isontina» a Mauro Ungaro (già dall’autunno 2006 condirettore del settimanale di cui era caporedattore dal gennaio 1993) che dal 2020 è stato anche chiamato a presiedere la Federazione italiana settimanali cattolici.

Dal 1979 al 1998, vicedirettore del settimanale fu il poeta e scrittore Celso Macor mentre, dal 1974 al 2005, il professor Arnolfo De Vittor fu il presidente del Consiglio per l’amministrazione, incarico in cui dal 2006 al 2013, gli succedette il dott. Giorgio Gratton.

Ma i direttori sanno che il loro è un servizio a tempo.

Se «Voce Isontina» ha raggiunto la tappa del mezzo secolo di vita, lo deve, prima di tutto, da due fedeltà. Quella delle centinaia e centinaia di collaboratori (e fra essi tanti giovani) che in questo mezzo secolo hanno fatto e fanno giungere (gratuitamente!) i loro contributi settimanali in redazione: dal testo scritto a mano, con calligrafie spesso difficili da interpretare, si è passati a quello scritto a macchina ed ora al file inviato per posta elettronica. Cambiano i supporti «tecnici» ma rimane quell’impegno che permette a «Voce Isontina» di mantenere un legame davvero stretto con quelle comunità locali di cui racconta la vita quotidiana ed anche la fatica di rendere ragione della Speranza propria di ogni credente.

E poi quella dei lettori. Di coloro che, in molti casi ormai da decenni, sostengono il settimanale diocesano con una vicinanza economica (attraverso l’acquisto in chiesa o in edicola o l’abbonamento annuale) e spirituale (nella preghiera):  esse  permettono,  nonostante  il  non  facile  momento  economico che così pesantemente incide anche sul mondo dell’editoria, di guardare con fiduciosa speranza al prossimo mezzo secolo di vita di Voce Isontina.

I DIRETTORI

1964 – 1978: Mons. Maffeo Zambonardi

1979 – 1998: Don Lorenzo Boscarol

1998: Padre Antonio Vitale Bommarco, arcivescovo di Gorizia

1999 – 2007: Prof. Andrea Bellavite

2007: Mons. Giuseppe Baldas

dal 2007: Cav. Uff. Mauro Ungaro

I PRESIDENTI DEL CONSIGLIO PER L’AMMINISTRAZIONE

1974 – 2005: Prof. Arnolfo De Vittor

2006 – 2013: Dott. Giorgio Gratton