Nella prima comunità cristiana esistevano i consigli pastorali?
Intervento dell’Arcivescovo all’incontro di formazione dei Consigli pastorali parrocchiali rinnovati a Gorizia e Cervignano
11-01-2014

Pensando a che cosa dirvi in questa circostanza, mi è tornata in mente una scoperta curiosa fatta qualche anno fa correggendo le esercitazioni dei miei alunni di un corso che riguardava, tra l’altro, anche statuti e regolamenti di consigli pastorali. L’esercitazione consisteva nello stendere appunto uno statuto, un direttorio per i consigli. Leggendo gli elaborati degli studenti americani, ho notato che tutti, invece di precisare le modalità della gestione dell’assemblea, delle votazioni, delle deliberazioni, ecc., rinviavano a delle fantomatiche “Robert’s rules of order”.

Ho chiesto allora lumi ai miei alunni statunitensi e mi hanno spiegato che questo signor Robert era un generale dell’esercito americano vissuto tra la metà del XIX e l’inizio del XX secolo, che, stanco di trovare a tutti i livelli assemblee disorganizzate o comunque tutte con regole diverse, si decise di scrivere un manuale diventato poi un best seller e continuamente riedito e riaggiornato e ora usato in tutte le assemblee americane, anche ecclesiali. Del resto l’interesse del nostro generale circa la procedura assembleare era iniziato nel 1863 quando fu scelto per presiedere una riunione di chiesa e, anche se aveva accettato l’incarico, si era accorto di non avere la necessaria conoscenza della corretta procedura e che forse non l’avevano neppure gli altri fedeli. Non so se esiste l’edizione italiana del manuale del generale Robert. In ogni caso preferisco oggi un approccio meno militaresco e partire invece da una domanda che quest’anno dovrebbe esserci familiare. Nella prima comunità cristiana esistevano i consigli pastorali? L’interrogativo può apparire improprio, perché i consigli pastorali – almeno nella forma che conosciamo – nascono e si diffondono negli anni successivi al Concilio Vaticano II. Possiamo però precisare meglio la questione: nella Chiesa delle origini esistevano luoghi di confronto per assumere determinate scelte o tutto veniva deciso per così dire dal vertice o “dall’alto” per ispirazione divina? Ovviamente dobbiamo stare attenti a non proiettare sulla prima Chiesa i nostri schemi e anche a tenere conto della sua peculiarità: era appunto “Chiesa delle origini”, realtà guidata dallo Spirito, che aveva dotato gli apostoli, i loro collaboratori ma anche quelli che chiameremmo oggi i semplici fedeli (per esempio quelli dispersi dalla persecuzione, che avevano fondato la Chiesa di Antiochia), di un particolare carisma, di una speciale dono “fondativo”. Detto con parole più semplici, in quei decenni la Chiesa doveva nascere ed essere costituita nelle sue strutture e articolazioni che ancora non esistevano, e doveva nascere assistita da uno specifico dono dello Spirito, dono che poi non ci sarà più. Naturalmente la Chiesa per tutta la sua esistenza – anche nei nostri anni – sarà accompagnata dall’assistenza dello Spirito, che però la farà vivere e crescere con quella identità, con quella struttura nata all’origine e che ormai non è più modificabile.

