Il cristiano dei giorni feriali
L'intervento del vescovo Carlo alla serata conclusiva dell'Assemblea diocesana 2016 tenutasi presso l'oratorio della parrocchia dei Santi Nicolò e Paolo in Monfalcone
15-06-2016

La gioia del Vangelo e il grazie

I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli. In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo». E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono» (Lc 10,17-24).
Ho voluto iniziare questo mio intervento leggendovi un brano tratto dal Vangelo di Luca che presenta il ritorno dei settantadue discepoli inviati da Gesù in missione. Un ritorno pieno di gioia sia nei discepoli sia in Gesù, che esulta nello Spirito benedicendo il Padre.
C’è un dono particolare di gioia proprio dei cristiani che non è stato dato ai “molti profeti e re” dell’Antico Testamento: è la gioia di annunciare la bella notizia del Vangelo, della salvezza che viene da Gesù. Quell’Evangelii gaudium che papa Francesco ha proposto con un suo documento programmatico, intitolato così, alla Chiesa intera e specificamente alla Chiesa italiana riunita a Firenze: «Sebbene non tocchi a me dire come realizzare oggi questo sogno [il sogno, diceva un attimo prima, di “una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza”], permettetemi solo di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni, specialmente sulle tre o quattro priorità che avrete individuato in questo convegno. Sono sicuro della vostra capacità di mettervi in movimento creativo per concretizzare questo studio. Ne sono sicuro perché siete una Chiesa adulta, antichissima nella fede, solida nelle radici e ampia nei frutti. Perciò siate creativi nell’esprimere quel genio che i vostri grandi, da Dante a Michelangelo, hanno espresso in maniera ineguagliabile. Credete al genio del cristianesimo italiano, che non è patrimonio né di singoli né di una élite, ma della comunità, del popolo di questo straordinario Paese».
Siamo giunti a conclusione del nostro cammino di tre giorni. E’ giusto gioire per quanto abbiamo vissuto e ringraziare. Anzitutto dire grazie al Signore che ci ha radunati e allo Spirito Santo che ci assiste e ci assisterà anche nel cammino di attuazione di quanto ci ha fatto comprendere. Occorre poi ringraziare chi ha preparato e guidato questa assemblea, i coniugi Valentina e Francesco Longo che ci hanno offerto la loro significativa testimonianza e tutti voi che, in diverso modo, vi avete partecipato, in particolare nei lavori di gruppo di ieri sera.
Dobbiamo evitare di dare per ovvio che un insieme qualificato di laici, di diaconi, di religiosi e religiose e di sacerdoti in rappresentanza di tutta la nostra Chiesa, si trovi per tre giorni a pregare, riflettere, confrontarsi e proporre degli orientamenti. Non è qualcosa di scontato, ma è una grazia, un dono del Signore ed è anche frutto di cammini personali di crescita nella fede e di un atteggiamento comune di stima reciproca e di corresponsabilità cresciuto negli anni.
Grazie anche per le testimonianze di vita cristiana “feriale” che avete offerto nei gruppi. Ne cito solo alcune come segno di una realtà molto più vera e diffusa di quanto si creda: la Chiesa – la nostra Chiesa – è questo tessuto semplice e quotidiano di preghiera, parole, azioni, gesti, accoglienze, ascolti, ecc. ispirati al Vangelo.
Una di voi, per esempio, ha raccontato che una volta il suo direttore l’aveva chiamata in ufficio e le aveva chiesto: “perché oggi i suoi occhi non ridono?”. Da quella volta aveva imparato a scrutare gli occhi degli altri e a scoprire le loro fatiche prendendosene cura. Un’altra signora diceva che quando lavorava full time e pranzava in mensa faceva il segno della croce prima di mangiare e non aveva paura di raccontare la propria vita e di dire che domenica va a messa e fa catechismo… Sempre una signora ha detto che l’esperienza di essere catechista di un ragazzo autistico l’ha trasformata. Un’altra testimonianza è quella di chi, impegnato in un gruppo di preparazione al Battesimo, ha detto che esso è una valida esperienza in uscita perché oltre alla parte spirituale si inserisce l’aspetto psico-pedagogico di accompagnamento delle famiglie e crea nel tempo belle relazioni. C’è stato poi chi ha sottolineato che anche confortare una persona che telefona per raccontare il proprio disagio, la propria sofferenza, è pregare con lei e per lei. Un’altra esperienza è quella di chi, andando a trovare a casa gli anziani o i malati, portando loro la Comunione o facendo un servizio per loro, a volte riesce a parlare e a confrontarsi anche con altre persone non cristiane o non credenti come talvolta le badanti o le infermiere: è successo che più di qualcuna si sia avvicinata alla fede o semplicemente abbia cambiato la sua idea di Chiesa. Concludo questa esemplificazione con un’ultima bella testimonianza: una mamma con un figlio down è stata aiutata molto dalla comunità parrocchiale; frequentando le varie attività, tra cui la catechesi, il bambino è stato accettato e ben accolto da tutti gli altri bambini e famiglie tanto che anche altre famiglie della città, che vivono simili situazioni non facili, si sono avvicinate alla parrocchia.

Perché “chi è il cristiano nei giorni feriali”?

​Una domanda che immagino più di qualcuno si è posto in questi giorni è stata: perché riflettere su chi è il cristiano nei giorni feriali, nel quotidiano? Perché scegliere questo come tema del prossimo anno pastorale?
​Una prima risposta da dare consiste nell’evidenziare la coerenza e la continuità con il cammino percorso in questi ultimi tre anni. Siamo partiti domandandoci “chi è la Chiesa” alla luce dell’esperienza della prima comunità cristiana, normativa per tutte le successive generazioni cristiane, come ci viene presentata negli Atti degli apostoli. Diverse parrocchie e realtà ecclesiali si sono anche impegnate a scrivere i propri “atti della comunità” per cercare di riesprimere per l’oggi gli elementi essenziali della Chiesa (e sarebbe interessante riprendere in mano ogni tanto quel testo, che non voleva essere una esercitazione teorica, ma una traccia per guidare e verificare un cammino). Nell’anno seguente si sono riprese alcune caratteristiche della Chiesa, sottolineando il suo essere “Chiesa che ascolta e accoglie”. Infine, nell’anno pastorale che si sta chiudendo abbiamo pregato e riflettuto sulla domanda “chi è il cristiano” seguendo l’itinerario tracciato dall’evangelista Luca, avendo sempre come prioritario l’interrogativo “chi è Gesù”. Ora è tempo di vivere l’essere cristiano non solo alla domenica o nelle attività specificamente intraecclesiali (che tutti voi in diverso modo attuate – quali la catechesi, il servizio liturgico, l’animazione caritativa, la corresponsabilità pastorale, ecc. -), ma in ogni momento della giornata e nei diversi ambiti di vita.
​Una seconda risposta – solo in apparenza estrinseca – è data dal fatto che la Chiesa italiana cerca da tempo, anche se a volte con una certa fatica e non sempre con esiti del tutto soddisfacenti, di sottolineare l’incarnazione del Vangelo nella vita ordinaria. Ne sono segno i cinque verbi del Convegno ecclesiale di Firenze, che ci hanno guidato ieri sera – uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare -, ma anche i cinque ambiti di vita individuati dieci anni fa dal precedente Convegno ecclesiale di Verona: la vita affettiva, il lavoro e la festa, la fragilità umana, la tradizione, la cittadinanza. Noi, ovviamente, siamo all’interno del cammino della Chiesa italiana e, con la nostra originalità, ci sentiamo in sintonia con quanto essa va scoprendo e maturando nel corso degli anni, sia a livello di analisi della situazione sia come proposta secondo il Vangelo.