Accanto all’evidente e preveniente azione dello Spirito nel guidare la nascita della Chiesa – pensiamo a Pentecoste, alla conversione di Paolo, al battesimo di Cornelio e dei suoi, all’avvio della missione con Paolo e Barnaba,… – fin dall’inizio c’è stato spazio per la responsabilità dei cristiani, sempre naturalmente assistiti dallo Spirito, nell’assumere precise scelte per la Chiesa anche su questioni cruciali e determinanti, responsabilità spesso condivisa. Un primo esempio si colloca proprio agli inizi della Chiesa, addirittura prima di Pentecoste. Si trattava della necessità di reintegrare il numero dei dodici apostoli dopo la tragica defezione di Giuda. Interessante il metodo seguito per scegliere il nuovo apostolo. Pietro pone la questione all’intera assemblea (i 120 discepoli di Gesù rimasti, radunati nella sala superiore) ricordando brevemente la vicenda dolorosa di Giuda e concludendo con queste parole: «Bisogna dunque che, tra coloro che sono stati con noi per tutto il tempo nel quale il Signore Gesù ha vissuto fra noi, cominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di mezzo a noi assunto in cielo, uno divenga testimone, insieme a noi, della sua risurrezione» (Atti 1,21-22). L’assemblea ne propone due, «Giuseppe, detto Barsabba, soprannominato Giusto, e Mattia» (Atti 1,23). Segue poi la preghiera: «Poi pregarono dicendo: “Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostra quale di questi due tu hai scelto per prendere il posto in questo ministero e apostolato, che Giuda ha abbandonato per andarsene al posto che gli spettava”» (Atti 1, 24-25). Tirano poi la sorte e viene così scelto Mattia. Significativa la metodologia seguita: c’è chi propone la questione offrendo a tutti i dati conoscitivi e soprattutto i criteri necessari per scegliere; si prevede un coinvolgimento di tutti nell’individuare i possibili candidati; si dà spazio alla preghiera e ci si affida al Signore.

Al di là delle metodologie diverse che possono essere inventate e sperimentate, è fondamentale che nella decisione ecclesiale ci siano sempre questi elementi: la preparazione, la conoscenza della questione, l’accordo sui criteri, il coinvolgimento – almeno su alcuni aspetti – da parte di tutti, la preghiera, l’affidamento al Signore (non necessariamente sempre tirando a sorte…). Senza di essi – per esempio un’adeguata preparazione e conoscenza – si rischia come minimo di buttare via il tempo, di prendere decisioni avventate, di litigare sul niente.

Le cose di Chiesa vanno gestite bene e semmai con un di più di responsabilità. Occorre evitare, magari con la scusa che nella Chiesa deve prevalere lo Spirito e non la legge, di cadere nel pressappochismo, nel disordine, nella sterile contrapposizione. Occorre certamente dare spazio allo Spirito, ma non al nostro arbitrio, alla legge del più forte o, banalmente, alla nostra pigrizia e inazione. Un secondo esempio di confronto e decisione nella Chiesa, su cui vorrei soffermarmi più a lungo, è quello raccontato nel brano di Atti 15 che abbiamo ascoltato all’inizio del nostro incontro.

La questione era molto grave, per due motivi: perché poneva in tensione le prime due comunità cristiane la Chiesa madre di Gerusalemme, nata all’interno del Giudaismo, e la Chiesa di Antiochia, caratterizzata dall’apertura ai pagani, con il rischio di reciproca “scomunica” (“voi di Gerusalemme siete dei conservatori, chiusi in voi stessi e non aperti alla novità del Vangelo…”; “voi di Antiochia vi siete vi siete compromessi con la cultura ellenistica e tradite la purezza della verità dei nostri padri…”) e perché toccava – cito dalla lettera pastorale – «il modo di concepire la fede cristiana, la salvezza portata da Cristo e quindi la stessa natura della Chiesa. […] Per la salvezza è necessaria la circoncisione o basta aderire alla morte e risurrezione di Cristo attraverso la fede e il battesimo? Per essere cristiani è necessario diventare anche giudei? La Chiesa è solo una corrente del giudaismo o una realtà nuova sia pure in continuità con il popolo della alleanza?» (Chi è la Chiesa?. pp. 48-49).