​Esiste però un motivo più urgente ed attuale che spiega la scelta di privilegiare il cristiano nella vita feriale ed è il fatto del venir meno proprio negli ambiti appena elencati di “segni” espliciti di fede o, per lo meno, di religiosità. Parlo di “segni” e non di realtà, perché sono consapevole che si trattava – quando c’erano – di qualcosa a volte di molto labile e spesso non privo di ambiguità. Erano, in ogni caso, richiami alla sfera religiosa che potevano aiutare le persone nel loro cammino cristiano. Sto pensando alla società – sia a livello civile che propriamente politico – che trovava nel calendario religioso, almeno in parte, il proprio ritmo vitale o che comunque aveva riferimenti espliciti – a volte solo formali, a volte autentici – a valori religiosi o almeno di ispirazione religiosa. Mi riferisco poi alla scuola che pure vedeva la presenza di orientamenti valoriali e segni di natura religiosa. Ma soprattutto occorre ricordare la famiglia come ambito in certi casi convintamente religioso, in altri con la presenza comunque, soprattutto in alcuni suoi membri (le mamme, le nonne, ma a volte anche i papà e i nonni), di una vita di fede trasmessa quasi naturalmente ai più piccoli come qualcosa ritenuto essenziale e importante. Dicevo a questo proposito lo scorso giovedì santo nell’omelia della Messa crismale: «Spesso nelle famiglie c’è una afasia completa sui temi, i contenuti e i gesti della fede. I bambini non crescono più come credenti, ma neppure come atei (l’ateismo presuppone l’ipotesi di Dio per poi negarla). Si potrebbe dire che crescono come a-credenti. Molti adulti sono già così o lo sono diventati di ritorno: a-credenti. E in un mondo di a-credenti che cosa dobbiamo fare?».
​Appunto: che cosa dobbiamo fare? Siamo tutti bravi nelle analisi e nelle relative lamentele, ma poi non sappiamo come muoverci o ricadiamo nella ripetizione di quanto si è fatto finora pur sapendo che quasi certamente non produrrà i frutti sperati (un classico esempio è quello del catechismo dei ragazzi, che per la maggior parte dei casi non ha alcun aggancio nella vita della famiglia, stante l’afasia di cui di diceva, e, quindi difficilmente produce frutti continuativi).
Non possiamo più sperare in un sostegno continuativo o, almeno, un aiuto alla vita cristiana da parte della politica, della società, della cultura, della scuola e della famiglia. Richieste ufficiali in questi ambiti si possono anche fare, ma a volte possono essere controproducenti o comunque inutili. Faccio un esempio: un insegnante di religione mi ha fatto presente in questi giorni che nel prossimo anno scolastico nella nostra regione il giovedì santo sarà un giorno di scuola. Dobbiamo protestare come Chiesa? Certo si può fare presente la cosa nelle sedi opportune, ma a quanti studenti interessa? a quante famiglie?
​Che cosa fare, allora? La proposta del Vangelo vissuto nella vita feriale può essere qualcosa di utile a superare l’a-religiosità. Vorrei articolarla con riferimento a tre soggetti.

L’operatore pastorale come “cristiano dei giorni feriali”

​Un primo soggetto siete voi che non limitate il vostro essere cristiani alla sola frequenza della Messa domenicale: membri dei consigli pastorali e degli affari economici, catechisti, ministri straordinari della Comunione, operatori della caritas, animatori della liturgia, educatori, ecc. Tutte cose bellissime, ma è necessario un salto di qualità: senza pretese, con molta umiltà, senza manie di proselitismo, è necessario che siate più esplicitamente cristiani lì dove vivete.
​In famiglia anzitutto: la propria, quella dei figli, dei nipoti, dei conoscenti. Tutte realtà, anche quelle vicine a voi, che spesso non sono più la classica famiglia, ma sono convivenze, famiglie nate da divorzi, da fallimenti. Come essere cristiani in questi contesti? Intanto non aver paura di esserlo e che gli altri lo sappiano. E poi agendo con tutto ciò che sappiamo e che l’altra sera la coppia di amici ci ha ricordato: capacità di ascolto, di dialogo anche su temi religiosi quando c’è disponibilità (ma con l’atteggiamento indicato da san Pietro nella sua prima lettera: siate «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza»: 1Pt 3,15-16), pazienza, vicinanza nei momenti difficili, vero affetto per le persone, ecc. Insomma, facendo trasparire sempre la gioia del Vangelo e che l’essere cristiani ci rende più autenticamente umani, ovviamente con i nostri difetti e le nostre fatiche, persone vere.
Vivere poi gli stessi atteggiamenti dove lavoriamo od operiamo con in più una reale disponibilità a non fuggire le responsabilità – anche se faticose e, persino, fastidiose – e a vivere in concreto i valori dell’onestà, della giustizia, della solidarietà, del rispetto delle persone. Una verifica molto semplice per vedere se si sta realizzando tutto questo consiste nell’osservare a chi si rivolge qualcuno con cui ho a che fare – un collega di lavoro per esempio – quando ha bisogno di confidare delle situazioni familiari, dei problemi (malattie, lutti, preoccupazioni per i figli, ecc.) o anche delle gioie (la nascita di un figlio o di un nipote, il matrimonio di un figlio, ecc.). Se viene a cercare proprio me, vuol dire che ha capito che, nonostante i miei difetti, c’è in me un atteggiamento di ascolto e di attenzione alla persona, ci sono dentro di me delle convinzioni profonde che danno senso alle gioie e alle sofferenze della vita e che in qualche modo traspaiono dalle mie parole e dai miei atteggiamenti.
Non cito altri ambiti, ma penso sia facile per voi fare degli altri esempi di vita quotidiana dove traspaia il Vangelo. Non vorrei, però, che ci dimenticassimo di vivere l’accoglienza del Signore nei poveri, negli ammalati, nei richiedenti asilo, nei carcerati, ecc. A questo proposito Papa Francesco a Firenze – raccomando a tutti di leggere il suo intervento – ha significativamente proposto alla Chiesa italiana due icone evangeliche: la pagina del giudizio finale (“Avevo fame, avevo sete, ero forestiero, nudo, malato, in carcere…”) e quella delle beatitudini.
Certo si può vivere tutto questo se ci sono delle condizioni per la nostra vita di fede. Se c’è anzitutto la preghiera, come continua e non occasionale presenza del Signore nella vita. Ciascuno può trovare il proprio modo di pregare: dall’Ave Maria mentre si pulisce l’insalata, al rosario seguito alla televisione, ai canti mentre si è in auto, alla Messa quotidiana… (l’anno scorso le catechesi quaresimali – non solo le mie parole, ma anche le significative risonanze di chi vi aveva partecipato – avevano tentato di offrire una semplice scuola di preghiera).
Occorre poi nutrirsi con perseveranza della Parola di Dio con un confronto serio e impegnato, che esige un “lavoro” sul testo del Vangelo e della Bibbia e non si accontenta di una lettura (o di un ascolto) veloce e distratto. Vorrei che non perdessimo di vista le semplici indicazioni di “lectio” date nella lettera pastorale di quest’anno in riferimento al Vangelo di Luca, ma che esse diventassero il metodo abituale con cui personalmente o in gruppo accostiamo ogni giorno la Parola di Dio (e spero che per l’inizio del nuovo anno liturgico ci sia la possibilità di offrire una traccia di “lectio” del Vangelo dell’anno, quello di Matteo).
Decisiva è poi la Messa domenicale, ricordandoci che non si è cristiani per andare a Messa, ma si va a Messa per essere cristiani.