Proviamo a fare una “lectio” del testo, aiutati anche dal foglio annotato che avete tra mano. Non si tratta solo di fare una lettura attenta della Parola, ma di attuarla poi nella concretezza della nostra vita. «Ora alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: “Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati”». La questione, come ho appena detto, era molto seria: riguardava la centralità della fede cristiana. Di solito nei nostri consigli pastorali gli argomenti da affrontare non raggiungono questo livello, ma sono e devono essere altrettanto importanti e non limitarsi – anche questo ci vuole… – all’organizzazione di una festa o a discutere l’orario delle Messe. Sono argomenti da consiglio pastorale, ad esempio, come organizzare l’iniziazione cristiana, come accogliere chi viene da fuori, come annunciare Gesù a chi non lo conosce, come operare a favore di chi è in difficoltà, ecc. Nella lettera pastorale trovate tanti esempi di temi da discutere e su cui operare un autentico discernimento ecclesiale. L’importante è affrontare tutto ciò preparati, ben documentati e con intento pratico (sul documentati, ricordo che, quando ero giovane prete in una popolosa parrocchia di Milano, si era discusso per un intero consiglio pastorale se gli educatori per gli adolescenti erano tanti o pochi: qualcuno diceva che erano pochi e insufficienti a raggiungere i molti ragazzi che non frequentavano l’oratorio; altri, ed era l’opinione prevalente, dicevano che erano tanti perché l’età media dei parrocchiani era molto elevata e c’erano pochi ragazzi – una parrocchia vecchia… – e che quindi occorreva chiedere a quegli educatori di impegnarsi su un altro ambito pastorale. Poi si erano avuti dall’anagrafe comunale i dati sugli abitanti della parrocchia divisi per fasce di età e si era scoperto che gli adolescenti in parrocchia erano più di mille, anche se in oratorio venivano solo in sette o otto…; si era infine deciso un maggior impegno in quel settore). «Paolo e Bàrnaba dissentivano e discutevano animatamente contro costoro». La Chiesa deve essere necessariamente senza conflitti interni? Per il quieto vivere occorre far finta di niente su tutto?

Papa Francesco ha recentemente svolto queste considerazioni ai superiori religiosi: «I conflitti comunitari sono inevitabili: in un certo senso devono esistere, se la comunità vive davvero rapporti sinceri e leali. Questa è la vita. […] Se in una comunità non si soffrono conflitti, vuol dire che manca qualcosa. La realtà dice che in tutte le famiglie e in tutti i gruppi umani c’è conflitto. E il conflitto va assunto: non deve essere ignorato. Se coperto, esso crea una pressione e poi esplode. Una vita senza conflitti non è vita». E ha aggiunto: «A volte siamo molto crudeli. Viviamo la tentazione comune di criticare per soddisfazione personale o per provocare un vantaggio personale».

Nella sua recente esortazione apostolica papa Francesco dedica alcuni passaggi al tema del conflitto: «Il conflitto non può essere ignorato o dis¬simulato. Dev’essere accettato. Ma se rimaniamo intrappolati in esso, perdiamo la prospettiva, gli orizzonti si limitano e la realtà stessa resta fram¬mentata. […]. Di fronte al conflitto, alcuni semplicemen¬te lo guardano e vanno avanti come se nulla fos¬se, se ne lavano le mani per poter continuare con la loro vita. Altri entrano nel conflitto in modo tale che ne rimangono prigionieri, perdono l’o¬rizzonte, proiettano sulle istituzioni le proprie confusioni e insoddisfazioni e così l’unità diventa impossibile. Vi è però un terzo modo, il più ade¬guato, di porsi di fronte al conflitto. È accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformar¬lo in un anello di collegamento di un nuovo pro¬cesso. «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). In questo modo, si rende possibile svi¬luppare una comunione nelle differenze, che può essere favorita solo da quelle nobili persone che hanno il coraggio di andare oltre la superfi¬cie conflittuale e considerano gli altri nella loro dignità più profonda. Per questo è necessario postulare un principio che è indispensabile per costruire l’amicizia sociale: l’unità è superiore al conflitto- […] Non significa puntare al sincretismo, né all’assorbimento di uno nell’altro, ma alla risolu-zione su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto» (Evangelii gaudium, 226-228). Non dovrebbe essere necessario aggiungere che il papa si riferisce a conflitti su questioni serie e non alle beghe di cortile o alle ripicche da mercato, che non dovrebbero trovare posto in consiglio pastorale.