Grande aiuto poi ci può venire dall’essere parte di una comunità parrocchiale autentica e vivace o se abbiamo l’opportunità di frequentare un’associazione, una fraternità, un movimento ecclesiale che dia nutrimento alla nostra spiritualità (ovviamente senza chiusure o ripiegamenti, ma in collaborazione con le altre realtà e con le parrocchie e la diocesi).
Altre cose – per esempio la necessità del sacramento della riconciliazione o l’opportunità di un riferimento spirituale – le conosciamo bene. Ma voglio concludere questo punto dicendo che la proposta di vivere il Vangelo nei giorni feriali non è altro che la proposta della santità nella vita quotidiana. Una santità che non è nostro sforzo, nostro impegno, ma accoglienza del dono di Dio, del suo Spirito, della sua misericordia: il giubileo, che stiamo vivendo, e gli interventi continui di papa Francesco dovrebbero aiutarci in questo.

Da cristiano “della domenica” a cristiano “dei giorni feriali”

​Un secondo soggetto cui proporre di vivere il Vangelo nella vita feriale è costituito da quei cristiani che più o meno regolarmente frequentano la Messa domenicale. Spesso nei loro confronti la proposta fatta dalle nostre comunità è quella di impegnarsi in prima persona nella parrocchia stessa. Si sa, tutti i parroci hanno bisogno della collaborazione di nuovi catechisti, lettori, cantori, operatori della caritas, animatori dei ragazzi, ecc.: è quindi naturale un appello rivolto alle persone che vengono alla Messa domenicale perché si mettano in gioco. Così facendo però esiste il rischio di identificare il cristiano, il cristiano autentico, impegnato, con l’operatore pastorale e non invece di evidenziare che il cristiano, in particolare il cristiano laico, è colui che vive il Vangelo nella realtà di ogni giorno, è colui che – come sopra si diceva – non è cristiano per venire a Messa, ma viene e partecipa alla Messa per essere cristiano nella vita quotidiana.
​Come far passare questo messaggio? Un messaggio decisivo perché ci sia una presenza cristiana nei diversi ambienti di vita e in particolare nella famiglia? Se, infatti, anche per le famiglie che frequentano con una certa fedeltà la Messa domenicale, tutto ciò che concerne la fede, negli altri sei giorni, è “tabù”, non è possibile per esempio una reale iniziazione cristiana dei figli. Come fare? Attendo suggerimenti anzitutto dal consiglio presbiterale, da quello pastorale, dai decani e dai vicari (ma potete anche scrivermi all’indirizzo mail: vescovo@arcidiocesi.gorizia.it: vi assicuro che vi leggo, anche se non riuscirò spesso a rispondervi per mancanza di tempo): la programmazione del prossimo anno pastorale non finisce infatti questa sera, ma si concluderà solo a settembre quando la nuova lettera pastorale verrà presentata a tutti i decanati.
Ho in mente già ora – ve le presento – quattro opportunità, di cui due già note e in parte sperimentate. La prima è l’idea di scrivere una mia lettera semplice e non troppo lunga al “cristiano della domenica”, da diffondere e distribuire nelle parrocchie a chi frequenta. Una lettera in cui proporre un Vangelo feriale da semplice cristiano. E’ una buona idea? Forse…, soprattutto se il testo non verrà collocato su un tavolino in fondo alla chiesa ma verrà offerto a parenti, amici, conoscenti da voi stessi.