Soffermandoci sempre su questo punto, domandiamoci: Perché Paolo e Barnaba agiscono così? Per interesse personale? Perché è messo in crisi il loro prestigio di apostoli? Perché sono gelosi di Pietro e vogliono prenderne il posto? Perché sono convinti che la vera Chiesa è quella di Antiochia? No, Paolo e Barnaba, come si dirà più oltre su di loro al v. 26, sono persone che si sono date totalmente al Signore: certamente hanno il loro carattere e una propria sensibilità, ma sono sinceramente orientati al Signore e al bene delle Chiesa. E noi?

Ma proseguiamo la nostra lettura: «fu stabilito che Paolo e Bàrnaba e alcuni altri di loro salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione». E’ certamente l’assemblea che li incarica di questo compito delicato. «Essi dunque, provveduti del necessario dalla Chiesa, attraversarono la Fenicia e la Samaria, raccontando la conversione dei pagani e suscitando grande gioia in tutti i fratelli». Suscitano gioia e non polemiche o anche solo pettegolezzi e mormorazioni verso la Chiesa di Gerusalemme: così avremmo probabilmente fatto noi (“hai sentito? Quei conservatori che non capiscono niente, che bloccano la missione, che sono chiusi nel loro mondo, che rimpiangono ancora i tempi di Davide,…. Certo, quelli che sono venuti a disturbarci non sono arrivati ad Antiochia per caso, ma li hanno mandati loro. Vedrai che tra poco rimandano Paolo a Tarso come hanno già fatto una volta e rispediscono Barnaba a Cipro. Manderanno qui a fare il vescovo quel duro di Giacomo o qualcuno del suo giro…”). «Giunti poi a Gerusalemme, furono ricevuti dalla Chiesa, dagli apostoli e dagli anziani, e riferirono quali grandi cose Dio aveva compiuto per mezzo loro»: sono consapevoli che è il Signore che agisce per mezzo di loro, anche usando i suoi sistemi imprevedibili (la Chiesa di Antiochia era nata dai cristiani dispersi dalla persecuzione: probabilmente se non ci fosse stata questa, sarebbero ancora lì a Gerusalemme a discutere sulla missione, a stendere programmi o a teorizzare che non ci vuole…). «Ma si alzarono alcuni della setta dei farisei, che erano diventati credenti, affermando: “È necessario circonciderli e ordinare loro di osservare la legge di Mosè”. Allora si riunirono gli apostoli e gli anziani per esaminare questo problema. Sorta una grande discussione…». Le discussioni non sono un male, se sono ordinate (da qui l’importanza di un preciso ordine del giorno e del moderatore…), se preparate, se con interventi chiari (anche appassionati…) e rispettosi dell’altro e… se arrivano a conclusione (almeno, se non si riesce ad arrivare al dunque, quella di continuarla la prossima volta, magari con più preparazione, chiedendo il parere di qualche esperto, pensandoci e pregandoci su, … Niente è più deleterio per un consiglio pastorale di finire un incontro a vuoto). «Pietro si alzò e disse loro: “Fratelli, …». Pietro prende le difese di Paolo ricordando la sua esperienza con il centurione Cornelio (cf Atti 10), dove il protagonista era stato lo Spirito Santo («Dio, che conosce i cuori, ha dato testimonianza in loro favore, concedendo anche a loro lo Spirito Santo, come a noi; e non ha fatto alcuna discriminazione tra noi e loro»). Un’esperienza che lo aveva costretto a difendersi dalle obiezioni della corrente giudaizzante una volta tornato a Gerusalemme da Cesarea (cf Atti 11, 1-18). Ma la questione allora non si era risolta come non si risolverà definitivamente neppure dopo il cosiddetto concilio di Gerusalemme che stiamo esaminando: si veda la contrapposizione tra Pietro e Paolo ad Antiochia (cf Gal 2,11-21), ricordata nella lettera pastorale (p. 50).