La seconda opportunità è quella offerta dai molti adulti, in genere giovani adulti, che si riavvicinano alla Chiesa per chiedere il sacramento della Confermazione e – qualcuno sta incominciando – a chiedere anche il Battesimo. Da un paio d’anni c’è un’attenzione specifica per loro, con risultati promettenti. Occorre ringraziare chi lavora in questo ambito. Vedo con gioia che non si propone a questi “ricomincianti” o “incomincianti” – parole non eleganti, ma che rendono l’idea – non una dottrina, un catechismo preconfezionato, ma il Vangelo e la scoperta di Gesù. Chiedete a chi li accompagna come è bello vedere la gioia di persone con storie diverse, e a volte – pur con età relativamente giovani – alquanto complicate e sofferte, che incontrano per la prima volta sul serio la proposta cristiana, scoprono di avere un Padre misericordioso, si entusiasmano di Gesù, ascoltano con gusto le parabole, hanno voglia di testimoniare ai loro bambini e ai conoscenti la fede. Con il prossimo anno pastorale dovremmo riuscire ad avviare un servizio di catecumenato rivolto agli adulti che devono completare o cominciare un cammino di iniziazione cristiana, per raccogliere e coordinare le belle esperienze già in atto, dare indicazioni, far crescere l’attenzione a questi nuovi cristiani nelle comunità.
Una terza opportunità, in parte analoga, è data dai percorsi di preparazione al matrimonio, che anche la recente esortazione apostolica di papa Francesco “Amoris laetitia” può aiutare a rilanciare, all’interno di una più vasta e rinnovata attenzione alla famiglia che vorremmo realizzare anche avviando come uno dei frutti del giubileo il “punto famiglia”.
Un’ultima e fondamentale possibilità di proporre un cristianesimo quotidiano è data dalla proposta presentata qui un mese fa, ma forse non ancora ben precisata e accolta, di un’attenzione specifica ai genitori dei bambini e dei ragazzi dell’iniziazione. Non si tratta di proporre un paio di incontri ai genitori per qualche istruzione o dettaglio tecnico per la celebrazione, ma un cammino di coinvolgimento nel percorso di fede dei loro figli che faccia riscoprire la loro e vinca il “tabù” circa la fede e la vita cristiana in famiglia. L’ufficio catechistico con un buon gruppo di catechisti ha lavorato molto quest’anno per raccogliere esperienze e preparare dei sussidi. Siccome talvolta si lamenta l’assenza da parte del vescovo di indicazioni precise, vorrei dire che questo impegno a favore dei genitori non è un auspicio generico, ma è una voluta scelta diocesana che chiede l’accoglienza e la collaborazione di ogni parrocchia.
Una scelta che è connessa con l’altra proposta dell’Ufficio catechistico (e del vescovo…) di dare attenzione alla fascia dei 6-8 anni: un’età particolarmente disponibile per l’incontro con Gesù sia per i bambini, sia per i genitori. In questo caso non ci sono solo dei sussidi, ma già il tesoro di esperienze di diversi anni. Vorrei che tutte le parrocchie cercassero di avviare questa attenzione, anche collaborando insieme. Conosco l’obiezione: si fa fatica a trovare catechisti e catechiste per le fasce tradizionali della catechesi, come si fa a chiedere altre disponibilità? Rispondo che la fascia di età tra i 6 e gli 8 anni, soprattutto se coinvolge anche i genitori, permette tra l’altro di proseguire molto più facilmente nel cammino successivo: spostare una catechista in questa fascia non è una perdita, ma un guadagno (e la speranza è quella di coinvolgere qualche genitore che, convinto della propria diretta esperienza positiva, possa poi aiutare altri).

Una comunità cristiana per i giorni feriali

​Vorrei concludere riferendomi a un ultimo soggetto chiamato a vivere il Vangelo nei giorni feriali: le comunità cristiane. Affinché siano delle comunità che favoriscono la vita cristiana nei giorni della settimana e negli ambiti quotidiani è necessario che operino delle scelte. Ne indico, a titolo di esempio, solo alcune.
La prima, che può sembrare paradossale visto che parliamo di vita cristiana nei giorni feriali, è quella di valorizzare al massimo la domenica. Anzitutto la Messa domenicale. Come già chiedevo un paio d’anni fa, sarebbe importante che, compatibilmente con la realtà locale e anche con la concreta disponibilità dell’edificio di culto, si arrivasse a un’unica Messa comunitaria domenicale (non escludendo evidentemente, qualora fosse effettivamente necessario, la presenza di altre Messe offerte a chi non può partecipare a quella principale; ma su questo chiederei che ci fosse un accordo tra le parrocchie vicine in modo da offrire diverse opportunità di orario, evitando però la moltiplicazione delle celebrazioni). La Messa comunitaria potrebbe essere effettivamente tale – come già avviene in alcune parrocchie – se fosse all’interno di un tempo dove la comunità cristiana si ritrova e le persone, anche le nuove (trasferite da poco sul territorio della parrocchia o, per qualche motivo, “ricomincianti”) vengono accolte (e magari, per chi ha difficoltà, accompagnate da casa e poi riaccompagnate); se si pensasse a offrire a tutti qualche semplice e familiare occasione di riflessione e di confronto o di amicizia conviviale; se la Messa manifestasse la sua natura comunitaria anche nei confronti di chi vi è impedito a partecipare, attraverso l’opera dei ministri straordinari della Comunione che, partendo dalla celebrazione dopo la distribuzione dell’Eucaristia, raggiungessero anziani e malati della comunità, garantendo a loro, se lo desiderano, di nutrirsi tutte le domeniche dell’Eucaristia e di sentirsi uniti all’intera comunità.
A proposito della domenica ricordo che la pastorale giovanile diocesana proporrà il prossimo anno tre domeniche comunitarie ai ragazzi e ai giovani non per “rubarli” alle parrocchie, ma per educarli a un modo diverso di vivere la domenica. Una modalità che poi potranno riprodurre nelle loro comunità.
Una seconda indicazione, suggerita anche da qualche gruppo di ieri sera, è quella di potenziare la visita alle famiglie e ai malati da parte dei sacerdoti, ma anche da parte dei ministri straordinari della Comunione e altri incaricati delle parrocchie. Ho l’impressione che talvolta si sia rinunciato con troppa facilità a questa opportunità di incontrare le persone nelle loro case. Capisco che i sacerdoti sono pochi e molto impegnati, ma una qualche forma di visita alle famiglie va ripresa (per esempio di quelle dove ci sono malati, disabili o anziani infermi; quelle dei bambini da battezzare o dei ragazzi dell’iniziazione).
Un’altra indicazione si riallaccia al problema dei sacerdoti molto impegnati e la riassumerei in uno slogan: meno Messe e più accompagnamenti. Capitemi bene: non va tolto nulla al valore delle Messe, ma non ha senso che un sacerdote passi di corsa da una celebrazione all’altra, magari partecipate da pochissimi fedeli, e non abbia il tempo per ascoltare, accompagnare, aiutare le persone. Le unità pastorali già esistenti e quelle che via via nasceranno potranno aiutare a operare queste scelte (a proposito delle unità pastorali, preciso che non ci si è dimenticati del tema, ma che di esse, recuperando il lavoro fatto dai presbiteri e dai diaconi nei decanati, se ne parlerà nel prossimo consiglio presbiterale e anche in quello pastorale, con l’intento di confermare quelle esistenti, di incominciare o rafforzare in esse un vero lavoro di pastorale di insieme e di impegno missionario, e di avviarne progressivamente e con pazienza altre).
Una quarta scelta è quella di una maggiore attenzione ai concreti orari delle persone per quanto riguarda le celebrazioni, l’apertura delle chiese, le possibilità delle confessioni, ecc. Ci sono già belle esperienze in merito e anche quella delle “oasi della misericordia” sperimentate nell’anno giubilare può offrire qualche suggerimento.

​Concludo rinnovando a tutti il grazie per l’impegno e attendendo suggerimenti e indicazioni dai diversi organismi e da chi di voi vorrà farmeli pervenire. Il Signore vi dia il “pane quotidiano” della sua Grazia per vivere ogni giorno con gioia il Vangelo. Grazie.

+ vescovo Carlo