Viene poi data la parola a Bàrnaba e Paolo, che raccontano l’esperienza del primo viaggio missionario, e poi interviene Giacomo, esponente della corrente giudaizzante. Ma il suo intervento è molto saggio (è un apostolo e si lascia guidare dallo Spirito, pur con la sua sensibilità): capisce che la questione della salvezza per opera della grazia di Cristo è essenziale ed è una scelta di Dio («fin da principio Dio ha voluto scegliere dalle genti un popolo per il suo nome»), si appella alla Scrittura («le parole dei profeti»), che è fondamentale per la Chiesa e che certamente non può esser messa in discussione dai giudaizzanti e intelligentemente propone una mediazione sugli atteggiamenti pratici, per non urtare le sensibilità di chi proviene dal giudaismo: «si ordini loro di astenersi dalla contaminazione con gli idoli, dalle unioni illegittime, dagli animali soffocati e dal sangue». La posizione di Giacomo viene fatta propria da tutti e diviene decisione assunta nella consapevolezza di una piena sintonia con lo Spirito Santo («È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi»).

Notate, la conclusione della riunione sembra di compromesso, anzi lo è. Ma non sull’essenziale. Chiede solo il rispetto di alcune norme della legge mosaica, probabilmente quelle la cui non osservanza avrebbe dato più fastidio ai cristiani legati al giudaismo e li avrebbe allontanati dal Vangelo.

E’ interessante osservare che anche Paolo, pur così convinto delle sue posizioni (in Gal 2 darà una lettura sua del confronto con la Chiesa di Gerusalemme: «Esposi loro il Vangelo che io annuncio tra le genti, ma lo esposi privatamente alle persone più autorevoli, per non correre o aver corso invano. Ora neppure Tito, che era con me, benché fosse greco, fu obbligato a farsi circoncidere; e questo contro i falsi fratelli intrusi, i quali si erano infiltrati a spiare la nostra libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi; ma a loro non cedemmo, non sottomettendoci neppure per un istante, perché la verità del Vangelo continuasse a rimanere salda tra voi»: Gal 2,2-5) e alquanto focoso nella polemica (sempre nella lettera ai Galati – 5,12 – invita i sostenitori della circoncisione a farsi castrare…), sarà di solito molto attento a non urtare le sensibilità sia dei cristiani provenienti dal giudaismo (per esempio, farà circoncidere Timoteo prima di prenderlo come suo collaboratore: Atti 16,3), sia verso i cristiani convertiti dal paganesimo (cf il problema della legittimità di cibarsi o no delle carni immolate agli idoli e vendute al mercato: «alcuni, fino ad ora abituati agli idoli, mangiano le carni come se fossero sacrificate agli idoli, e così la loro coscienza, debole com’è, resta contaminata. Non sarà certo un alimento ad avvicinarci a Dio: se non ne mangiamo, non veniamo a mancare di qualcosa; se ne mangiamo, non ne abbiamo un vantaggio. Badate però che questa vostra libertà non divenga occasione di caduta per i deboli. […] Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello»: 1Cor 8,7-13; «cerchiamo dunque ciò che porta alla pace e alla edificazione vicendevole. Non distruggere l’opera di Dio per una questione di cibo! Tutte le cose sono pure; ma è male per un uomo mangiare dando scandalo. Perciò è bene non mangiare carne né bere vino né altra cosa per la quale il tuo fratello possa scandalizzarsi»: Rm 15, 19-21.). Rispettare la sensibilità degli altri, non divertirsi (o quasi..) a provocarli, non fare battaglie su questioni secondarie, essere liberi e sciolti, non bloccarsi a nostra volta su cose tradizionali ed esteriori … La decisione degli Apostoli e dello Spirito Santo viene fatta conoscere alla Chiesa di Antiochia attraverso alcuni inviati, uomini di spicco della Chiesa di Gerusalemme. Saggiamente non si affidano le conclusioni da riferire ad Antiochia solo a Paolo e Barnaba, che avrebbero potuto essere visti come troppo di parte (“chissà se stanno riferendo tutto e in modo giusto?…” Vedi sopra la ricostruzione di Paolo in Galati). Inviano, però, come loro rappresentanti persone aperte, come avevano fatto già a suo tempo con Barnaba, “ispettore” virtuoso e pieno di fede e Spirito Santo, che nella neonata Chiesa di Antiochia sa vedere la grazia del Signore (cf Atti 11,22-24). In particolare, Sila o Silvano si fermerà ad Antiochia e diventerà compagno di Paolo (cf molte citazioni in Atti e nelle lettere) e di Pietro (cf 1Pt 5,12).

Il messaggio è comunque chiaro anche nei giudizi: la Chiesa di Gerusalemme prende le distanze da quelli che fomentano tensioni («abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi») e approvano invece Bàrnaba e Paolo, «uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore Gesù Cristo».

La lettera viene accolta bene dalla comunità di Antiochia, che viene coinvolta nel suo insieme. Ci possiamo chiedere: come coinvolgere la comunità parrocchiale, come informarla, come renderla partecipe di ciò che si tratta nel consiglio pastorale? Può essere opportuna un’assemblea parrocchiale?). La decisione di Gerusalemme viene vista come incoraggiamento e non come mortificazione della vita comunitaria e dell’ansia missionaria e caritativa che caratterizzava la Chiesa antiochiena («quando l’ebbero letta, si rallegrarono per l’incoraggiamento che infondeva»). Anche i due inviati da Gerusalemme fanno la loro parte: «Giuda e Sila, essendo anch’essi profeti, con un lungo discorso incoraggiarono i fratelli e li fortificarono».

Notate: non fanno polemiche, non riaprono questioni ormai chiuse (talvolta le si tengono apposta aperte… Il passato, invece, è passato e bisogna metterci una pietra sopra, affidandolo, caso mai, al giudizio misericordioso del Signore…), non si tolgono i classici sassolini dalle scarpe (anche la Chiesa di Antiochia aveva probabilmente qualche torto verso la Chiesa madre di Gerusalemme). Incoraggiano. L’accenno al fatto che sono profeti fa pensare alla Parola di Dio, da cui ogni comunità deve trarre luce e consolazione, anche ognuno di noi (su questo assoluto rilievo da dare alla Parola di Dio non dobbiamo stancarci di insistere …). L’episodio si conclude con il saluto di pace («i fratelli li congedarono con il saluto di pace»), che è molto più di un saluto: indica una vera fraternità, un atteggiamento di ringraziamento, l’affidamento dei fratelli di fede al Signore, l’invocazione su di loro della sua benedizione.

Mi fermo qui. Come vedete, la Parola di Dio non solo ci mette in comunione con Lui e, in questo caso, con la prima Chiesa (che è viva, non è al cimitero…: esiste la comunione dei santi e possiamo e dobbiamo invocare l’intercessione di Pietro, Paolo, Giacomo, Barnaba, Sila, ecc. sul lavoro dei nostri consigli), ma ci offre anche indicazioni pratiche per l’esercizio del nostro compito di discernimento. Altre indicazioni le riceveremo ancora oggi e sabato prossimo (dove interverrà con la sua competenza un professore, che ha anche una concreta esperienza di consigli pastorali) e le potete trovare sul direttorio, che vi invito a tenere sempre a portata di mano, non solo nella prima riunione del consiglio… Anche la lettera pastorale con il suo rinvio alla lettura diretta degli Atti degli apostoli vi può aiutare molto. A me non resta che ringraziarvi di cuore per la vostra disponibilità a servire il Signore e la sua Chiesa, questa bella Chiesa di Gorizia che vuole essere sempre più la Chiesa degli apostoli.

† Vescovo Carlo